Tra gli obiettivi principali dell’arte, da Oriente ad Occidente, c’è quello di catturare e in qualche modo riprodurre la natura. Poiché gli elementi, il Cielo, la Terra e tutto ciò che vive tra questi due estremi, costituiscono i protagonisti di quel complesso racconto che è la vita umana, fatta di momenti pacifici e meditativi, così come attimi di puro e inevitabile conflitto. Cosa mai può esserci d’inaspettato, dunque, se all’interno del paese che ha più di ogni altro coltivato il fascino del combattimento ritualizzato con armi o senza, ciascuno degli stili di maggior prestigio vanti la diretta ispirazione a una particolare tipologia d’animale? Tigre, gru, leopardo, serpente e drago, posti secondo la disciplina millenaria del Qigong ai vertici dell’energia vitale che pervade ogni cosa, ed in funzione di ciò fatti corrispondere ad altrettanti stili praticati dagli anacronistici conservatori dell’antica tradizione del kung-fu cinese. Ciò che in molti hanno ricevuto per osmosi dal corpus della cultura popolare moderna, senza tuttavia mai preoccuparsi di attribuirgli un ruolo nel sistema originario di partenza, è che a queste creature per così dire “principali” se ne aggiungono delle altre, scelte da ciascuna scuola o tempio come numi tutelari e totem di un diverso stile personalizzato, degno di rappresentare in modo significativo il lascito del proprio consesso nei confronti dell’umanità intera: serpente, cinghiale, mantide, cane, cervo, elefante e poi come dimenticare, tra tanto disparate alternative, il metodo di combattimento ereditato dalla scimmia, sola ed unica antenata evolutiva dell’umanità… Il primate spesso socievole, qualche volta ferocemente territoriale, che cerca normalmente di evitare il combattimento. Ma una volta messo all’angolo, snuderà le zanne al fine di proteggere se stesso, per riuscire a ritrovare quanto prima la libertà.
Lo stile del pugno della scimmia o hou-gun (猴拳) viene normalmente attribuito al tempio di Shaolin, benché abbia una storia dalle molte ramificazioni con origini nel corso della dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.) quando risulta attribuibile ai personaggi semi-leggendari del guerriero Chang-qing ed il medico taoista Hua Ta. Un particolare rotolo dipinto intitolato “Scimmia che fa il bagno chiama [gli amici?]” di autore e datazione incerta, mostra alcune posizioni animalesche chiaramente riconducibili a uno stile di combattimento utilizzabile dagli umani. E poiché a differenza di una buona parte del resto d’Asia incluso il Giappone, in Cina fu sempre vigente l’idea che il combattimento armato e quello a mani nude dovessero venire insegnati in maniera organica e interdipendente, è altamente probabile che a un tale epoca risalga anche il concetto omofono, ma scritto in modo differente di hou gun (猴棍) o “bastone scimmiesco” tanto efficientemente dimostrato da un praticante nel qui presente video di apertura. Perché d’altra parte, quale altro implemento di battaglia avrebbe potuto corrispondere a una bestia che corre a quattro zampe e si arrampica sugli alberi prima di andare a dormire che un letterale “pezzo naturale” tratto direttamente dal suo ambiente tipico di provenienza? Benché tale formidabile arnese, nel contesto della pratica moderna, si trovi molto spesso realizzato in un qualche tipo di lega metallica forte e flessibile, per resistere alle dure sollecitazioni dell’apprezzabile acrobatismo d’impiego. Tra le movenze tanto spesso associabili a questa specifica branca del kung-fu, quindi, troviamo volteggi, rotazioni, colpi vibrati con intento potenzialmente letale e salti in tutte le direzioni, ma anche aspetti recitativi come lo sguardo confuso dell’animale, i gesti soltanto apparentemente imprecisi e sempre imprevedibili e le molte finte, in cui si fa sembrare all’avversario di essere del tutto impreparati, prima di rivelare con fulmineo senso d’aggressione la propria reale potenza. Il bastone utilizzato a tal fine è infatti la terza arma più lunga in uso nel suo ambiente di provenienza, dopo la lancia e la staffa lunga chang gun (長棍) con una portata in grado di raggiungere e superare il metro e settanta, benché l’utilizzatore tenda a mantenere segreto tale aspetto fino all’ultima parte del combattimento, finché all’improvviso non colpisce nel momento in cui la controparte poteva credere di essere maggiormente al sicuro. Verso un effettiva messa in pratica della celebre asta magica, che tanti personaggi mitici e di fantasia hanno brandito attraverso le epoche per analogie con il loro capostipite in questo particolare contesto culturale. Sto chiaramente parlando di Sun Wukong, l’immortale re delle scimmie che avrebbe viaggiato fino alla remota terra d’India, per accompagnare il monaco Sanzang alla ricerca delle sacre scritture del buddhismo antico…
La storia del leggendario Ruyi Jingu Bang (如意金箍棒) ovvero letteralmente “Asta obbediente con gli anelli d’oro” è quindi direttamente riconducibile a una figura che potrebbe derivare, in maniera più o meno diretta, dal semidio Hanuman, amico e compagno in mille battaglie dell’eroe Rama, personificazione terrena del sommo Vishnu. Così come il suo erede informale Sun Wukong, creato forse a partire dalla figura arcaica della scimmia bianca del regno di Chu (700–223 a.C.) che combatteva disarmata come l’antenato indiano di partenza. Non volendo fare affidamento unicamente sulla sua forza sovrumana per sconfiggere i malvagi, l’erede di tali e tanti personaggi sceglie dunque d’impugnare uno strumento magico concettualmente non dissimile dalle divine Astra, strumenti formidabili usati nelle battaglie degli Dei di quelle terre remote. Ovvero una staffa prelevata direttamente, secondo quanto riportato anche nel celebre romanzo di epoca Ming di Wu Cheng’en scritto nel XVI secolo d.C, Viaggio in Occidente o Xi You Ji (西遊記) dall’armeria del Dio Drago del Mare dell’Est, che l’aveva custodita da quando il mitico re Yu il Grande ne aveva fatto uso per misurare la profondità del mare durante una catastrofica inondazione su scala globale. Attrezzo quindi necessariamente in grado di allungarsi senza limiti di sorta, modificando nel contempo le sue dimensioni, sebbene avesse il “piccolo” problema di un peso costantemente misurabile attorno ai 13.000 Jin, appena inferiore alle 8 tonnellate. Il che non avrebbe del resto impedito alla fortissima scimmia d’impugnarlo e inebriata dal suo potere, terrorizzare tutti gli esseri del mondo, prima di essere necessariamente intrappolata sotto una montagna dal sommo Imperatore di Giada. Se non che a millenni di distanza, per espiare finalmente la sua colpa, sarebbe stata richiamata nel mondo al fine di assistere la succitata sacra missione.
Una storia alternativa e più vicina alla probabile realtà storica all’origine del bastone marziale hou gun lo vedrebbe associato piuttosto a uno dei primi bodhisattva (sant’uomini e donne che pur avendo raggiunto il Nirvana, sono rimasti tra di noi ad aiutarci) che era stato a lungo un umile seguace della via del Buddha di nome Huineng (638-713) incaricato di pulire e riordinare il suo tempio. Finché al fine di proteggerlo dalle frequenti incursioni dei banditi, finì per inventare e praticare un particolare stile di autodifesa, che faceva affidamento sull’impiego di un comune attizzatoio metallico per il fuoco. Successivamente al raggiungimento della trascendenza e relativa attribuzione del nuovo nome di Vajrapāni (corrispondente al dio indiano Indra) egli sarebbe stato quindi venerato come nume tutelare e iniziatore di tutte le tecniche di combattimento che facevano affidamento sull’impiego di un qualsivoglia tipo di bastone. Quale miglior metodo per difendersi, d’altronde, per un monaco aggredito da un brigante, che utilizzare la staffa da passeggio simbolo del suo ufficio, che poteva essere del tipo apotropaico con gli anelli tintinnanti a un’estremità (khakkhara) oppure successivamente avere una foggia più semplice ed utile nel combattimento, come quella dello hou gun reso celebre dallo stesso tempio guerriero dei monaci di Shaolin.
Una leggenda di epoca più moderna, nel frattempo, attribuisce l’intero insieme delle arti marziali della scimmia alle disavventure del maestro di arti marziali Kou Si, che per un crimine incerto venne imprigionato durante il corso della dinastia Qing (1644 – 1911) ritrovandosi ad osservare giorno dopo giorno un gruppo di scimmie che venivano a giocare e combattere tra loro di fronte alla finestra della sua cella. Esperienza a seguito della quale, una volta tornato in libertà, avrebbe elaborato il sistema del kung-fu Da Sheng Men (大聖門) o del “Grande Saggio” metodologia suddivisa in cinque categorie di primate ben distinte: scimmia ubriaca, alta, di pietra, di legno e infine, smarrita. Con la consueta ricerca di un senso apparente d’impreparazione, culminante in realtà con l’assoluta distruzione di ogni possibile avversario che si frapponga sul sentiero dell’esistenza.
Personaggio straordinariamente popolare che attraversa i secoli, il Re delle Scimmie ricompare quindi, qualche volta col suo stesso nome ed altre sotto mentite spoglie, in innumerevoli opere d’ingegno, fumetti, film e videogiochi. Con il suo avatar più famoso, probabilmente, nell’alieno antropomorfo giunto sulla Terra nato dalla penna del giapponese Akira Toriyama nel 1984, che prima di essere trasformato nel proseguire lungo intere decadi di tale narrazione in una versione più contemporanea di Superman, ne brandiva una versione piuttosto fedele denominata Nyoi-bō (如意棒 – “asta compiacente”) potendo fare affidamento anche sulla nuvoletta volante anch’essa derivante in maniera pressoché diretta dalla figura di Sun Wukong. E per suo tramite, quella di tanti monaci guerrieri, altrettanto dediti al lavorìo senza pretese nei confronti del benessere e la realizzazione futura degli umani.