Sospeso in apparenza immobile nel cielo notturno, chiaro e limpido nella sua forma distinguibile soltanto con ausili ottici all’osservazione, il pianeta Saturno appare come la perfetta personificazione del concetto di un’esistenza tranquilla e silenziosa. Niente potrebbe, nella realtà dei fatti, risultare più errato: il grande gigante gassoso dagli anelli e le 52 lune, affascinanti residuati di un possibile cataclisma mai osservato da esseri viventi, è un agglomerato tempestoso d’idrogeno, elio e qualche altro elemento “lievemente” più pesante, con un possibile nucleo roccioso simile alla composizione della Terra. I cui strati successivi di materia, sovrapposti e intersecantisi tra loro, risultano soggetti a forze totalmente inimmaginabili dai preconcetti largamente non-confermati che si trovano a nostra disposizione. Venti superiori ai 1800 Km orari, vortici profondi dieci volte l’Oceano Pacifico, tempeste senza fine che superano largamente nel diametro un insignificante pianeta come il nostro. Eventi atmosferici il cui esempio più famoso, scoperto dagli umani grazie alla sonda Voyager nel 1981, è il colossale uragano dall’impossibile forma geometrica, collocato in corrispondenza del gelido polo planetario. Più volte discusso dagli appassionati di teorie parascientifiche ed extra-terrestri, come immagine “troppo perfetta” per poter avere un’origine di tipo naturale, la strana caratteristica è stata sottoposta negli anni a partire dal 1993 a una serie di lunghe osservazioni mediante il potente telescopio Hubble, quindi ulteriormente approfondita nel 2006 con l’ultimo passaggio della navicella Cassini–Huygens, prima dell’ultimo “tuffo” autodistruttivo attraverso gli strati superiori dell’atmosfera. Iniziative al maturarsi delle quali, con i caratteristici tempi lunghi delle scienze spaziali, in questi ultimi due mesi il pianeta color crema è stato il soggetto di un paio di studi alquanto innovativi, la cui interpretazione combinata può fornire un nuovo metodo interpretativo, potenzialmente utile a comprendere, finalmente, la remota origine di una tale meraviglia della natura. Il primo risalente all’inizio di maggio, ed opera di un team internazionale facente capo ai due scienziati dell’Università di Bilbao nei paesi Baschi Sánchez-Lavega e García-Muñoz, parla di una stratificazione verticale fino all’altitudine di 300 Km sopra la geometrica tempesta suddivisa in almeno sette diversi sistemi di foschie distinguibili attraverso l’esame spettrografico di Cassini, possibilmente frutto delle oscillazioni nella densità e la temperatura di Saturno a diverse distanze dalle sue oscure profondità inferiori. Nient’altro che l’effetto delle cosiddette onde atmosferiche gravitazionali (un fenomeno diverso da quelle dello spazio-tempo dimostrate nel 2016) causate dall’interazione tra la massa planetaria e l’energia delle masse d’aria, spostate attraverso l’effetto implacabile dei venti. Neppure tale presa di coscienza relativamente allo sviluppo verticale dell’esagono, tuttavia, avrebbe potuto prepararci alla nuova interpretazione pubblicata al termine della prima settimana di giugno…
Il secondo studio oggetto di questo articolo è invece opera dei due studiosi dell’Università di Harvard, Yadav e Bloxham, che nel corso degli ultimi mesi hanno lavorato ad una nuova simulazione informatica dei venti di Saturno, non del tutto dissimile da quelle messe in pratica nel corso degli anni trascorsi. Una prassi conduttiva verso la cognizione largamente diffusa secondo cui l’insolita mega-tempesta esagonale potrebbe essere la risultanza di un processo osservato anche sulla Terra e denominato onde di Rossby, dal nome del fisico svedese che le ha per primo teorizzate nel 1939. Processo derivante dalla conservazione del moto angolare da parte di correnti ventose lineari, che in prossimità dei poli di un pianeta dalla forma sferoidale tendono ad assumere una forma circolare, formando dei veri e propri vortici che quindi tornano di nuovo a liberarsi, nel momento in cui si superano quel punto chiave del loro progressivo ritorno all’equatore. Approccio idealmente valido, assieme all’ipotesi di un complicato sistema di correnti, a spiegare la formazione di una forma tanto accidentalmente riconoscibile da parte dell’interpretazione umana. Ciò che il nuovo studio aggiunge alla discussione, tuttavia, in maniera affine a quello basco sui sistemi di foschia, è la cognizione secondo cui l’aspetto superficiale del vortice, attraverso la notevole profondità degli strati semi-densi di Saturno, possa non riflettere assolutamente la sua effettiva natura, letterale radice alla base dell’intera faccenda. Ecco dunque il nuovo calcolo di una simulazione non-lineare anelastica in 3D, estremamente complessa dal punto di vista informatico e quindi frutto anche di un ragionevole grado di approssimazione, in cui sotto al “coperchio” di natura esagonale si troverebbero non uno bensì quattro vortici, di cui uno centrale mantenuto in posizione dai tre compagni, con una complessiva natura schiacciata che contribuisce a dare un’impronta multi-laterale alla forma totale del complesso. Struttura la quale, soltanto ad un livello superiore che è poi quello osservabile dai nostri telescopi, assumerebbe quindi l’impronta dell’esagono, in realtà frutto di una sofisticata interazione tra gli strati sottostanti.
Il che rivoluziona, in un certo senso, le cognizioni fino a questo punto acquisite, permettendo d’interpretare in maniera letteralmente più approfondita la natura stessa di cosa sia, in effetti, un gigante gassoso ed il diverso tipo di circostanze che possono determinare il suo continuativo stato d’esistenza. Molte sono state le teorie pregresse, fin dall’originale osservazione messa in pratica da Galileo con il suo primitivo telescopio nel 1610, spese in merito all’effettiva composizione di questo corpo tanto esteriormente diverso dagli altri, a partire da quella del grande scienziato rinascimentale che in un primo momento aveva definito Saturno un “corpo triplo” formato dalla sfera centrale ed altre due quasi altrettanto grandi ai lati. Fino alle osservazioni di Christiaan Huygens (1655) e Giovanni Domenico Cassini (1671) responsabili rispettivamente di aver scoperto l’effettiva forma degli anelli e quattro delle maggiori lune esclusa Titano, la cui esistenza era stata già scoperta dall’insigne predecessore. Il tutto a fronte di trattati religiosi come quello di Leone Allacci, bibliotecario vaticano, che soltanto pochi anni prima scriveva di come l’aspetto insolito del pianeta fosse la risultanza della sua origine sacra, in quanto manifestazione universale dall’ascensione del santo prepuzio di Gesù Cristo. Spiegazione in merito alla quale, comprensibilmente, la scienza non ebbe granché da aggiungere.
Perché gli studi sugli aspetti maggiormente sorprendenti della materia, in conclusione, risultano utili in molteplici maniere parallele. Non ultima quella necessaria a scacciare il tipo d’interpretazione intuitiva che, prima dell’invenzione del metodo scientifico e ancora svariati secoli dopo la sua introduzione, portano a cognizioni chiaramente erronee per quanto concerne molti aspetti fisici dell’esistenza.
Vedi l’idea, tutt’ora sostenuta da un certo mondo parallelo all’accademia scientifica propriamente detta, secondo cui l’esagono di Saturno debba essere una sorta d’interfaccia del pianeta con l’energia eterea emessa dal Sole, secondo il concetto metafisico dell’Universo Elettrico, nato da un fraintendimento dell’interpretazione cosmologica del fisico svedese vincitore del premio Nobel nel 1970 Hannes Alfvén. Laddove la mera osservazione dei fatti lascia intendere una particolare relazione del cerchio, forma implicita di ogni vortice naturale, con il numero sei. Disegnando una circonferenza e una seconda più piccola in un punto qualsiasi della prima, per poi continuare ad aggiungerne delle altre nei punti d’intersezione, sarà possibile ottenere esattamente sei cerchi. E se si pongono sei monete su di un foglio di carta, tentando di avvicinarle il più possibile, una si troverà al centro, con le altre attorno in una forma perfettamente simmetrica e circolare. Ora unite i punti più distanti di tale agglomerato con una linea tracciata a matita; sapete cosa avrete ottenuto? Un esagono. Lo stesso dio greco del Tempo, con un occhio di riguardo al suo pianeta, non avrebbe potuto fare meglio di così.