Gli studi dei dentisti sono lastricati, o almeno questo è ciò che siamo indotti a pensare dal marketing del mondo gastronomico, di ottime intenzioni: “Credevo che il torrone fosse morbido” “Pensavo che il caramello sulla mela non avesse già raggiunto la consistenza del cemento a presa rapida…” “Ma questa pannocchia, non l’avevo cotta delicatamente a puntino?” Esistono d’altronde gesti a cui nessuno attribuisce in linea di principio alcun margine segreto di pericolosità latente. Nuclei a parte, piccoli noccioli non più spaventosi di un singolo seme di melone, c’è infatti molto poco dentro il frutto del vitigno a grappoli che possa essere un pericolo per la possente dentatura degli umani. A patto, s’intende, di evitare un fondamentale fraintendimento di partenza. Capace di scaraventarci, con la testa in avanti, nell’inferno odontoiatrico di un’antica varietà d’uva. Distretto di Mamuju, isola di Sulawesi, Indonesia: la data è (circa) il 2016, quando qualcosa d’inusitato fa per la prima volta la sua comparsa presso il mercato d’esportazione delle pietre, un curioso business trasversale per paesi come questo, dove l’estrazione mineraria era e resta responsabile di una considerevole parte del PIL nazionale. La chiamano in maniera totalmente non scientifica agata di tipo grape (per l’appunto, “uva”) dato l’insieme di caratteristiche pienamente mimetiche che includono colorazione, forma complessiva e soprattutto l’effetto macroscopico di un particolare abito cristallino, relativamente raro e definito botrioidale o su scala più grande, mammellonare. In forza della formazione di un alto numero di concrezioni simili a globi, attorno a granuli di sabbia, silicati o altre inscindibili particelle geologiche, fino alla sovrapposizione parziale nei punti di raccordo dell’agglomerato, dando luogo a questo aspetto complessivo stranamente simile ad un grappolo d’origine vegetale. Coincidenza se credete nelle coincidenze, oppure magica mimesi da parte del demiurgo che governa l’Universo, gli strani oggetti hanno da subito trovato una particolare nicchia molto redditizia nel settore della gemmoterapia, disciplina che rientra a pieno titolo nella collezione di arbitrarie cognizioni e pseudo-religioni post-moderne confinanti con il cosiddetto New Age. “Calmante fonte d’energia spirituale e conoscenza” viene detto dunque nei cataloghi, a patto, s’intende, di non fare in un attimo di debolezza l’azzardato tentativo di trangugiarla.
Occorrerà applicare, a questo punto, un importante distinguo. Poiché proprio la definizione scelta e qui sopra enunciata, per un così attraente nonché singolare minerale, potrebbe risultare valida a trarvi in inganno. Per agata s’intende quindi, almeno in linea di principio, una particolare varietà del minerale calcedonio con palese stratificazione su più livelli, tale da permettere la creazione decorativa del gioiello in bassorilievo policromatico noto come cammeo. Laddove il nostro strano tesoro geologico, di suo conto, presenta un’unico colore lungo l’intera estensione di un singolo cristallo, rientrando a pieno titolo nella categoria dei quarzi. E data la colorazione viola, quella ancor più specifica della preziosa, insostituibile ametista, il che finisce per porre le basi di un associazione mitologica davvero pregna di significato…
Dal punto di vista geologico, quindi, l’agata-uva costituisce una casistica priva di precedenti soprattutto per il suo luogo di provenienza. Vista la fonte storica di tutto il quarzo, ma in modo particolare l’ametista, che ne individua il suo paese principe in Brasile, con qualche giacimento addizionale negli altri paesi del Sudamerica e in Messico, Sri Lanka e Siberia, oltre a miniere ancor più piccole nelle Asturie e presso l’isola d’Irlanda. Ma per quanto concerne il maggiore arcipelago dell’Asia, nessuno aveva mai sentito parlare, prima di questo notevole punto di svolta verso la metà degli anni 2010, di una fonte inesauribile di tale minerale, tale da inondare letteralmente il mercato l’appetitosa gemma, degna di entrare a pieno titolo all’interno di ogni singola collezione pubblica o privata di chi apprezza tali orpelli generati dai processi stessi della natura. La creazione di ametiste ed agate all’interno delle sorgenti idrotermali che caratterizzano l’isola di Sulawesi, come fonti relativamente inesauribili di tutto l’oro e l’argento estratto nel distretto di Mamuju, appartengono del resto alla categoria capace di produrre, in linea di principio, le particolari concrezioni che caratterizzano l’abito cristallino a globi sovrapposti. Sebbene non manchino prevedibilmente, data l’improvvisa comparsa sulla scena gemmofila globale senza nessun punto di riferimento precedente, i detrattori convinti che possa trattarsi di una pietra generata artificialmente in laboratorio, tramite lo stesso tipo di processi termici che hanno permesso, in epoca contemporanea, di facilitare la produzione in serie dell’elettronica di precisione, che usa simili sostanze come materia prima. La stessa colorazione violacea dell’ametista, un tempo giudicata tanto unica da inserire il minerale tra le “pietre cardinali” assieme a diamante, rubino, zaffiro e smeraldo almeno quando tagliata adeguatamente per nascondere le sfumature indesiderate, è stata in seguito dimostrata diventare viola per la semplice presenza di ferro trivalente (Fe3) all’interno del cristallo di calcedonio, un’eventualità facilmente riproducibile in contesto di laboratorio. Il che lascia nondimeno il fondamentale mistero al centro della questione, di come e quando, esattamente, sia stato inventato un processo in grado di velocizzare la formazione di esemplari con forma botrioidale.
Il che non diminuisce affatto l’associazione particolarmente intrigante tra questa particolare tipologia di ametista e l’origine del nome stesso del minerale, proveniente dal greco amethystos che significa letteralmente “non-intossicante”. Questo perché si credeva, per ragioni difficili da immaginare, che la gemma in questione avesse il sacro potere d’impedire l’ubriachezza dovuta al vino, il che aveva portato i ricchi del mondo antico a far produrre alcuni preziosi boccali nel raro materiale, bevendo conseguentemente fino all’autodistruzione del proprio fegato senza residue possibilità d’appello. Esiste, a tal proposito, anche la particolare leggenda di attribuzione poco chiara che avrebbe visto il dio dell’uva Dioniso, chiamato per l’appunto dai romani Bacco, aver tentato l’insidioso corteggiamento della pudica fanciulla di nome Ametista, almeno finché la dea Artemide/Diana, rispondendo alle preghiere di quest’ultima, l’avrebbe trasformata in una candida e inviolabile statua di pietra. Il che del resto lascia perplessi su svariati livelli, visto come sia A- Probabilmente molto meglio tentare la fuga con metodi umani, piuttosto che rinunciare del tutto alla propria coscienza di esseri appartenenti al regno animale; e soprattutto, B – Come avrebbe potuto la ragazza in questione avere già il nome di Ametista, se la sua storia dovrebbe essere per l’appunto quella all’origine mitica della pietra in questione? In un corollario ulteriore della faccenda, inoltre, il dio del vino avrebbe fatto inseguire la povera malcapitata dalle sue tigri ammaestrate poco prima della miracolosa trasformazione, per poi piangere lacrime coccodrilliane di quel saliente colore sulla statua di quarzo, giungendo all’ideale cromatismo che apprezziamo tutt’ora.
Le pietre dure non possono mai mancare, in ultima analisi, all’interno di una collezione mineralogica davvero degna di questo nome. E ben poche ne sussistono, all’interno del variegato catalogo, che possano vantare caratteristiche e un’aspetto simile a quello del quarzo, sia che vanti una sostanza trasparente o di tipo apprezzabilmente opaco e stratificato, come previsto dalla definizione talvolta usata a sproposito dell’agata di calcedonio. Ma in tutto questo resterà per qualche tempo ancor difficile, trovare un’adeguata collocazione concettuale a un mistico e bizzarro grappolo di quest’uva tanto incommestibile quanto apprezzabile in determinati circoli & contesti. Riuscite ad immaginare un banchetto dionisiaco migliore, d’altra parte, che quello avente come centro tavola una letterale riproduzione dell’unico vero protagonista della festa, pietroso frutto del capriccio del dio?
Perché forse la violacea ametista in forma di pratici grappoli non potrà essere mangiata o bevuta (in senso letterale) ma essa nutre con possenza le sinapsi che hanno il compito di categorizzare il mondo implicito della natura. E questo è un tipo di vendemmia a cui risulterà parecchio più difficile, nonostante la profondità del proprio autocontrollo, scegliere individualmente di soprassedere.