Appena ricoperta da un sottile strato di ruggine, quietamente posta a coronare l’orizzonte ormai era diventata un semplice elemento del paesaggio, come uno scoglio o un promontorio distante. Con la sfera geometricamente perfetta contenente il radar sopra l’edificio principale, e gli antichi lanciamissili puntati verso il cielo, la ponderosa fregata Duquesne attendeva pazientemente di essere risvegliata. Eppure, di sicuro, NON così… É il più perfetto incontro tra occasione, intento e personalità, quello che costituisce il preambolo all’ultimo video della serie Exploring the Unbeaten Path dell’olandese Bob Thissen (!985) già l’autore di molti segmenti d’urbex esplorativo su YouTube, in cui lui con la sua troupe si addentravano all’interno di alcune delle destinazioni più improbabili scovate in giro per il mondo, spesso di natura collegata alla storia militare del paese di turno. C’è qualcosa di fondamentalmente diverso tuttavia, in quest’ultima creazione sponsorizzata dalla compagnia produttrice di videogiochi competitivi online Wargaming, nella quale il nostro si avventura sopra e sotto il ponte di un vascello decommissionato da “soltanto” 13 anni, quindi parcheggiato, con una noncuranza soltanto apparente, a poche decine di metri dalle coste appartenenti all’affollata cittadina di Saint-Mandrier-sur-Mer tra Nizza e Marsiglia, sede di una rinomata accademia francese per sottufficiali, creata in abbinamento al centro di addestramento dei sommozzatori della marina. Il che dal luogo, nel caso specifico, ad un relitto abbandonato usato per lo più col ruolo di frangiflutti nei confronti dell’area portuale, ma che costituisce anche un’importante proprietà militare, sorvegliata a vista per periodi ragionevolmente estesi nel corso di una giornata. Niente di eccessivamente insormontabile, ad ogni modo, per lo spericolato Thissen, che già nel 2017 si era avventurato entro silenzioso deposito in Kazakhistan dove i sovietici avevano lasciato ad arrugginirsi le astronavi somiglianti allo Space Shuttle un tempo associate al costosissimo programma Buran (vedi articolo) ed afferma non senza una punta d’orgoglio di aver già “rischiato la vita, la salute e la libertà” per la realizzazione dei suoi pur affascinanti documentari, che mostrano la storia moderna da un’angolazione davvero interessante quanto rara.
Atteso quindi il calar della notte e compiuta la furtiva traversata usando un probabile gommone che non viene mai mostrato, forse per proteggere eventuali accompagnatori, il gruppo di spedizione che sembrerebbe essere composto questa volta da sole due persone si arrampica quindi oltre la murata, con movenze comparabili a quelle di un pirata mosso dal mero bisogno di sopravvivenza, spesso anche a discapito della ragionevolezza umana.
Ma una volta sopra, invece di prendere d’aggredire un equipaggio di fantasmi, i due assemblano e preparano l’attrezzatura di registrazione, per un video lungo ben 37 minuti che potrebbe anche risultare uno dei più esaurienti e completi pubblicati negli ultimi anni. Dopo una lieve sosta per fotografare e documentare il ponte prima del sorgere del sole (unico caso in cui l’impiego di un’intenso effetto HDR appare pienamente giustificato) la telecamera s’inoltra nelle viscere della deserta cattedrale sul mare, offrendoci uno sguardo elettivo alle sue sale, i meccanismi, il tipo di vita che un tempo non lontano conducevano i suoi oltre 340 marinai ed ufficiali…
E c’è in effetti ben poco di paragonabile in effetti, tra l’approccio operativo di una fregata da combattimento come questa, concepita verso la metà degli anni ’60 al fine di proteggere durante il servizio le portaerei Foch e Clemenceau, rispetto il tipo di navi mostrate nel videogioco più volte nominato dall’autore per accontentar lo sponsor World of Warships, incentrato sulle navi e le strategie d’ingaggio tipiche della seconda guerra mondiale. In una nave come la Duquesne, battezzata in base all’ammiraglio Abraham vissuto nel XVII secolo, che nonostante la fede ugonotta combatté nelle due marine svedese e francese, prima di sconfiggere i pirati barbareschi in una famosa battaglia ad Algeri. Mentre questo agile scafo da 5.300 tonnellate e 158 metri di lunghezza appartenente alla classe di fregata (quella che gli americani chiamano cacciatorpediniere leggero) si presenta essenzialmente costruito attorno ad un singolo sistema d’arma, quello del missile antiaereo (SAM) Masurca, usato per abbattere gli eventuali nemici volanti della nazione. Che almeno nel caso della qui presente nave e della sua gemella Suffren non si è mai in effetti dimostrato necessario, anche in forza dei 42 aerei intercettori Crusader F-8E acquistati ed imbarcati sulle portaerei francesi successivamente al primo varo di questa classe, verificatosi nel 1969.
Una storia che in qualche maniera già traspare nella visita esplorativa, quando gli autori dell’insolito documentario abusivo s’inoltrano nell’ambiente altamente formale del ponte di comando, manovrando con palese soddisfazione personale i controlli ormai disinseriti del timone ed i motori principali, mentre s’immaginano all’interno di una qualche fantasiosa battaglia. Il giro continua poi all’interno della sala di controllo del radar tridimensionale operativo sulla banda L, DRBI 23, dove vengono mostrati i numerosi quadri di comando un tempo usati per controllare le sue numerose funzioni, gentilmente elencate su un’apposita lavagna lasciata intonsa dal personale di decommissionamento. Una presa di coscienza in seguito alla quale, comprensibilmente, Thissen non può esimersi dall’occasione di salire entro la stretta botola fin sopra il calcinotrone a inversione d’onda contenuto nella “cupola” sferoidale del vascello, probabilmente reso tanto facilmente accessibile con finalità originali di manutenzione ordinaria. Prosegue l’avventura, dopo un giro per i corridoi e le relative cuccette oltre alle cabine degli ufficiali, fino alla stanza di controllo del sistema missilistico e del sistema anti-sommergibili Malafon, dove tra una pletora di bottoni il collega dell’autore sembra rimanere colpito, in modo particolare, dai singolari coperchietti di sicurezza metallici posti su ciascuno di tali sistema di controllo, per sistemi potenzialmente letali. Non mancano, a seguire, le inevitabili soste presso l’enorme sala mensa ed il teatro operatorio, usato per interventi di natura medica nel caso di un membro dell’equipaggio ferito, prima dell’accesso senza ulteriori indugi all’hangar dove un tempo erano tenuti i missili Masurca, pronti ad essere inseriti nel canale di caricamento verso le rampe di lancio soprastanti. Completa il giro una visita alla sala macchine, ormai silenziosa ma che un tempo risultava in grado di spingere tutto questo fino alla velocità non trascurabile di 34 nodi.
Colpisce in modo particolare, tra i dettagli che compaiono all’interno del video, l’atmosfera lievemente informale di taluni ambienti, sulle cui paratie metalliche campeggia l’occasionale adesivo dei cartoni animati della Warner Bros ed in un caso, addirittura un graffito a dimensioni naturali del personaggio francese Marsupilami, una bizzarra e divertente concessione all’orgoglio nei confronti delle menti creative della nazione. Altra parentesi intrigante, il ritrovamento di una cartolina inviata da un soldato delle forze speciali a quella che considerava la sua “seconda famiglia” e che l’equipaggio della nave sembrerebbe aver deciso, alquanto appropriatamente, di lasciare a bordo dopo il sopraggiunto abbandono. A perenne ricordo della soddisfazione collettiva per un lavoro ben fatto, che un tempo aveva colorato gli spazi angusti e le ampie sale della Duquesne.
L’approccio alla questione urbex (esplorazione non autorizzata) riesce a confermarsi ancora una volta, dunque, come una pratica via d’accesso a cognizioni che altrimenti, avrebbero per sempre eluso il senso comune dei non specialisti, permettendoci d’immaginare una pregressa situazione operativa che probabilmente, non ritornerà mai più. Pur essendo, allo stesso tempo, infusa di un principio problematico, quando s’immagina come eventuali emuli della troupe di Thissen possano in futuro dimostrarsi meno rispettosi e attenti alla divulgazione di un mondo trascorso, desiderando piuttosto solamente di contaminarlo con alcuni significativi, quanto deleteri segni del loro passaggio. Ed è in effetti alquanto sorprendente, nell’intera questione, che non soltanto l’autore non si faccia problemi nel rivelare la sua identità durante la pratica di una simile attività proibita, ma lo stesso sviluppatore di videogames non abbia alcun timore di associare il suo nome a quello che dovrebbe ad ogni modo rimanere, in linea di principio, un’infrazione piuttosto chiara delle leggi francesi. E chi può dire, a tal proposito, che l’intera iniziativa non fosse stata precedentemente autorizzata ad un qualche livello, magari sufficiente a non finire in carcere nel verificarsi dell’ipotesi peggiore…