È semplicemente un’eventualità così fuori dalle aspettative ragionevoli delle presenti circostanze… Che un documentario realizzato da un singolo fotografo subacqueo, assistito da alcuni amici nel montaggio e la post-produzione, possa non soltanto raggiungere ma superare abbondantemente la qualità, visuale, scientifica ed originale, di oltre il 90% delle produzioni girate sotto l’egida di un grande marchio televisivo. Raggiungendo in questo modo, come soltanto pochi autori possono aspirare in questo campo, l’empireo qualitativo delle scene accompagnate dalla voce britannica di Sir Attenborough, cui nulla sembrerebbe avere da invidiare, d’altra parte, l’entusiasmo coinvolgente di Maxwell Hohn, naturalista canadese di Vancouver Island che più volte si è tuffato, durante la realizzazione di questo capolavoro, in quello che lui stesso chiama “Uno dei laghi più remoti della sua regione”. Mai chiamato per nome è ciò probabilmente è un bene, vista la palese importanza vantata da questo luogo nell’evidente proseguimento in perpetuo della specie Anaxyrus boreas o del rospo boreale, anuro nordamericano famoso per le sue dimensioni ragguardevoli (fino a 13 cm) e le gremite migrazioni dei giovani adulti attraverso pericolose strade asfaltate, quando si recano dai laghi della loro giovinezza fino all’entroterra delle grandi foreste di pioppi, faggi e abeti, ove potrà compiersi la loro saliente avventura riproduttiva. Mentre nessuno conosce, o forse a questo punto potrei dire conosceva, l’altrettanto notevole spostamento quotidiano compiuto quotidianamente dalla loro forma sub-adulta di ambiente esclusivamente acquatico, quei girini che trascorrono la notte al centro più profondo dello stagno e la palude, ma devono spostarsi dopo il sorgere dell’alba nelle zone ripariane, dove l’acqua più bassa permette alla luce del sole di penetrare senza impedimenti, generando il florilegio d’innumerevoli forme di vita vegetali ed alghe dal variegato aspetto. O come le chiamano loro, più semplicemente, “cibo” che precorre il tempo della metamorfosi, un po’ come le foglie verdi consumate dalla strisciante larva di farfalla, il bruco destinato a guadagnare, con notevole fatica, il suo splendente nonché duplice paio d’ali. In un processo che giunge a coinvolgere, data la capacità di una singola femmina di deporre fino a 10.000 uova, una quantità letteralmente incalcolabile di piccoli individui, il cui aspetto tondeggiante con la lunga coda triangolare, gli occhietti tondi e l’espressione sorridente, finiscono per cooperare nella presentazione di un aspetto complessivo degno di essere ammirato, come fossero gli inaspettati personaggi di un cartoon. Non che sia facile, d’altronde, presentare per immagini una tale meraviglia etologica della natura, vista la natura inerentemente fangosa di queste acque nonché la notevole rapidità dei girini, che vivendo a un ritmo accelerato tenderebbero a spostarsi come fulminei fantasmi fuori e dentro l’inquadratura, se non fosse per il sapiente uso della stabilizzazione video ed il framerate da parte di questo geniale autore. Con un risultato che, ritengo, non può fare a meno di lasciare a bocca aperta: le molte migliaia di piccole creature che si spostano, con evidente chiarezza di obiettivi, tutti nella stessa direzione (sembrano quasi le scene idealizzate della fecondazione umana) incrociando le rispettive traiettorie in un caotico sovrapporsi di corpi e code, in perenne fuga da scorpioni d’acqua, sanguisughe e larve di libellula affamate. Soddisfacendo la voracità nei pochi momenti in cui si posano, senza mai smettere di agitarsi per restare pronti alla fuga, sopra qualsiasi cosa possa offrire anche soltanto il remoto potenziale di nutrirsi, inclusa la mano protesa dell’ammaliato autore del qui presente video.
Che tornando quattro volte per riprendere altrettante serpeggianti generazioni, si è tuffato avendo cura di spostarsi esclusivamente lungo i corridoi naturali tra le ninfee, creati dai castori che si nutrono delle loro radici esposte, al fine di non disturbare eccessivamente la marcia collettiva dei girini. Svelando quindi, in questo modo, gli ultimi segreti del rospo boreale…
Potrebbe sembrare in effetti alquanto sorprendente, che una creatura tanto prolifica e con un’areale che si estende dal Canada della Columbia Inglese fino all’intero Pacific Northwest, la California e il Colorado, possa attualmente essere considerata a lieve rischio d’estinzione, con tanto di comprovato ridursi della sua popolazione complessiva, il che ha dato luogo a innumerevoli iniziative internazionali per garantire la sua sopravvivenza della specie oltre il giro delle prossime decadi e lustri futuri. Il rospo boreale di suo conto, anche superata la fase critica dello stadio sub-adulto, così efficientemente dimostrata essere irta di pericoli nel video memorabile di Maxwell Hohn, tende ad incontrare la realtà di un mondo ancor più ostile una volta che mette le zampe, per balzare fuori dalle tenebre acquose dritto in un mondo ove lo pneumatico non può fermarsi per nessuno; meno che mai un essere tanto piccolo, e in apparenza insignificante, da mimetizzarsi suo malgrado innanzi all’orizzonte osservabile da un parabrezza. Con un costo in termine di vite individuali, ogni anno verso i primi mesi dell’autunno, che potremmo facilmente paragonare a quello prodotto da un qualche tipo di disastro naturale. La vita degli esemplari adulti, anche successivamente a quel momento, non aumenta certo di semplicità, portandoli a dover schivare l’attenzione deleteria di rettili, mammiferi ed uccelli tra cui in modo particolare i corvi, che ne vanno tanto ghiotti da aver trasformato i rospi, al di sotto di una certa latitudine, in creature dalle abitudini per lo più notturne. Predatori contro cui l’unica difesa dell’A. boreas risultano essere le due ghiandole parotoidi poste dietro le sopracciglia, capaci di emettere una tossina blandamente velenosa che dovrebbe dargli, idealmente, un pessimo sapore. Altro espediente protettivo, ancor meno efficace, è individuabile nel richiamo infastidito simile allo squillo di una sveglia mattutina, usato anche dal maschio nel caso in cui un esemplare dello stesso sesso gli sia salito sopra, erroneamente, aspettandosi di fecondare le inesistenti uova durante la stagione primaverile degli accoppiamenti. Non che ciò debba per forza essere un episodio del tutto accidentale, data la capacità di questi rospi, come molti altri appartenenti all’ordine degli anuri, di cambiare sesso da maschio a femmina nel caso in cui quest’ultime dovessero risultare carenti, facendo dono al branco di maggiori possibilità di raggiungere la meta. Una volta deposte le numerose uova quindi, capaci di presentarsi come una lunga collana splendente tenuta assieme da un sottile filamento di muco, i maschi iniziano immediatamente a cercare una nuova compagna, mentre le loro controparti, generalmente, scelgono di riposarsi fino alla prossima stagione (alcune di loro, a dire il vero, non si riprodurranno più di una volta nel corso della loro vita). Il tempo necessario affinché i girini inizino il processo della metamorfosi si aggira attorno ai 40 giorni, per riuscire a completarla entro il terzo mese dalla schiusa, quando finalmente pronti a fuoriuscire dallo stagno, affronteranno la seconda e più rischiosa delle loro battaglie verso la futura sopravvivenza. Andata e ritorno, s’intende, considerando l’abitudine di questi rospi a riprodursi esclusivamente nello stesso sito che gli aveva dato i natali, il che tende a generare inevitabilmente significative problematiche, nel caso in cui tale recesso sia stato nel frattempo sfruttato con finalità urbanistiche o industriali da parte della collettività umana. Dal punto di vista alimentare, invece, i rospi adulti sono soliti nutrirsi primariamente d’insetti, ragni e vermi, dimostrando nei fatti un’indole carnivora che di certo non ha una ragion d’esistere durante le prime, acquatiche settimane della loro vita.
Il rospo boreale vive normalmente, se riesce a superare le critiche fasi fin qui discusse, tra i 9 e gli 11 anni complessivi, benché si abbiano notizie di esemplari in cattività che hanno superato l’incredibile età dei 35, riuscendo a godere di un’esistenza abbastanza lunga da esaurire l’intero spettro delle possibili esperienze per un anfibio di questo pianeta. Inclusa forse quella, per quanto ci è dato immaginare, dell’introspezione meditativa, verso il raggiungimento di uno stato di consapevolezza ulteriore.
Cosa può essere d’altronde, un singolo girino ben pasciuto, se non la promessa di una potenziale realizzazione futura? Il richiamo del batrace, lungo le scoscese rive dell’eterno fiume dei secoli. In attesa che qualcuno si dimostri degno, finalmente, di rendergli omaggio e farlo ben conoscere all’affascinato pubblico in attesa.