L’aereo in volo sulle ali ioniche del cambiamento

Chi tocca muore non è un grandissimo problema, se si sta parlando di un cavo dell’alta tensione. Dopotutto questo non si muove ed anche se potesse farlo, chi mai potrebbe anche soltanto pensare di salire fin lassù. Diverso è il caso di una grossa libellula, che per un motivo o l’altro dovesse tentare di dirigersi verso la vostra posizione. Verso l’ottenimento di un traguardo irrinunciabile, nella storia presente e futura di un intera branca dei trasporti che sconfiggono (per qualche attimo) la gravità. Io credo che se dovessi chiedervi il peso di 600 watt erogati a un potenziale elettrico di 40.000 volt, difficilmente rispondereste, non importa quanto aperta sia la vostra mente, 2,5 Kg. Di batterie, cavi, anodo, catodo e un gran paio d’ali, largo all’incirca 5 metri, assemblate come presupposto di partenza ad uno degli esperimenti assai probabilmente più importanti condotti presso le speculative sale del MIT, l’iconica università privata (come tutte quelle che contano, da quelle parti) tra i palazzi e verdi giardini di Cambridge, Massachusetts, U.S.A. E tutto questo grazie al sogno e alla visione del Prof. di aeronautica Steven Barrett, che nei termini da lui stessi utilizzati si era prefigurato di creare un velivolo capace di spostarsi sfruttando la stessa: “Energia bluastra che si vedeva fuoriuscire dai reattori di Star Trek” piuttosto che i soliti, noiosi, motori a turbina, elica o jet. Il che l’avrebbe portato, attraverso una serie di complesse circostanze non del tutto chiare, a progettare a condurre fino al decollo nel recente 2018 il suo “Versione 2” l’aereo che può funzionare senza nessun tipo di parte mobile, per lo meno che possa risultare visibile dal comune occhio umano. In una scena svoltasi all’interno della palestra del campus dunque, di fronte a telecamere, colleghi e semplici curiosi al termine degli allenamenti, l’oggetto non del tutto identificato si è staccato dalla rampa di partenza, giungendo a percorrere un tragitto di 60 metri che potrebbe anche non sembrare molto, finché non si considera l’enorme potenziale della tecnologia di base: il motore ionico, una nostra vecchia conoscenza. La cui nascita risale, in forma teorica, nel 1911 grazie a un documento pubblico dello scienziato missilistico russo Konstantin Tsiolkovsky poi ulteriormente chiarito dagli appunti dell’ingegnere americano Robert H. Goddard, fino alle prime prove sperimentali del 1916-17. Ma il primo vero propulsore basato sulla fisica dell’energia elettrica nasce soltanto nel 1959, per l’opera di Harold R. Kaufman, riuscendo a raggiungere l’orbita terrestre a bordo del veicolo di prova SERT 1. Una stretta associazione col programma spaziale, questa, che trova ampia giustificazione in quelli che risultano essere i punti forti e deboli di tale specifica soluzione veicolare. Di un impianto inerentemente incapace, per sua stessa natura, di vincere l’attrazione della Terra in condizioni meno che ottimali, data la quantità di cavalli inerentemente limitata ma dotata di un’efficienza molte volte superiore a quella di qualsiasi alternativa basata sulla combustione chimica, riuscendo ad erogare, in un periodo di svariate ore o giorni, una potenza complessiva molto superiore a parità d’impiego di carburante. Il che per lungo tempo ha costituito un ostacolo insuperabile all’effettivo impiego nel volo atmosferico terrestre, almeno finché il team di Barrett non ha dimostrato come fosse possibile ridurre il peso, ed aumentare la potenza, fino al punto di poter contare in linea preventiva su una nuova intera branca dei sistemi di trasporto disponibili al potenziale inizio di una nuova Era. Niente di troppo diverso, fondamentalmente, da ciò che fecero i fratelli diventati celebri librandosi sulla collina di Kitty Hawk…

Il propulsore ionico elettrostatico, inventato nel 1957 dallo scienziato della NASA Ernst Stuhlinger, è uno dei sistemi favoriti tra quelli che potrebbero portarci fino alla superficie di Marte. Tale apparato, in linea di principio e con un tempo sufficientemente lungo a disposizione, potrebbe facilmente avvicinarsi alla velocità della luce.

Il principio del motore ionico non d’altronde troppo complicato, benché si basi su un’applicazione non contro-intuitiva di processi largamente dati per acquisiti. Esso trae l’impulso dello dalla tendenza a chiudersi, indipendentemente dalla tipologia specifica presa in considerazione, di un circuito elettrico incompleto, composto da un generatore incaricato di ionizzare un gas (tra i più utilizzati argon, xenon e bismuto) ed il suo punto d’attrazione dalla polarità inversa. Nel caso dell’aeromodello “Versione 2”, una serie di cavi d’acciaio situati d’innanzi a ciascun elettrodo lungo e piatto, posizionati in modo tale da aumentare la portanza del velivolo verso la sua ultima destinazione. Mentre versioni maggiormente comprovate risultano essere il cosiddetto gridded ion thruster, basato su una griglia elettrostatica capace di garantire il recupero degli elettroni o il motore ad effetto Hall (HET) che utilizza un campo magnetico al fine di direzionare con maggiore precisione il flusso dell’energia. In altri termini e chiarendo ulteriormente la questione, ciò che tale meccanismo ha il compito di garantire è la generazione di una quantità sufficiente di microparticelle ioniche (elettroni) inevitabilmente attratte dall’innato magnetismo della parte posteriore del velivolo, generando un flusso d’aria in grado di spostarlo innanzi per effetto delle leggi Newtoniane, in maniera analoga a quanto garantito da motori di tipologie maggiormente convenzionali. Pura fantascienza o il disegno fantasioso di un bambino, si potrebbe essere portati a credere, finché non si apprende come tale sistema abbia già trovato larga applicazione per il mantenimento della posizione orbitale da parte di numerosi satelliti e in una significativa serie di sonde scientifiche, tra cui quella della Nasa Deep Space 1 e l’avveniristica giapponese Hayabusa, capace di raggiungere nel 2005 l’asteroide nei dintorni della Terra Itokawa, per un’approfondita analisi risultata fondamentale nell’approfondimento di una simile tipologia di corpi. In ogni singolo caso tuttavia, come ausilio di supporto a impianti di natura convenzionale, utilizzati durante la spinta iniziale o allo scopo di sopraffare l’attrazione gravitazionale del nostro ingombrante pianeta. Mentre il potenziale dell’intera faccenda, per quanto concerne apparecchi concepiti al fine di volare al di sotto della rarefazione dell’atmosfera, resta letteralmente e largamente pressoché inesplorato. Allo stato attuale della ricerca e per quanto ci è dato comprendere ad ogni modo, dato il posizionamento del testo di ricerca dietro un significativo paywall (e almeno in questo caso, non è difficile comprenderne la commerciale ragione) le applicazioni nel campo dei trasporti a misura d’uomo restano piuttosto remote data l’effettiva spinta garantita dal motore ionico, benché la strada sembri percorribile per quanto concerne la creazione di una nuova generazione di droni, molto più silenziosi e dotati di un’autonomia di volo potenzialmente molto superiore, benché i problemi da risolvere restino cionondimeno significativi. In modo particolare, benché le tecnologie prive di parti mobili siano teoricamente facili da adattare su scale sovradimensionate, tale proposito resta allo stato attuale per lo più basato sull’empirismo, mentre la significativa tecnologia di due anni fa, forse anche a causa dei recenti eventi, resta largamente priva di finanziatori potenzialmente interessati a produrla in serie.

Il tono futuribile presente nel tipo di trattazione di cui viene spesso fatto oggetto il motore ionico, nella maggior parte dei casi, lascia intendere una proiezione di risultati tutt’altro che prossimi. Come avviene spesso in campo scientifico, tuttavia, nulla ci lascia pensare che la sua evoluzione debba essere lineare…

L’impiego atmosferico di un motore ionico presenta, dunque, significativi problemi aggiunti ma anche importanti ausili potenziali. Lo stesso impiego dell’aria come accelerante, capace di massimizzare l’attrito e quindi la spinta con le particelle ionizzate del gas usato come combustibile, potrebbe idealmente consentire un giorno la sostituzione completa degli attuali rumorosi, ingombranti e problematici motori chimici degli aeroplani. Il che, sebbene non risolva a monte il problema della produzione energetica, se non altro servirà a ridurne il problematico impatto ambientale. Il che dimostra non soltanto come ad ogni azione corrisponda sempre un reazione uguale & contraria (etc.) ma la maniera in cui affrontare rischi, andando contro preconcetti largamente acquisiti, possa costituire il portale d’ingresso verso nuovi, significativi sviluppi della tecnologia umana. Cosa possa riservarci il domani, dunque, non è del tutto chiaro. Ma io per essere sicuro, inizierei da subito a tenermi a prudente distanza dai modellini fulminanti degli aeroplani. Soprattutto dentro la palestra di famose università americane dove, come è noto, il balzo quantico del cambiamento trova il modo di concretizzarsi assieme a quello degli atleti. Sottraendogli la palla cosmica, di quella partita a basket che è il mistero stesso dell’esistenza.

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