Pescando per caso il secondo pagliaccio più colorato dei mari

Che il mondo sotto l’oceano sia un territorio inesplorato d’innumerevoli meraviglie è stato più volte provato non soltanto dall’esplorazione diretta ma da opere creative come Finding Nemo della Pixar, in cui un vasto ventaglio di specie ittiche e non solo è stato utilizzato come base per il design di personaggi al tempo stesso fantasiosi, variopinti e scientificamente corretti nel rappresentare le proprie famiglie d’appartenenza. Un discorso facilmente espandibile, questo, mediante l’ampliamento di tale processo creativo ad ambienti ulteriori oltre al centro luminoso di quella diva letteralmente visitabile negli abissi, l’ammirata, popolosa, sempre minacciata barriera corallina. Come ad esempio le pietrose coste dell’isola di Zamami, prefettura giapponese di Okinawa, dove il titolare del celebre canale di pesca Fishing Gang Azusa si è trovato compiere un’escursione armato dell’inseparabile canna (ma niente cappello di paglia come l’iconico Sanpei) che l’avrebbe condotto, senza particolari indugi, verso uno dei suoi video virali di maggior successo online. Il tutto a partire da un post di Twitter in cui figura, il volto coperto con bandana anti-Covid e occhiali da sole, mentre tiene in mano il pescato più fantastico di una buona parte della sua intera carriera online. Al culmine di una giornata ragionevolmente prevedibile, in cui il precedente successo di maggior conto era stato uno snapper imperatore (Lutjanus sebae) dalla lunghezza di circa 40 cm, subito diligentemente ributtato in acqua. Per estrarre dal mare quindi, dopo alcuni minuti di suspense, la creatura in grado di far esclamare ai suoi due compagni di avventura: “Ma è vero o soltanto un giocattolo?” E un ancor più sintetico e meta-referenziale: “Nintendo Splatoon”. L’essere esposto al digitale ludibrio si presenta in effetti come un pesce di dimensioni comparabili al collega ma caratterizzato da una colorazione cangiante azzurra, celeste, verde ed a strisce rosa, capace di sviluppare un disegno che non sfigurerebbe in alcun modo sopra l’ala di una farfalla. La luce del sole diretta dall’alto contribuisce a enfatizzare, inoltre, tale armonia priva di precedenti, dimostrando senza ombra di dubbi che il bello rimane tale senza limiti di contesto, accrescendo piuttosto se stesso nel momento in cui viene trasferito in situazioni fuori dal suo quotidiano. “Si tratta di un kinubella/kinubera” esclama quindi il più esperto Azusa, mentre già si appresta, secondo il comportamento del più etico pescatore sportivo, a restituire anche questo magnifico abitante al suo luogo di provenienza originario. Utilizzando il nome comune giapponese di quello che gli anglofoni definiscono Surge wrasse da un antico termine gaelico che significa “vecchia signora” e gli scienziati con l’espressione latina Thalassoma purpureum, un riferimento alla livrea sgargiante che nella maggior parte delle situazioni non sembrerebbe, in effetti, dotarlo di grandi presupposti mimetici validi a incrementare le sue possibilità di sopravvivenza. Ma piuttosto la capacità di spaventare i (molti) nemici attraverso un’eccessiva visibilità, teorico sinonimo di un contenuto tossico o velenoso. Nessuno di tali preconcetti, tuttavia, risulta effettivamente riconducibile nei confronti di questo pesce per molti versi sorprendente…

Rispetto al pesce pagliaccio, i wrasse sono creature maggiormente affusolate ed idrodinamiche, caratteristiche primarie dato il loro ruolo di predatori particolarmente aggressivi, che le loro prede siano piccole creature indipendenti o parassiti che infestano i potenziali divoratori di loro stessi.

Il Thalassoma che rientra, volendo passare a strumenti d’analisi di natura maggiormente scientifica, nella famiglia cosmopolita dei labridi famosi per la colorazione sgargiante ed una particolare conformazione della mascella, protrattile e dotata di pseudo-canini piuttosto acuminati al fine di fagocitare una grande varietà di prede inclusi gamberi, molluschi, vermi policaeti, granchi decapodi, coralli, echinodermi, alghe ed ovviamente, pesci di dimensioni più piccole, consumati con lo stesso grado di pregiudizio che porta i nuotatori di maggiori dimensioni a far di lui un boccone soltanto. Una varietà di possibili casi che prevedono, prevedibilmente, altrettante forme e proporzioni del labride di turno, tra cui il kinubella con i suoi 40-45 cm va inserito per quanto lo riguarda, di suo conto, nello spazio ideale dove si trovano le specie più grandi. Mentre i suoi cugini della parte più interna delle barriere rientrano spesso nella stessa classe di dimensioni del già citato pesce pagliaccio (spp. Amphiprioninae, 10-15 cm) con cui condividono anche l’abitudine di ripararsi dai predatori nascondendo se stessi all’interno dei tentacoli di anemoni velenosi, da cui hanno sviluppato l’immunità. Benché il labridi possiedano anche una capacità ulteriore, in grado di farne tra i più abili e scaltri “pulitori” dell’intero ambiente marino. Sto parlando, per essere chiari, dell’abitudine dei pesci più piccoli ad offrire un servizio utile alle specie più imponenti, nutrendosi degli ectoparasiti che infestano il loro corpo, spesso arrivando ad inoltrarsi nella bocca di creature perfettamente capaci, se soltanto ne avessero il desiderio, di trasformarli in un gradito ed inaspettato snack di metà giornata. Un ruolo al fine di perseguire il quale, dato il non insignificante grado di rischio, tali fornitori di un utile servizio hanno imparato a giudicare i potenziali clienti, “ricompensarli” per la pazienza mediante un lieve massaggio dorsale e qualche volta, se gli conviene, persino imbrogliare mordicchiando i tessuti vivi ed il muco prodotto dai pinnuti esseri che tanto ingenuamente si erano fidati di loro. Così che sospettando un grado d’intelligenza superiore alla media, in una celebre ricerca del 2019 il biologo dell’Università di Osaka Masanori Kohda pose alcune di queste creature di fronte a uno specchio, riuscendo a dimostrare mediante l’espediente di un puntino colorato sul fianco la capacità dei piccoli pesci di riconoscere l’immagine di se stessi, come idealmente possibile soltanto per gli uomini, delfini e scimpanzè. Difficile dire, ad ogni modo, se tale capacità si applichi anche al Thalassoma pescato da Azusa, benché almeno la prassi riproduttiva debba risultare senz’altro simile a quello dei labridi dalle dimensioni più ridotte. Processo secondo il quale, nella maggior parte dei casi, questi pesci nascono femmine e diventano maschi soltanto nella parte finale della propria vita, periodo durante il quale acquisiscono la colorazione più accesa e diventano, al tempo stesso, tendenzialmente più aggressivi.

Questo labride pulitore non sembra avere alcun tipo di paura mentre s’inoltra nella bocca di uno scorfano, cercando intrusi di natura particolarmente nociva da cui liberare il suo striato paziente. Non è del tutto inaudito, del resto, che quest’ultimo dimentichi momentaneamente l’utilità di un simile servizio, con conseguenze per il “dottore” fin troppo facili da immaginare.

Tra il consorzio dei labridi, pesci piuttosto prolifici e adattabili con distribuzione su scala globale (lo stesso T. purpureum si trova nel Mar Rosso, l’intero Oceano Indiano e parte del Pacifico dal Giappone all’Australia) esiste tuttavia almeno una specie che vive un possibile rischio d’estinzione futuro, che risulta essere guarda caso anche la più grande e forse spettacolare dell’intera famiglia. Sto parlando del pesce Napoleone o Cheilinus undulatus, anche detto labride gobbuto per la preminenza bulbosa sopra la fronte, che potrebbe forse idealmente ricordare la forma del cappello preferito dal celebre conquistatore francese. Una creatura di fino a 180 Kg e 2 metri di lunghezza, tuttavia non del tutto dissimile, per abitudini e comportamento da predatore carnivoro opportunista, da wrasse più maneggevoli come il purpureum ed i suoi cugini pulitori. Benché la lunga vita di fino a 30 anni (squali permettendo) tenda a rallentare i cambiamenti di sesso necessari a ultimare il processo di accoppiamento, ponendo le basi del suo stato di conservazione non propriamente eccelso, particolarmente nei paesi d’Oriente dove viene considerato una prelibatezza a tavola particolarmente preziosa.
Colorati, agili, intelligenti e spesso pieni di sorprese, non c’è quindi alcun dubbio che i labridi costituiscano la potenziale fonte di un’altro racconto fantastico a cartoni animati, che il mondo attende di conoscere con l’acqua in bocca ed il fiato sospeso. A meno che le barriere coralline finiscano per sbiancarsi del tutto, lasciando entrare sulla pista circense della creatività un tutt’altro tipo di clown. Il cui canto triste, d’altra parte, risulterebbe non meno conforme all’attuale stato ecologico delle cose.

“Il primo dovere del principe è quello di fare ciò che vuole il popolo, ma il popolo non sa quasi mai ciò che vuole. Io do un ordine, o taccio.” E i gamberi tra le rocce furono molto colpiti dalla sua affermazione, tanto che tacquero immediatamente. O forse avevano solo paura di essere divorati?

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