A mali estremi, carri armati sovietici volanti

Titolava con entusiasmo un settimanale scientifico e tecnologico dell’estate del 1932: “Immaginate quelle due formidabili armi della guerra, l’aeroplano e il carro armato, combinate in una singola macchina di distruzione! Per quanto fantastica possa sembrare una tale idea, sta per diventare una realtà nell’esercito dello Zio Sam. Continuate a leggere per scoprine la storia…” Seguivano disegni e qualche fotografia di un piccolo autoblindo, dall’aspetto ragionevolmente corazzato, fornito di una doppia coppia d’ali, una coda e un singolo, gigantesco motore, il tutto progettato da un certo J. Walter Christie, “celebre costruttore di carri armati”. Molto a lungo una volta raggiunto l’apice dell’Epoca Industriale, questa fantasia aveva rimbalzato nella mente degli ufficiali militari, una combinazione di ciò che è lento, solido e possente, assieme alla rapidità, agilità e velocità dei cieli. E laddove la più funzionale realizzazione di quest’incontro può essere individuata nell’effettivo decollo dei primi aerei da attacco al suolo corazzati, uno su tutti il celebre IL-2 Sturmovik sovietico, in molti continuarono a coltivare un’interpretazione più letterale del concetto, in cui l’effettivo veicolo in grado di respingere la fanteria guadagnava la capacità di comparire all’improvviso dietro le linee nemiche, ottenendo il più perfetto accerchiamento immaginabile all’interno di un manuale militare. Con l’ineccepibile visione di Mr. Christie destinata a rimanere per così dire sospesa in aria (pare, infatti, che in tutti gli stati uniti non ci fosse una singola pista di decollo sufficientemente lunga per riuscire a realizzare il suo sogno) un simile obiettivo sarebbe stato perseguito per vie traverse in parallelo da un certo numero di nazioni, già coinvolte in quel vortice di rivalità reciproche che sarebbe stato destinato, entro una quindicina d’anni, a sbocciare nel grande fiore vermiglio della seconda guerra mondiale. I primi a fare esperimenti col trasporto di truppe e veicoli pesanti, paradossalmente, furono proprio i tedeschi nel 1940, mediante l’impiego tattico del DFS 30, un aliante da traino capace di trasportare nove uomini e i relativi armamenti impiegato con successo ed in gran numero durante la presa della fortezza belga di Eben Emael. Una capacità di carico massima di 1.200 Kg, tuttavia, non avrebbe mai permesso a questo velivolo di trasportare un mezzo corazzato realmente degno di questo nome. Interessanti sviluppi, dunque, sarebbero giunti con il proseguire della guerra e l’estendersi del Fronte Orientale, mentre gli Inglesi trasferivano nell’estate di quello stesso anno il loro carro leggero Tetrarch (7,6 tonnellate) al servizio aereo mediante l’impiego dei poderosi alianti GA Hamilcar, veri e propri mostri dei cieli grandi quanto un bombardiere Lancaster e dalla capacità di carico di fino a 8.000 Kg. Ben prima che un tale impressionante sistema potesse essere sfruttato con successo nel corso dello sbarco in Normandia, caricando sugli alianti anche il veicolo americano M22 Locust (7,4 tonnellate) la singolare storia dei carri armati volanti ebbe modo di arricchirsi di un capitolo meno noto e per certi significativi versi, ancor più notevole ed affascinante. Tutto nacque da una sincronia d’eventi e l’eccessiva disponibilità di particolari risorse in confronto ad altre, nel corso di uno dei periodi più drammatici nella storia di Russia.
La Grande Guerra Patriottica per la difesa della Madre Patria, come viene commemorata attraverso l’annuale parata dei primi di maggio in tutte le principali città del paese, o anche “il più significativo conflitto nella storia dei carri armati” nella mente di milioni di storici amatoriali, costruttori di modellini e giocatori di videogiochi. Quando la Wehrmacht, facendo da principio affidamento sui brillanti successi ottenuti in Europa mediante l’impiego della sua arma più temibile, il Panzer, scoprì come l’uomo a Mosca fosse stato in grado di sviluppare un qualcosa di altrettanto temibile ed ancor più resistente: i carri della serie T-34 e i KV, le cui corazze potevano deviare agilmente, con qualche occasionale riserva, ogni tipo di munizione scagliata al loro indirizzo dalle macchina da guerra tedesche. Il problema tuttavia è che trattandosi di tecnologia nuova, di simili meraviglie della tecnica all’inizio del conflitto non ce n’erano semplicemente abbastanza. Ragion per cui i sovietici si ritrovarono a dover schierare, in numero abbastanza considerevole, una macchina antiquata come il carro leggero T-30, soltanto parzialmente ri-ammodernato verso l’acquisizione dell’ambizioso nome di T-60, benché impiegando al meglio le sue 5,8 tonnellate di peso potesse competere al massimo, a quel punto della guerra, con il ruolo di perlustrazione e supporto di fuoco a cui era stato relegato l’ormai obsoleto Panzer II. Il che bastava a concedergli, del resto, l’affinità elettiva con un sogno condiviso da ogni singolo progettista delle contrapposte fazioni in guerra: la potenziale capacità, dietro adeguata preparazione, di spiccare finalmente il volo. E quando al sopraggiungere del 1942 venne coinvolto nel progetto, finalmente, il rinomato ingegnere aeronautico e già costruttore d’alianti Oleg Antonov, apparve chiaro che un simile sogno sarebbe stato finalmente andato incontro a realizzazione…

Facendo seguito alla nota passione russa per tutto ciò che abbia i cingoli e un cannone, questo ingegnere autodidatta mostra la sua replica funzionante del carro armato T-60, permettendoci di apprezzare la natura compatta e il profilo relativamente basso di questa macchina da guerra di comprovata efficienza.

Occorre notare a questo punto come, di suo conto, la Russia non fosse del tutto priva di esperienze in materia di carri armati trasportati fin sopra le nubi, e nonostante mancasse di apparecchi comparabili al DFS 30 tedesco e l’Hamilcar inglese, non si era lasciata certo scoraggiare, con l’approccio alquanto originale di attaccare direttamente degli agili e scattanti tankette T-27 (appena 2,7 tonnellate) sotto bombardieri pesanti come il quadrimotore Tupolev TB-3, al fine di sganciarli con cura una volta atterrati presso un campo di volo alleato. Diametralmente opposto, nel frattempo, si era dimostrato l’approccio usato durante la battaglia di Bessarabia nel 1940, durante cui i piccoli carri erano stati letteralmente sganciati verso il suolo da un’altezza di pochi metri, con la marcia impostata a folle affinché potessero, idealmente, fermarsi all’esaurimento dell’inerzia precedentemente accumulata. Il che richiedeva ovviamente l’utilizzo separato del paracadute da parte degli equipaggi e il successivo rendez-vous, spesso seguìto da laboriosi interventi per la riparazione delle sospensioni e le ruote del T-27 danneggiato. Fu presto chiaro come una soluzione migliore fosse necessaria ed Oleg Antonov, in breve tempo, si dimostrò capace di concepirla. L’A-40 Krylya Tanka ovvero letteralmente “Ali per carro armato” ritornava effettivamente alla visione pindarica dell’americano J. Walter Christie non più mettendo il veicolo T-60 all’interno di una scatola dotata d’ali bensì trasformando esso stesso, in un qualcosa che potesse generare una certa quantità di portanza. Mediante l’impiego di un’aerodinamica struttura in legno e stoffa con apertura alare di 18 metri, dotata di coda doppia e agganci per il traino, che avrebbero visto alcuni dei più grandi aerei in dotazione alla VVS trainare il tutto fino al fronte di battaglia, con il carro volante che in pochi minuti planava verso il terreno con l’equipaggio a bordo, sganciava le ali e si univa entusiasticamente al combattimento. Il carro armato di Antonov presentava dunque alcuni accorgimenti straordinariamente creativi, quale una serie di superfici di controllo azionabili mediante il movimento della torretta, il che avrebbe permesso al pilota veicolare d’intervenire, dopo un breve corso di preparazione, sulla traiettoria e l’assetto del suo strano mezzo ibrido da combattimento.
Una volta concepito un tale mostro si passò quindi alla costruzione del prototipo nel giro di due sole settimane presso la fabbrica del bureau Tyumen, che avrebbe proceduto a metterlo alla prova nel settembre del 1942, coinvolgendo il famoso pilota sperimentale specializzato in alianti Sergei Anokhin. Il carro armato T-60 usato in questo primo esperimento era stato significativamente alleggerito, con la rimozione di tutte le luci, le munizioni e parte dell’armamento. Ciononostante dopo l’avvenuto decollo del velivolo grazie al possente traino di un TB-3, si andò presto incontro a un significativo problema: anche a massimo regime, il bombardiere non riusciva a sostenere i 150 Km necessari a mantenere in area il suo carico senza surriscaldarsi, anche e soprattutto a causa della forma poco aerodinamica del carro armato. Dopo alcuni febbrili minuti, quindi, il frankensteiniano T-40 venne sganciato in mezzo alle campagne, dove Anokhin, sfruttando la sua considerevole esperienza, riuscì ad atterrare senza problemi, quindi accese il suo motore stradale e fece trionfalmente ritorno al campo di volo. L’idea venne quindi giudicata un successo in linea di principio, ma difficilmente applicabile causa l’assenza in quel momento storico di aerei sufficientemente potenti da riuscire nell’impresa. Come innumerevoli altre idee “piuttosto buone ma non abbastanza” nella storia militare moderna, il Krylya Tanka venne successivamente messo da parte, non arrivando mai al coronamento di un effettivo impiego in battaglia.

L’associazione dell’aliante inglese Hamilcar all’importante generale Amilcare Barca, il condottiero che portò gli elefanti africani fino ai territori di Roma durante i conflitti cartaginesi, crea un parallelo storico piuttosto interessante tra la Manica e le Alpi. Possibile che un tratto di mare potesse corrispondere, dal punto di vista strategico e nel mondo moderno, a una catena montuosa nel mondo antico?

Il sogno di un carro armato alato, dunque, fu destinato a rimanere per l’appunto affine a quello di un maiale o mucca che percorra gli empirei territori delle aquile o cicogne, come in un proverbio del sapere popolare sulle cose totalmente impossibili da realizzare. Ciononostante, sarebbe opportuno ritrovare l’applicazione pratica ed il superamento di un simile concetto nella moderna soluzione degli elicotteri d’assalto, capaci di mantenere la superiorità tattica su un tratto di territorio sufficientemente ampio da interdire, sostanzialmente, ogni tentativo nemico di conquistarlo. Che bisogno c’è in fin dei conti, d’impiegare mezzi corazzati quando si dispone di armi tattiche a lunga gittata? Un destino di obsolescenza destinato ad essere condiviso anche dal più moderno e funzionale erede del’IL-2 Sturmovik, l’aereo americano da attacco al suolo ravvicinato A-10 Thunderbolt, strano simbolo di un sentimento patriottico che in fin dei conti, non trova una corrispondenza nell’utilità tattica di un tale aiuto dei cieli. Perché la guerra cambia di continuo, e non sempre riescono fare lo stesso le percezioni soggettive delle persone.
Ma un vero e proprio carro armato capace di spiccare il volo e combattere in entrambi gli elementi resterebbe oggi affascinante, esattamente quanto lo era stato all’epoca dei nostri coraggiosi predecessori. Basti guardare il successo ottenuto su scala internazionale da certi cartoni animati sui robot e mecha giganti, provenienti dalla fantasiosa terra nipponica dell’Estremo Oriente…

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