Nefasti presagi: le acque alluvionali che minacciano il Buddha mastodontico di Leshan

Nel 1962, durante la carestia che portò alla morte di milioni di persone, egli chiuse gli occhi, al fine di non scorgere le molte vittime che galleggiavano nell’acqua sottostante. 14 anni dopo, alla morte nel giro di pochi mesi di Mao, Zhou Enlai e Zhu Due, un grande terremoto scosse la Cina. Il suo sguardo corrucciato, in quel risvolto critico, parve indicare un sentimento di rabbia e desiderio di riscossa. Nel 2001, quando il paese ricevette il mandato olimpico dopo che si era unito alla WTO, uno strano fenomeno di rifrazione ornò la sua figura come illuminata dalla luce della speranza, mentre la bocca si piegava in un leggero sorriso. Come alte montagne che scompaiono tra i lembi di nebbia, le antiche statue di Buddha attendono il momento in cui coloro che per tanto tempo hanno cercato d’incrociare il loro sguardo, nella speranza di ottenere un aiuto, un presagio. Nella provincia cinese del Sichuan, presso la confluenza dei fiumi Min e Dadu, da un millennio a questa parte esiste una scultura in pietra che raggiunge i considerevoli 70 metri. Essa rappresenta senza dubbi d’interpretazione Maitreya, il discepolo non ancora nato del santissimo Gautama (“Il saggio”) colui che discendendo da una famiglia nobile indiana, ricevette l’illuminazione necessaria per fondare una delle maggiori religioni storiche nella storia dell’Asia. Rappresentato seduto in meditazione come vuole la tradizione, con l’espressione serena e lineamenti squadrati, privi di elementi particolarmente caratteristici perché, naturalmente, nessuno può conoscere il suo aspetto futuro. Particolari davvero conveniente per un qualcosa di scavato, attraverso un secolo di peripezie e tribolazioni, entro la nuda e dura roccia d’arenaria di quest’alta e resistente scogliera. Il Buddha di Leshan o Dafo è stato dunque a lungo utilizzato per interpretare quanto stesse per riservarci il futuro, in funzione di un’espressione ed un contegno in grado di “cambiare” attraverso le generazioni umane, effetto in realtà probabilmente dovuto all’erosione frutto della pioggia, il vento e gli altri elementi. Oggi tuttavia, come già successo in precedenza ma in una maniera che non aveva avuto modo di verificarsi da due generazioni, la colossale statua completamente in pietra tranne le orecchie in legno ricoperto d’argilla appare minacciata dalla casistica più grave e inevitabile data la sua difficile collocazione: che le acque dei fiumi sottostanti, gonfiate dalle copiose precipitazioni atmosferiche di questo problematico 2020 e che stanno minacciando anche la vicina diga delle Tre Gole, salgano fino a ricoprirne l’intera parte inferiore, causando in poco tempo danni comparabili a quelli di parecchie decadi concentrate in poche settimane… E questo SAREBBE soltanto l’inizio. Poiché vuole la leggenda che, nel momento in cui la statua dovesse venire interamente o parzialmente sommersa, la stessa cosa capiterà alla capitale provinciale di Chengdu, con danni incalcolabili data l’odierna popolazione complessiva di 16 milioni di persone. Mentre la protezione civile e l’esercito si affollano attorno ai suoi piedi attentamente scolpiti e tanto grandi da permettere di usare il dito più piccolo come fosse un sedile, disponendo sacchi di sabbia e barriere nel disperato tentativo di prevenire l’inevitabile, sarà opportuno ripercorrere la lunga storia di questa notevole struttura architettonica, scultorea ed ingegneristica, nella speranza che un augurio distante possa, in qualche modo mistico, allontanare l’incombenza del disastro finale…

La visita sistematica del Dafo è un rituale molto importante durante il capodanno lunare, quando è usanza recarsi a fargli visita per ottenere da Buddha una protezione che possa durare fino al termine del ciclo corrente dei mesi. Questo pesante utilizzo con finalità turistico-religiose, negli anni, ha tuttavia accelerato i processi d’erosione danneggiando non poco la statua.

Il grande Buddha di Leshan nasce come concetto durante il corso della dinastia Tang (618-907) nell’anno 723 d.C, quando la figura semi-leggendaria del monaco Hei Tong, rispondendo alle preghiere del popolo, decise di fare qualcosa per allontanare i frequenti naufragi di navi da trasporto e le inondazioni causate dai fiumi che passavano all’ombra della sacra montagna di Emei. In questo luogo strategico, egli decise di porre la più monumentale delle immagini raffiguranti il suo aspetto non ancora palese in Terra (poiché si dice che il Buddha storico non fu il primo, né sarà l’ultimo a raggiungere la divinità) da sempre simbolo di speranza e una possibile rivalsa futura. Per 20 sofferti anni, a partire da quel momento, il sant’uomo si adoperò allora nella raccolta dei fondi necessari a realizzare l’impegnativa missione, scontrandosi con la diffusa corruzione degli enti di amministrazione regionali di un così vasto impero, capaci di agire in particolari contingenze in maniera non dissimile dai banditi. In un risvolto particolarmente tragico e strettamente associato alla statua, il cantiere di Tong venne visitato da un gruppo di esattori delle tasse ai quali egli rispose che non avrebbero mai avuto indietro le risorse necessarie a costruire il Buddha, ma se ci tenevano tanto, gli avrebbe dato la propria vista. Con le sue mani, quindi, egli si cavò l’occhio sinistro (secondo alcune versioni, lo fece invece con entrambi) e lo pose sopra un piatto che porse quindi agli indesiderati visitatori. I quali come afferma la leggenda, sconvolti e colpiti al tempo stesso, non sarebbero mai più venuti a disturbarlo. Alla morte dell’anziano monaco, tuttavia, la costruzione subì un totale arresto per l’esaurimento dei materiali e le altre risorse necessarie per la manodopera, con la statua completa solamente fino all’altezza delle ginocchia. E tutto sembrò essere perduto, se non che 70 anni dopo, il governatore e signore della guerra Wei Gao, anche detto principe Zhongwu di Nankang, non decise di accumulare un significativo karma positivo dando il proprio risolutivo contributo finanziario al progetto. Era ormai giunto l’803 d.C, a quel punto, quando il Buddha di Leshan poté dirsi finalmente ultimato, riuscendo ad assolvere per uno scherzo del destino quell’esatto compito per cui era stata intrapresa la sua costruzione; sembra infatti che le grandi quantità di pietra faticosamente rimosse dal fianco della scogliera, e fatte precipitare nell’acqua mentre proseguiva la laboriosa operazione scultorea, avessero modificato a sufficienza il corso naturale delle acque, da renderlo meno pericolosamente impetuoso e far cessare, gradualmente, gli incidenti marittimi e gli episodi di straripamento. Attraverso i secoli a seguire, in conseguenza di questo, altre statue monumentali avrebbero circondato l’imponente Maitreya, tra cui le figure certamente impressionate dei due Niō (re guardiani) che ne sorvegliano i fianchi, con l’espressione rabbiosa che potrebbe anche costituire, secondo alcune interpretazioni accademiche, un prestito diretto dalla figura ellenistica di Eracle, figlio di Alcmena e Zeus.
Ciononostante, le sfortune del Buddha non erano ancora finite, con il progressivo abbandono durante la prima parte della successiva dinastia Song (960-1279) quando il suo corpo venne ricoperto di muschio e si verificò anche il crollo della grande struttura lignea che, in origine, proteggeva la statua degli elementi. La quale venne finalmente ricostruita durante il regno dell’imperatore Renzong (1010-1063) per venire infine totalmente ed irrimediabilmente distrutta durante le guerre con i mongoli che avrebbero portato all’istituzione della dinastia Yuan (1271-1368). Più volte rovinata dall’incuria e restaurata per quanto possibile, assieme al tempio che trovava un tempo la collocazione in cima alla scogliera, la statua divenne quindi una metafora tangibile dei risvolti spesso conflittuali della storia cinese, fino al caso estremo delle truppe del generale del partito nazionalista Yang Sen, che all’inizio del Novecento usarono la testa di Buddha come bersaglio per fare pratica nell’uso dell’artiglieria. Se non che trentanni dopo, superando ancora una volta le ardue peripezie, i crateri aperti nella statua vennero riparati con nuova pietra d’arenaria portata sul posto da uno sforzo collettivo laico da parte della popolazione locale, riuscendo a riportarlo ad un stato integro entro l’ormai remoto 1933.

Come è possibile osservare in questa ripresa via drone, l’acqua normalmente non raggiunge neanche i piedi di Maitreya, che oggi appaiono invece prossimi ad essere sommersi completamente.

Un episodio capace d’ispirare ammirazione, che d’altro canto non risulta in alcun modo auspicabile quanto la mera e semplice conservazione di un capolavoro tanto antico dell’ingegneria cinese. Il Buddha di Leshan, infatti, vanta un sistema in grado di drenare l’acqua attraverso canali nascosti all’interno del suo corpo ed un’integrità strutturale senz’altro superiore, dato il semplice fatto di essere stata scavata nella scogliera stessa, rispetto a quella Statua della Libertà. Che si dice sia abbastanza alto da guardare negli occhi, se soltanto scegliesse un giorno di alzarsi in piedi dalla propria posizione meditativa. Episodio che potrebbe anche non riuscire a verificarsi tanto presto, come esemplificato dal detto locale secondo cui “La montagna è Buddha, Buddha è la montagna”. Mentre l’UNESCO, nel 1996, inseriva tale meraviglia nell’elenco dei patrimoni insostituibili nella lunga e travagliata storia dell’umanità.
Ma non c’è una quantità di preghiere sufficiente, per quanto possano essere pronunciate con enfasi, a deviare il corso di un singolo fiume. A meno che un’entità superiore, tra quelle più potenti immaginabili, faccia il possibile per esaudirle. E non è sempre facile, dall’altro lato di quel velo, operare la scelta necessaria a preservare il proprio pietroso aspetto in mezzo ai popoli terreni. Soprattutto quando si è in attesa del momento in cui sarà possibile operare tra essi di persona. E nel frattempo le acque continuano a scorrere e salire di livello, del tutto indifferenti alla questione.

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