Il gruppo di piloti osservava l’alta duna sui confini del deserto, mentre gli organizzatori della gara consultavano l’ordine di partenza. Lo striscione posizionato con funzione di traguardo, sulla cima del declivio, oscillava insistentemente nel vento. E nessuno, dopo averlo posizionato, era più salito fin lassù. All’altra estremità dell’area di preparazione, il più eterogeneo gruppo di fuoristrada, SUV, quad bikes ed altri attrezzi a motore: non c’erano mai state regole particolarmente stringenti, del resto, nell’annuale gara di arrampicata del motor club di Riad, capitale e città maggiormente popolosa dell’entroterra saudita. Con un breve segnale inviato tramite megafono, trascorsi alcuni minuti, il capannello di persone venne quindi indotto a disperdersi, mentre ciascuno dei partecipanti prese a dirigersi, con passo certo, verso la cabina o in sella al suo veicolo per la giornata. C’era un po’ di tutto: giovani eredi di famiglie benestanti, con l’auto preso in prestito dal padre, più o meno al corrente delle loro intenzioni. Piloti semi-professionisti in cerca di una scintilla verso il successo, speranzosi di essere notati da un ipotetico talent scout. E poi c’era Maheer, ex-concorrente del campionato pan-arabico nonché vincitore delle trascorse due edizioni locali, a bordo della sua Nissan Patrol del 2015, con la vernice verde bottiglia scrostata dalla sabbia salina del deserto. Accarezzandosi la barba, il campione veterano sapeva di avere ottimi presupposti di ottenere il terzo trofeo di fila, mentre la suono del via spinse con enfasi l’acceleratore, balzando subito dinnanzi alla concorrenza. Fin da subito, tuttavia, notò che c’era qualcosa di strano: la sabbia non offriva l’aderenza che si sarebbe aspettato, quasi come se qualcosa d’imponente spingesse dalla cima del declivio, tentando d’irrompere verso la valle rocciosa, o wadi, dove si trovavano gran parte degli spettatori. Vide quindi un motociclista perdere l’equilibrio alla sua sinistra, mentre gli altri autisti, privi delle sue capacità di controllo dell’acceleratore, iniziavano a scomparire ai margini del suo campo visivo. “Ho una cattiva sensazione…” Fece in tempo a pensare, mentre raggiunta l’ultima parte della salita, grazie a un gioco della prospettiva iniziò a scorgere qualcosa d’inusitato. Come una parete in movimento, il punto più alto del deserto pareva intento a scaricare quanto si trovava sulla sua sommità. Rallentando a questo punto, poiché la vittoria era ormai certa, Maheer stava ormai per raggiungere il traguardo quando finalmente riuscì a comprendere quello che stava vedendo: oltre il parabrezza c’era l’equivalente in scala delle cascate del Niagara, che lui aveva visto di persona durante il suo viaggio di nozze negli Stati Uniti, ormai più di 15 anni fa. Un letterale ferro di cavallo formato in corrispondenza della duna successiva, con almeno 150 metri di diametro, sottoposto al flusso ininterrotto di un gigantesco lago di sabbia, improvvisamente indotto a scomparire verso le viscere tenebrose dell’Inferno. Dimenticata pressoché istantaneamente la gara, l’esperto pilota premette bruscamente sul freno. Temeva, tuttavia, che non tutti ci sarebbero riusciti. E iniziò a suonare insistentemente il clacson, sperando che i colleghi riuscissero a cogliere l’avviso di pericolo con l’urgenza necessaria per riuscire a prevenire indescrivibili conseguenze…
“Il regno di Saud è molto vasto e per questo possiede numerose meraviglie naturali” afferma il commento in arabo offerto spesso, come accompagnamento, ai pochi eppure significativi video che ritraggono il particolare fenomeno, chiamato in lingua inglese sandfall (letteralmente “cascata di sabbia.”) Lasciando ben pochi dubbi sulla sua natura, benché la portata, l’aspetto e le circostanze siano soggette a significative variazioni. Con collocazione geografica generalmente nel più remoto entroterra a meridione della capitale, secondo quanto riportato sulla pagina rilevante dal venerando sito sulle leggende metropolitane e di Internet, Snopes.com. Il quale con possibile sorpresa dei suoi lettori, identifica l’intera faccenda con l’agognato bollino verde “Mostly True” (Quasi del Tutto Vero) a riconfermare la contro-intuitiva realizzazione che si, qui non c’è lo zampino di programmi di alterazione video come Adobe After Effects. Benché occorra, ancora una volta, applicare dei distinguo validi ad approfondire l’ineccepibile questione…
Lungi dal voler smentire l’analisi del celebre sito Internet, vorrei quindi offrire uno spunto d’approfondimento parallelo, a partire dall’effettiva definizione di cosa sia, in termini scientifici, una sandfall. Fenomeno facente parte del complesso sistema terrestre che si occupa del trasporto dei sedimenti, anche detto spostamento dei declivi, esso viene fatto corrispondere nei glossari a due contesti di appartenenza totalmente differenti: il primo, relativo a territori particolarmente secchi ove il suolo, la sabbia, le regoliti vengono smossi dal vento, imboccando la via gravitazionale del non-ritorno. Il secondo situato al di sotto della superficie dell’oceano, avente come causa le correnti di quest’ultimo, quando accade che la sommità di un alto declivio inizi all’improvviso a disgregarsi, scivolando gradualmente fino ai più remoti abissi marini. Ed è proprio da questa specifica dicotomia che emerge, se vogliamo, l’interpretazione più corretta delle comuni cause di una cascata di sabbia, che prevedono una totale assenza, oppure la permeazione totale, da parte del concetto universale di umidità. Laddove il fenomeno ripreso in Arabia Saudita, come possiamo desumere anche da alcuni commenti in lingua locale (Google Translate è uno strumento molto potente) trae l’origine da una casistica assai specifica, quella delle cosiddette flash floods, le inondazioni copiose causate da improvvise quanto ingenti precipitazioni atmosferiche, che incanalate dalle caratteristiche paesaggistiche non sempre permeabili dei deserti, raggiungono l’improvviso “salto” destinato a raggiungere la fama internazionale. Le celebri visioni miracolose dell’Arabia Saudita, in altri termini, andrebbero propriamente definite come cascate di fango o volendo essere ancor più sintetici semplici cascate, ovvero qualcosa di tecnicamente affine a quel mare d’acqua in caduta tra Stati Uniti e Canada che esteriormente ricordano in maniera tanto eccelsa, come titolato con tono altisonante da numerosi blog e post dei social network sull’argomento. Il che non è affatto un caso, visto come tendano a coinvolgere l’intera sommità delle dune, per loro stessa natura elementi paesaggistici ampi e dalla forma tendenzialmente curva, come per l’appunto risulta essere il Niagara. Perché dunque, se si tratta di un fenomeno sempre possibile nel deserto, le cascate di sabbia di cui abbiamo notizia hanno origine tutte in questa specifica zona della penisola d’Arabia, e mai altrove? La ragione è da trovarsi nell’equilibrio particolarmente proficuo tra quantità d’acqua e portata granulometrica del suolo, che porta quest’ultimo a mantenere una parvenza di solidità sufficiente ad apparire ancora come tale, mentre la seconda riesce nondimeno a trascinarlo a valle con l’effetto tanto eccezionalmente ritratto in video. Rendendo queste sedicenti sandfall non più la conseguenza di una condizione affine a quelle normalmente incluse nel termine in questione, bensì l’effetto di una via di mezzo tra i due punti estremi, calibrata da quel genio ineccepibile che riesce ad essere, talvolta, la natura.
Il gruppo dei coraggiosi di Riad, fortunatamente capace di fermarsi in tempo, si era di nuovo riunito sulla sommità della duna, benché stavolta ciascuno restasse a bordo del proprio veicolo, mantenendo per precauzione il motore acceso: “Confida in Allah ma lega lo stesso il tuo cammello” affermava un celebre detto locale. Già alcuni dei più giovani, con roboanti esclamazioni trasportate dal vento, stavano partendo nuovamente, nel tentativo di avvicinarsi il più possibile al centro del vortice finale.
Maheer guardò indietro verso il punto di partenza, dove gli organizzatori e spettatori non più grandi di formiche sembravano incrociare il suo sguardo con fare incerto, cercando di capire cosa, esattamente, avesse causato l’imprevisto e continuativo arresto della gara. Con un mezzo sorriso, l’uomo guardò la foto della moglie sul cruscotto e pensò ai figli che lo aspettavano tra le mura domestiche: “NA-UZO-BILLAH, Sono troppo vecchio per queste cose!” Esclamò allora, mentre voltava la telecamera di bordo verso il lato sinistro. Con un lungo sospiro, aprì lo sportello e scese dalla sua Nissan mentre si rassettava la lunga thobes bianca, preparandosi a descrivere con enfasi quanto sarebbe apparso innanzi al suo possibile pubblico virtuale. Oggi avrebbe sperimentato un possibile cambio di carriera. Forse il suo futuro, dopo tutto, era sul Web…