Quanto è possibile mancare il bersaglio, quando si sta tentando di effettuare la valutazione retrospettiva di un popolo e le sue risorse, i traguardi e le aspirazioni di quell’epoca trascorsa? Soprattutto quando si sta parlando, com’era il caso specifico, di un contesto filologicamente ed archeologicamente noto, quale potremmo definire la società micenea del tardo periodo Elladico attorno al XV secolo a.C. Tremilacinquecento anni a questa parte in uno degli ambiti geografici più a lungo studiati ed approfonditi, causa il ruolo primario nella formazione di quel cursus culturale che avrebbe condotto, per il lungo corso di un’evoluzione costante, fino alla nascita del concetto di filosofia politica e collettività governata in senso moderno, tramandato dall’antica collettività degli Achei. Ciò che i due archeologi svedesi Paul Åström e Nicolaos Verdelis avrebbero trovato nella tomba 12 del complesso sito a Dendra in Argolide, presso la città greca di Midea, si sarebbe dimostrato di molto antecedente alla formazione delle suddette poleis ed ancor più antico degli stessi eroi omerici, che volendo contestualizzare in senso storico, potremmo mettere in relazione con quell’epoca dorata nella stesso modo in cui il Medioevo fece seguito alla conclusione cronologica del Mondo Antico. Una serie di guerre e catastrofi naturali, seguìte da invasioni barbariche di provenienza incerta, che avrebbe riportato indietro l’orologio del progresso tecnologico d’innumerevoli generazioni. Ciò detto sarebbe stato certamente ingenuo ritenere, come alcuni avrebbero preferito fare, che la civiltà creatrice della scrittura Lineare B da cui tanti frammenti e valide testimonianze furono inviate intonse per i lunghi secoli a venire, fosse stata pacifica e del tutto priva di nemici, laddove una parte significativa della loro cultura, religione e tradizioni sono state dimostrate provenire dai minoici dell’isola di Creta, la cui base conquistarono e spietatamente sottoposero ad ordini e sistemi di governo di loro esclusiva concezione. Prima di dirigere le loro mire di conquista verso l’Asia Minore, con la celebre campagna militare che Omero ci trasmise attraverso le gesta degli eroi narrati nel racconto dell’Iliade e dell’Odissea. Quale fosse la realtà di un mito, destinato a raggiungere la parola scritta del poeta cieco non prima di un intero millennio rispetto ai fatti ivi narrati, non è particolarmente facile determinarlo, benché oggetti come la panoplia di Dendra contribuiscano in maniera significativa, se non altro, a definire l’aspetto esteriore della faccenda.
Immaginate, a tal proposito, la prima versione possibile di un carro armato. Un guerriero sostanzialmente indistruttibile, che avanza sul campo di battaglia a bordo di un carro, ricoperto di metallo da capo a piedi, mentre brandisce contro gli avversari la sua lancia o lunga spada triangolare. Il suo elmo bianco come l’osso, ornato di un gran paio di corna o zanne di cinghiale, disposte su ordini alternati sopra un’intelaiatura di bronzo. Questo avrebbe potuto essere il guerriero possessore di un simile apparato o per quanto ne sappiamo, lo stesso Achille sotto le mura dell’orgoglioso Priamo, benché un così elevato livello di protezione ben poco si addica alla leggenda del tipico eroe immortale. Eppure la realtà dei fatti, per quanto era stato già possibile chiarirla in precedenza, parla di fasce e bande bronzee ritrovate nell’intero areale minoico fino alla caduta di quel mondo databile attorno al XII secolo a.C, nonché lo stesso ideogramma utilizzato nei riferimenti testuali al concetto stesso di armatura, configurato come una panoplia completa di spallacci e una gorgera particolarmente alta, probabilmente accompagnata da schinieri, parabraccia e un qualche tipo di abito imbottito, al fine di assorbire adeguatamente i colpi vibrati da un ipotetico nemico. Ma niente, fino a quel momento, che fosse stato possibile paragonare a pieno titolo ad un’armatura a piastre di epoche tanto successive…
Nota: le immagini di apertura, scattate durante la fiera EUREKA del 2018 nel museo di Atene, mostrano una fedele ricostruzione della panoplia di Dendra realizzata da Katsikis Dimitrios, completata dalle parti che non sono mai state effettivamente ritrovate. – Via

Il pezzo straordinariamente completo per quanto concerne la parte del torso, benché mancasse di elmo e protezioni per gli arti, è stato dunque ricomposto e si trova oggi presso il museo di Nauplion, nel Peloponneso settentrionale. Dove campeggia, attorno agli altri ritrovamenti del sito, come uno straordinario anacronismo, nonostante rappresenti a pieno titolo il livello di maestria nella lavorazione dei metalli raggiunto all’epoca dai fabbri della civiltà Micenea. La notevole panoplia, che doveva avere nella sua forma completa un peso di circa 15-18 Kg tuttavia ben distribuiti lungo il corpo del guerriero, si compone attualmente di 13 pezzi uniti assieme, in maniera analoga a quanto doveva avvenire all’epoca mediante l’impiego di lunghe strisce di cuoio in ogni sua parte tranne le giunzioni situate da uno dei due lati, ove trovava posto un sistema di cardini necessario ad aprirla ed indossarla in poco tempo. Per quanto concerne dunque l’elmo che la sovrasta, si tratta in effetti di un abbinamento arbitrario qui portato dal corredo funebre di una diversa tomba, causa il mancato ritrovamento di quello appartenuto allo stesso possessore, probabilmente un condottiero locale di cui non sappiamo assolutamente nulla. Il copricapo scelto a tal fine, quindi, pur rientrando a pieno titolo nella categoria dei più preziosi simboli di status possibili per un militare dell’epoca micenea, non può certo vantare lo stesso eccellente livello di protezione, facendo affidamento a tal fine più che altro al grande numero di zanne di cinghiale, probabilmente appartenute ad oltre 15-20 animali, con il possibile scopo di lasciar desumere l’eccellente abilità nella caccia di colui che l’indossava scendendo in battaglia. Un ruolo cerimoniale che possiamo tuttavia escludere per quanto concerne l’effettiva parte principale della tenuta, tramite l’apprezzamento di alcuni dettagli significativi, quale il grado di movimenti concessi dall’attenta sovrapposizione delle piastre, con elementi che si sollevano a proteggere le ascelle nel momento in cui si sollevavano le armi ed un foro dalle dimensioni maggiori per il braccio destro, lasciando immaginare che il guerriero lo usasse per attaccare, mentre impugnava con l’altro un qualche tipo di pesante scudo. Degno d’interesse risulta essere anche l’estendersi maggiore dell’armatura nella sua parte posteriore, lasciando libere le ginocchia e permettendo di piegarsi maggiormente in avanti, un espediente che sembrerebbe confermare l’impiego concepito idealmente dalla piattaforma rialzata di un carro da guerra, benché le interpretazioni in merito possano variare. L’armatura di Dendra è stata infatti definita a più riprese come oggetto utilizzabile soltanto da un combattente a piedi, oppure letteralmente troppo pesante per spostarsi sul campo di battaglia a quel modo, mentre altri archeologi affermano che il suo peso notevole non avrebbe permesso di mantenersi in posizione eretta durante la carica a bordo di una piattaforma mobile delle postazioni nemiche. A tal fine, diversi sperimentatori ne hanno ricostruito versioni ragionevolmente fedeli attraverso le decadi, dimostrandone il pieno utilizzo in tali ed ulteriori circostanze, dietro l’applicazione di un’adeguata preparazione fisica pregressa. L’intera panoplia sembrerebbe quindi corrispondere ai riferimenti frammentari in Lineare B ritrovati presso l’isola di Cnosso, in cui si parla nelle forniture del palazzo (essenzialmente, la fortezza di una città stato) di o-pa-wo-ta (cose indossate intorno) qe-ro (piastra pettorale) ed e-po-mi-jo (protezioni per le spalle) benché manchino riferimenti a cosa, esattamente, i guerrieri indossassero per proteggere le braccia e gambe.

Chi fossero esattamente, come combattessero e si spostassero sul campo di battaglia gli antenati degli Achei omerici resta quindi un interrogativo di natura piuttosto incerta. Per ragioni riconducibili, almeno in parte, alla cessazione pressoché immediata di tutte le grandi civiltà verso la fine dell’Epoca del Bronzo attorno al 1100 a.C, in grado di coinvolgere allo stesso tempo Micenei, Minoici, Ittiti, Egiziani, Assiri e Babilonesi. Una contingenza che gli archeologi mettono comunemente in relazione con l’invasione dei mai realmente definiti “popoli del mare” forse pirati dell’Anatolia e progenitori dell’immediatamente successiva civiltà Etrusca. Benché non manchino, inevitabilmente, le solite teorie su disastri apocalittici, grandi inondazioni o partecipazioni di entità o menti extraterrestri.
Ciò che resta indubbio, ad ogni modo, è che la storia sia una progressione serpentina e spesso imprevedibile nei recessi scelti per procedere verso l’indomani. Che vede, oltre ai noti corsi e ricorsi, vere e proprie inversioni di rotta, necessarie a riconsiderare cosa sia possa dirsi tecnologicamente possibile, realizzabile o appropriato. Così come la tecnologia necessaria a costruire un’armatura di piastre bronzee sarebbe stata soprasseduta per secoli e secoli da soluzioni più gestibili di natura lamellare o a scaglie, chissà quale sarà la prossima nozione destinata ad essere dimenticata dal senso comune di noi moderni. Che tanto amiamo considerarci invincibili grazie alle vette precedentemente raggiunte, come del resto, lo era stato Achille in mezzo ai suoi innumerevoli nemici. E sappiamo bene la maniera in cui andò a finire QUELLA particolare storia…
