L’oro: il metallo più prezioso nell’immaginario collettivo, sebbene ve ne siano di più rari, utili o funzionali a far fruttare un investimento. Lo sanno fin troppo bene, loro. Ma c’è un fascino immutabile, in ciò che può essere facilmente plasmato eppure non subisce gli effetti del tempo, non viene corroso, né subisce variazioni quantitative durante il riutilizzo successivamente alla fusione. A patto, s’intende, di potersi fidare di colui che lo lavora. Un tesoro assai più raro di quanto saremmo comunemente indotti a pensare, soprattutto rispetto a materiali facilmente estraibili come i diamanti, laddove tale oggetto del desiderio si trova in natura normalmente associato ai filoni di quarzo, tra le rocce ignee e metamorfiche che furono infiltrate dall’acqua di antichi oceani ormai rimasti privi di un nome. E in un mondo in cui per secoli e millenni plurime generazioni di minatori hanno passato una vita con in mano gli strumenti del mestiere, alla ricerca di un difficile sentiero verso l’arricchimento personale, sembrerà talvolta che ogni ultima possibilità sia stata sfruttata, qualsiasi vena a cui l’uomo potesse accedere dietro un investimento di risorse ragionevole sia andata incontro all’esaurimento. Benché l’opera dei nostri progenitori, di suo conto, non sia priva di effettivi lasciti, oltre a quelli intangibili che pesano sulla cultura e l’economia; così che dov’essi avevano scavato, i loro figli hanno continuato a farlo, e così i nipoti. Fino alla creazione, tra gli altri, di un caso estremo come i West Wits, il campo minerario situato a poca distanza dalla città sudafricana di Johannesburg dove hanno luogo alcune delle miniere più profonde al mondo.
Con nomi come Mponeng (“Guardami”) e TauTona (“Il Grande Leone”) nelle lingue delle antiche popolazioni locali, a cui tali depositi erano già noti, sebbene fossero in origine decisamente più accessibili da parte di opere estrattive a conduzione poco più che familiare. Prima che qui giungessero i macchinari e le maestranze della Ashanti Corporation, fondata in Ghana nel 1897 e destinata a diventare nel giro di pochi anni una delle compagnie estrattive più influenti e ricche al mondo, fino alla fusione, destinata a compiersi oltre un secolo dopo, con la AngloGold per una resa annuale misurabile in milioni di miliardi, visto come basti effettivamente estrarre 0,35 once da un’intera tonnellata di roccia, per poter riuscire a generare un profitto. Non c’è molto da sorprendersi, dunque, se lo scavo in questi luoghi fu condotto senza nessun tipo di risparmio, verso l’ottenimento di quelle che possiamo oggi definire, senza dubbio alcuno, le voragini più profonde mai scavate dall’uomo. Fatta eccezione per l’esperimento del foro di Kula o altri tentativi di trivellazione per scopi scientifici, comunque tanto stretti da non permettere la discesa da parte degli umani. Mentre le miniere sudafricane, di contro, riescono ad ospitare delle vere e proprie città dove non batte la luce del sole, con i loro governanti, mezzi di trasporto e regole completamente diverse da quelle della superficie . É perciò un mondo inaccessibile nonché crudele, quello descritto nei brevi e occasionali articoli scritti sull’argomento sulle testate internazionali, che parlano di tunnel da temperature superiori ai 60 gradi che richiedono l’impiego costante di speciali impianti di raffreddamento e i cosiddetti “minatori fantasma”, uomini disperati, spesso armati fino ai denti con fucili a ripetizione e granate incendiarie fatte in casa, che si nascondono in sezioni ormai chiuse della miniera, spesso con il beneplacito o l’impotenza dei lavoranti legittimi, per accumulare piccole ma significative quantità del desiderabile pegno di opulenza creato dalla natura. Al fine di condurlo a distanza di settimane o mesi, a patto che riescano a sopravvivere ai gas venefici e il costante rischio d’incendi, nelle spietate grinfie dei loro mandanti e padroni. Mentre l’opera di scavo inarrestabile continua, all’inseguimento di un tesoro spesso misurabile in pochi centimetri di giacimento, la coda ormai distante delle antiche sale di una mitica Eldorado africana…
Nonostante la significativa flessione delle entrate subita a seguito della grande crisi finanziaria del 2009, la AngloGold Ashanti mantiene ancora operativi i suoi siti estrattivi nella regione dei West Wits, come esemplificato dalla recente chiusura, relativa alla miniera di Mponeng, sul focolaio di Covid-19 che ha colpito il personale operativo nel mese di maggio con 164 casi, portando all’immediata sospensione temporanea delle operazioni. La vita di costoro risulta in effetti già abbastanza difficile, senza dover inserire nell’equazione gli effetti di un disturbo respiratorio potenzialmente grave. Ciò che resta invariato, tuttavia, è l’intero impianto delle infrastrutture pre-esistenti, che prevedono nel caso citato, con i suoi 4 Km ufficialmente riconosciuti di profondità (non è facilissimo prendere le misure di un tale sito) una serie di ascensori successivi, ciascuno capace di trasportare fino a 140 persone. La cui massa complessiva resta comunque insignificante rispetto a quello degli stessi cavi d’acciaio, tanto lunghi da raggiungere gli oscuri recessi delle profondità terrestri. Ed ecco spiegata la ragione di un tale cambio di piattaforma, visto come un’unica discesa in cabina crollerebbe, semplicemente, sotto l’effetto del suo stesso peso. Altrettanto notevole, dal punto di vista strutturale, l’impianto di raffreddamento capace di pompare fino a 20.000 tonnellate giornaliere di ghiaccio ed acqua salata, in un ammasso semi-solido impiegato al fine di climatizzare gli incandescenti recessi sotterranei. Poco prima di liquefarsi ed essere pompato, nuovamente, fino alla superficie in un ciclo continuo di rinnovamento vitale e imprescindibile. Mentre per l’effettiva navigazione degli oltre 800 Km di tunnel, rinforzati mediante il generoso impiego di cemento a presa rapida spruzzato con il metodo Shotcrete, i minatori si affidano ad appositi veicoli e carrelli ad energia elettrica, dotati di proporzioni appropriate all’impiego in simili spazi spesso angusti e difficili da navigare.
Un luogo tanto irraggiungibile, alla sua profondità maggiore, da aver permesso nel 2008 di scoprire un particolare batterio estremofilo denominato Candidatus Desulforudis audaxviator, capace essenzialmente di sostenere da solo il suo intero ecosistema, mediante la metabolizzazione del carbonio prodotto da forme di vita organiche, come gli umani. Difficile capire, a questo punto, se tale creatura fosse già dormiente a tali oscure profondità, in attesa che qualcuno venisse a fornirgli gli strumenti per sopravvivere, e riuscire nuovamente a moltiplicarsi. Finalità perseguita mediante il metodo di scavo chiamato in lingua inglese shaft sinking o “Del pozzo (centrale) sommerso” consistente nel ricavo di una struttura letteralmente paragonabile a quella di un grattacielo ma costruita all’inverso, progressivamente rinforzata verso il raggiungimento del suo obiettivo finale, molte centinaia, se non addirittura migliaia di metri distante dalla superficie del globo terrestre. Finalità generalmente perseguita mediante l’impiego di macchinari realizzati ad-hoc, sebbene non manchino soluzioni standardizzate, offerte da alcune delle maggiori compagnie operative in questo redditizio settore dell’industria.
La miniera resta un mondo fuori dal mondo, dunque, dove il benessere e lo stato di salute mentale di chi ci lavora vengono necessariamente subordinati alla ricerca di profitti da parte di un’organizzazione al di sopra di mere considerazioni di natura morale. Poiché il sistema da cui trae una ragione per la sua stessa esistenza è sufficientemente antico, e redditizio, da poter giustificare un’operatività indipendente dai mutamenti sociali e le nuove regole introdotte in superficie. Almeno finché l’agognato carburante di una simile realtà, più potente dell’anti-materia stessa, andrà incontro all’esaurimento tanto a lungo paventato.
Ma l’estrazione dell’ultimo grammo d’oro, a differenza di quanto sta per accadere con i carburanti fossili e potrebbe un giorno, non molto lontano, coinvolgere anche quelli nucleari, non porterà un’immediato stato di rallentamento o persino arresto dell’industria internazionale, messa da parte l’eccezione potenziale di quella elettronica dei superconduttori. Sarebbe quindi esagerato, a questo punto, affermare che la situazione possa soltanto andare incontro a validi presupposti di miglioramento?