Non è del tutto chiara quale sia l’associazione tra il mostro leggendario del folklore sudafricano, vagamente simile a Piedone o l’Uomo Nero, e l’uccellino piuttosto comune della famiglia Ploceidae, tessitore d’accoglienti nidi, la cui caratteristica principale si trova in opposizione al becco usato per dare la caccia ai semi e qualche volta, insetti piccoli ma nutrienti. Forse il colore, forse il fatto che numerose tribù guerriere, tra cui quella dei temuti guerrieri Emasotsha degli Zulu indossassero le loro piume caudali come parte di un impressionante copricapo, composto in egual misura di parti d’uccello e puro ed inadulterato terrore. Questo perché la vedova codalunga (Euplectes progne) è diffuso nell’intera zona centrale del continente africano dall’Angola al Botswana, dal Kenya allo Zambia, passando per il Congo e lo Swaziland, dove riesce ad essere famoso proprio per il suo comportamento caratteristico e lo stile usato per volare, condizionato in massima parte dall’estensione alquanto esagerata presentata dal comparto retrogado del suo affascinante mantello: mezzo metro contro gli appena 140 cm di apertura alare risultando in altri termini, tre volte e mezzo più lungo di quanto è largo. Così sollevati da terra ad un’altezza non superiore a quella del capo umano, gli esemplari maschi sorvegliano dall’alto il proprio territorio, senza curarsi eccessivamente di attirare l’attenzione di un eventuale predatore. Non c’è molto che possa fare d’altra parte il goffo e inoffensivo uccello, quando inseguito da rapaci o carnivori felini, causa proporzioni sconvenienti ed il profilo certamente poco aerodinamico dettato dalla forma che più di ogni altra riesce a definirlo. Fatto quindi oggetto di una serie di approfonditi studi fin dall’epoca della sua prima classificazione nel 1779, ad opera del sempre rilevante naturalista Georges-Louis Leclerc, Comte de Buffon, quello che culture africane molto distanti tra loro chiamavano col nome inter-lingua di etimologia incerta sakabula ha lungamente lasciato perplesso il mondo scientifico recentemente accomunato da un metodo d’analisi comune, almeno parzialmente per la collocazione cronologica esattamente 80 anni prima delle teorie sull’evoluzione di Darwin, ma anche per una semplice discordanza logica tra forma e funzionalità. Che cosa, infatti, aveva potuto dare l’origine ad un uccello che non sembrava trarre alcun tipo di vantaggio dalla sua mancanza d’agilità, tranne quello assai transiente di occupare una doppia pagina sui cataloghi biologici dell’habitat oggetto di tanto interesse da parte umana? Interrogativo la cui risposta può essere immediatamente più chiara, quando si considera come non soltanto le femmine della stessa specie presentino una semplice colorazione marrone a macchie e code di dimensioni ragionevoli, ma lo stesso discorso si applichi ai maschi subadulti e tutti quelli che non hanno ancora sperimentato la propria prima stagione degli accoppiamenti. Passeriformi normali a tutti gli effetti, esattamente come se la natura stessa avesse chiaro come la progettazione originale dell’uccello in questione risulti essere poco efficiente, soprattutto nel suo competitivo contesto geografico d’appartenenza. Ecco perché l’Euplectes progne, il cui nome è un composto della parola greca eu (bello) + quella latina plectes (tessitore) seguite dal termine che significa “rondine”, viene ad oggi considerato uno degli esempi più estremi di condizionamento fisico dettato dalla selezione naturale, non per semplici ragioni di sopravvivenza bensì l’obiettivo di portare a compimento con successo la missione più importante, quella di andare, per così dire, a meta. Portando a termine l’accoppiamento che così tanto, attraverso i secoli, è costato alla sua antica specie…
Il sakabula quando rappresentato al suo meglio, come nello spezzone d’apertura proveniente dalla serie di documentari inglesi Planet Earth con la beneamata voce di Attenborough, si presenta alle sue potenziali partner mostrando per quanto possibile la strabiliante coda e le macchie bianche e rosse sulle spalle, mentre salta su e giù tra l’erba alta (Eleusine jaegeri) in una vera e propria gara di resistenza e prestanza fisica con i suoi simili dello stesso sesso. Il che costituisce nei fatti la realizzazione pratica della competizione tra maschi denominata in campo aviario il lek, caratteristica di uccelli di tutt’altre famiglie dalle dimensioni in media superiori, ed un’abitudine ancor minore al volo. Senza mai giungere ad un vero e proprio combattimento, i maschi raggiungono infine il consenso su chi tra loro abbia il diritto a costituirsi un harem, diventando il capo di un piccolo gruppo familiare composto da svariate femmine per ciascuno di loro, le quali si occuperanno di costruire, in solitudine, il nido. Una visione tutt’altro che rara, nelle zone oggetto della loro presenza, configurato come una sorta di pratico canestro a circa un metro d’altezza da terra, creato da rametti intrecciati sapientemente tra di loro, scelti per essere della giusta lunghezza al fine di creare una vera e propria piccola capanna sopraelevata, con tanto di “ringhiera” costituita da improbabili e graziosi fiorellini. All’interno della quale troverà posto, dopo qualche giorno, una quantità variabile tra una e tre uova, dall’aspetto bluastro a striature marroni e un’altezza complessiva di circa 23 cm complessivi. I piccoli crescendo in tale ambiente, consumeranno quindi la maggior parte degli insetti costituenti una parte importante della propria dieta, per poi relegarli ad un solo 25% della quantità di cibo assunta complessivamente, sostituendoli con un’ampia varietà di semi, soprattutto in primavera ed inverno.
Tornando a interrogarsi sull’effettiva applicabilità del concetto di selezione sessuale al caso dei Sakabula, non è a questo punto evitabile citare un celebre esperimento condotto dallo studioso svedese Andersson e colleghi, che nel 1994 effettuò un singolare quanto rilevante esperimento. Prendendo una serie di uccelli maschi e femmine, prese una parte dei primi ed accorciandogli artificialmente la coda, incollò le piume avanzate a quella di altrettanti esemplari facenti parte dello stormo, creando l’impressionante casistica di un passero con la coda ANCORA più lunga. Ebbene le femmine, raggiunto il momento di scegliere un compagno, non soltanto hanno dimostrato di preferire gli esemplari con la coda normale a quelli che l’avevano più corta, ma persino rifiutare questi ultimi quando chiamate a scegliere tra loro ed i compagni dal più magnifico e sproporzionato mantello. Propensione, quest’ultima, conforme a dimostrare la straordinaria pressione evolutiva esercitata dalla selezione di tipo sessuale, proprio nella sua arbitrarietà e costante influenza su chi, e quando, possa accedere al fatale attimo riproduttivo.
Dal punto di vista della conservazione, nel frattempo, il sakabula si dimostra come un uccello piuttosto prolifico e largamente al sicuro grazie all’ampiezza del suo territorio, che supera di molto i 20.000 Km quadrati costituenti la soglia minima prevista dai criteri di Birdlife International, rientrando tra le specie “a minor rischio” anche nell’indice rosso dello IUCN.
Come risposta naturalistica alla tipica domanda comportamentale su “Cosa sareste disposti a fare per vincere la sfida riproduttiva” questo notevole rappresentante africano dell’ordine dei passeriformi si presenta come un pacchetto inscindibile, composto in egual misura da corteggiamento, fascino esteriore e una sostanziale mancanza di prudenza, che conduce alla totale assenza di mimetismo una volta raggiunta la stagione più importante della sua vita.
Passaggio tutt’altro che raro, negli uccelli di tutti i continenti, benché particolarmente poco pratico nel caso di un volatile così poco avvezzo al volo, la cui continuativa sopravvivenza è dev’essere per questo interpretata come conseguenza di una serie di casistiche ambientali che lo favoriscono in qualche maniera, nonostante l’apparente stato di pericolo costante. Perché desiderare profondamente di poter saltare in alto non dovrebbe forse corrispondere, qualche volta, alla capacità di riuscire realmente a farlo? E se non fosse stato attentamente preparato dalle plurime generazioni pregresse, quale sciocco & lungo uccello aspirerebbe a tali ambiziose vette… Altrimenti?