Assolutamente certo del suo destino, il guerriero marcia innanzi lungo il fusto del Grande Tronco, in realtà nient’altro che un semplice albero di limoni. La prospettiva, d’altronde, è lo strumento di cui abbiamo bisogno per interpretare la realtà. E nel guardare l’individuo erbivoro dall’elmo cornuto (o forse dovremmo chiamarle antenne?) tutto ciò che questi offre ai nostri occhi è la piastra impenetrabile dell’ampio scudo simmetrico, posto sulla schiena per proteggerlo dal ferro acuminato di combattenti più grandi, pennuti e forti di lui. Barbari volanti che avranno il compito, per farne un singolo boccone, di superare l’arma chimica che fornisce il nome per la sua macro-categoria d’appartenenza: emitteri>emerotteri>Pentatomoidea>Tessaratomidae o come sono soliti chiamarli in lingua inglese, insetti-puzza giganti (giant stink bugs). In qualche forma, potremmo dire di averli già conosciuti. Non c’è infatti grande differenza dal punto di vista del ciclo vitale e stile d’alimentazione tra questi e i Pentatomidae, la più vasta famiglia di quel particolare ramo dell’albero dell’evoluzione cui appartiene, tra gli altri, anche la cimice verde comune in Italia (Nezara viridula) che del resto rassomiglia vagamente nell’aspetto, a parte la varietà sgargiante dei colori, alle sue distanti cugine particolarmente diffuse nei paesi tropicali del Vecchio Mondo. Almeno una volta raggiunta l’età adulta, visto come nell’ottica di una crescita di tipo emimetabolico, ovvero soggetta a metamorfosi parziale attraverso una serie di “fasi”, le nostre impressionanti Tessaratomidae vivano un periodo di diversi mesi coperte dalla forma di uno scudo tanto appariscente che, se fossimo nel mondo di Warhammer o il Signore degli Anelli, dovrebbe avere senz’altro un qualche tipo di potere leggendario. Vedi l’insetto gloriosamente rosso ed arancione mostrato in apertura che sarebbe poi la ninfa (forma sub-adulta) del Pycanum rubens, creatura originaria del Sud-Est Asiatico introdotta successivamente, con effetti particolarmente problematici, nel delicato sistema naturale d’Australia. Per la sua capacità notevolmente affinata d’infiggere la lunga proboscide attraverso la corteccia di piante degli ordini Rosales e Sapindales, tra cui agrumi, mango, anacardio, incenso ed acero, con conseguente danneggiamento significativo dei relativi raccolti provenienti dalle coltivazioni di chiara appartenenza umana. Immaginate, a tal proposito, un insetto che prolifera come le cimici nostrane, ma dalla grandezza individuale di fino a tre centimetri e mezzo, la cui crescita esponenziale dal momento della fuoriuscita dall’uovo richiede l’assunzione di commisurate quantità di linfa, con conseguente deperimento delle piante oggetto del suo gastronomico interesse. Con il problema addizionale dell’inefficacia dei pesticidi, data la capacità di bucare la pianta o il frutto assumendo il nutrimento dal suo salubre interno, dove i veleni non riescono a penetrare. Il che non toglie, di contro, alcun merito estetico al sorprendente fascino di questi insetti, così facilmente in grado di dominare la collezione di un entomologo, grazie alla forma geometrica e la fantastica varietà di livree. Poiché così in guerra, come nell’ecosistema, anche l’occhio vuole la sua parte…
Detto questo, dovesse capitarvi sottomano una di queste creature relativamente piccole durante un viaggio o per la visita presso un collezionista d’insetti vivi, non raccoglietela assolutamente a mani nude. Ciò poiché alcune specie, come la Tessaratoma papillosa e il Musgraveia sulciventris, sono riuscite ad elaborare attraverso i secoli delle miscele di alcani e aldeidi altamente urticanti che oltre ad emettere un cattivo odore, una volta proiettati dalla ghiandola sul torace possono indurre irritazioni significative o nel caso in cui colpiscano gli occhi, addirittura cecità temporanea. Una dote che giustifica il loro comportamento gregario, aumentando esponenzialmente le capacità di nuocere nei confronti d’eventuali vertebrati, tanto sciocchi da non avere conoscenza del pericolo a cui stavano andando incontro. Un principio probabilmente alla base anche della colorazione aposematica delle loro forme giovanili, per cui l’assenza di un veleno ancora sufficientemente sviluppato dev’essere compensata mediante l’apparenza sgargiante, spesso in grado d’incutere timore nei predatori. In altre specie, vedi l’indonesiano Pygoplatys tenangau, i piccoli possono fare affidamento sulla protezione della madre, che dopo aver coperto con il proprio corpo le circa 70-120 uova per due settimane fino al momento della schiusa, continuerà a farlo con l’intera nuova generazione attaccata alla parte posteriore dell’addome, senza risentire di particolari ostacoli al volo, ricerca di cibo e movimento. In questo modo la Madre Natura ci ricorda che alcune pulsioni possono accomunare ogni tipologia d’essere vivente, incluse le creature più piccole, strane e almeno in apparenza cattive, della grande moltitudine che brulica su questo caotico pianeta Terra. Benché talvolta, al fine di definirne le caratteristiche, occorra evitare omonimie accidentali ricorrendo a denominazioni che provengono da Terre di Mezzo parallele o appartenenti al puro mondo dell’immaginazione, visto l’esaurimento dei nomi latini usati magari per pesci, mammiferi, uccelli… Un problema certamente noto al dipartimento d’entomologia dell’Università del North Dakota che nell’estate del 2015 scelse di denominare una nuova specie sulla base del drago tolkeniano Smaug, data la capacità di “dormire” per 60 anni all’interno della collezione dell’istituto, senza che nessuno si occupasse di scriverne una descrizione scientifica per la posterità. E l’ulteriore caso alla fine dello stesso anno, in cui trovandosi di fronte una cimice ancor più grande e di colore totalmente nero, scelsero di ricorrere al nome del drago ancor più impressionante Ancalagon, descritto nell’epica vicenda del Silmarillion, antefatto di quanto narrato nel corso dei tre libri (e film) della saga principale. Altrettanto degna di nota, a suo modo, la soluzione del 2018 di utilizzare come appellativo per un’ulteriore nuova appartenente alla famiglia delle Tessaratomidae il droide K-2SO del film Rogue One: A Star Wars Story, data la forma lievemente curvilinea e le strisce gialle sui fianchi. Scelte non soltanto frutto di un umano desiderio di alleggerire il proprio lavoro entomologico, ma anche da un fondamentale desiderio di farlo conoscere, puntando alla trattazione accidentale da parte della stampa generalista o i siti web.
Per tornare quindi alla questione ecologica ed al danno che proliferazioni particolarmente ingenti di queste creature possono arrecare alla vegetazione, diviene opportuno menzionare i tentativi fatti, soprattutto in Australia, con l’impiego di allevamenti del loro principale nemico naturale: le vespe parassite. In una situazione simile a quella delle cosiddette vespe samurai Vs. le cicaline portatrici del batterio Xylella fastidiosa letale per gli ulivi italiani, con l’imenottero crudele che inietta le proprie larve all’interno dell’uovo della cimice, le quali provvederanno quindi a fagocitarne progressivamente il contenuto, emergendone alla fine splendide e invincibili, verso il successivo giro di un così drammatico destino. Così che alcune specie di vespe come Eupelmus poggioni, Anastatus colemani e Tessaratoma papillosa sono state allevate in cattività, nel tentativo di arginare la diffusione eccessiva delle cimici divoratrici. Ma forse la contromisura più efficiente resta quella in atto presso Zimbabwe e Sudafrica, dove questi insetti vengono considerati commestibili ed anche straordinariamente nutritivi, il che porta a veri e propri “raccolti” di esemplari vivi, successivamente immersi nell’acqua e indotti ad emettere tutto il contenuto della ghiandola maleodorante, prima d’essere fatti seccare al sole e consumati come una sorta di soddisfacente snack. L’unico sentiero ragionevole, e privo d’implicazioni problematiche, per costringere a una deviazione il progressivo mutamento dell’ambiente a cui anche noi apparteniamo: dominare la catena alimentare. Indifferenti ad ogni tipo di misura poiché siamo stati noi umani, per primi, ad inventare il concetto protettivo dello scudo. E la spada più affilata in grado di sconfiggerlo, ovvero la materia grigia dei nostri neuroni, sospesi nel sapiente cranio della verità.