L’intima correlazione di particolari città sulla costa con l’eterno rincorrersi delle onde risulta difficile da sopravvalutare. Vedi il caso di Newcastle, Nuovo Galles del Sud, dove l’interfaccia che collega tali spazi con la popolazione umana prevede, in linea con l’usanza di questa nazione, due esempi delle cosiddette piscine oceaniche o “bagni”, costruite in corrispondenza di speroni rocciosi, ove l’acqua salmastra dei marosi può liberamente fare il suo ingresso, offrendo sin dall’epoca delle colonie penali uno spazio per immergersi in relativa sicurezza. L’otto giugno 2007 tuttavia, la più celebre di queste iconiche strutture vide palesarsi innanzi l’ombra di un qualcosa di particolarmente ingombrante, trasportato dalla forza degli elementi nella stessa maniera in cui era solito succedere con l’occasionale pesce, piccola medusa o conchiglia. Rossa, grossa e del tutto fuori controllo, la nave panamense lunga 225 metri dal nome Pasha Bulker gettò la sua ombra di prima mattina sopra il parco e gli edifici antistanti la turistica località di Nobby’s Beach. Ed ogni persona tra i curiosi presenti, circondati dalla pioggia e i venti di una delle tempeste più notevoli degli ultimi anni, convenne nel pensare che l’oggetto fosse semplicemente, palesemente un PO’ troppo vicino. Alle 9:51 esatte, la bulker in attesa di ricevere il suo carico finì spiaggiata. Ed in quel singolo, fatal momento, entrò nel capitolo più surreale della sua lunga, e tutt’ora incompleta storia.
Un evento fuori dal contesto, in gergo astronomico, è l’inspiegabile verificarsi di un avvistamento. Una cometa fuori dalle traiettorie più probabili, un pianeta particolarmente distante dalla sua stella, l’oggetto oblungo e affusolato che ricorda, con la sua forma, la probabile venuta di un’astronave aliena. E nel caso di quel particolare vascello adibito al trasporto di carbone, come molti altri che frequentano il porto della città industriale di Newcastle, l’ultima di queste ipotesi avrebbe potuto corrispondere a un’imprevista verità. Mentre i 22 marinai ed il capitano venivano tirati fuori, ancor prima che il vento si calmasse, dagli abili piloti e soccorritori della Westpac Rescue Helicopter Service, con le onde che ancora s’infrangevano clamorosamente contro il fianco dello scafo, lasciando intendere che da un momento all’altro, la sua intera forma ponderosa potesse spezzarsi rovinosamente in due o più parti. Al diradarsi delle nubi verso il termine di quella lunga giornata venne organizzato un sopralluogo, sotto gli occhi appassionati della collettività, che giudicò lo scafo ancora ragionevolmente integro e pronto a navigare, a patto che si riuscisse a spostarlo di lì. Nel frattempo l’intera popolazione di Newcastle sofferta una perdita di 10 vite umane a causa di vari incidenti causati dalla recente catastrofe atmosferica, sembrava ora incline a trarre un qualche grado di cupa soddisfazione dalla sua conseguenza più scenografica e priva di precedenti.
Passando in mezzo alla folla assiepata oltre la zona d’esclusione stabilita per sicurezza nei giorni immediatamente successivi, il fotografo Murray McKean prese allora l’iniziativa che l’avrebbe reso indirettamente famoso, salendo sulla torre della Cattedrale di Cristo per scattare quella foto dalla prospettiva quasi surrealista, in cui il Leviatano delle acque appare sospeso, come per magia, sopra gli edifici del parco cittadino antistante. Ma la balena, per così dire, non aveva ancora esalato il suo ultimo respiro…
Trasformatasi quasi immediatamente in un’attrazione turistica di una certa risonanza, la nave immobilizzata attirò nel corso delle settimane successive una grande quantità di persone motivate a partecipare, in qualche maniera, al problematico evento. Mentre l’equipaggio per lo più filippino veniva intervistato da Tv e giornali locali (famosa la dichiarazione di uno di loro: “Captain fu**ed up“) e un vasto ventaglio di souvenir in pronta consegna veniva messo in vendita dai negozi locali: cartoline, calamite da frigorifero e gadget di vario tipo ed anche una canzone commemorativa. Presto Greenpeace accorse sul luogo, per proiettare sullo scafo inclinato le parole a lettere cubitali “ECCO A VOI l’aspetto del mutamento climatico causato dall’industria del carbone” Il Bureau della Sicurezza dei Trasporti Australiani istituì una commissione d’indagine, mentre venne provato come il conduttore della nave, pur avendo ricevuto come le altre 50 navi potenzialmente coinvolte un avviso sulla tempesta in arrivo si trovava nel momento della massima entità dei venti via dal ponte per fare colazione, mentre nessuna delle precauzioni ragionevoli era stata preventivamente posta in essere: così con i motori perfettamente funzionanti, zavorra insufficiente, nessun’ancora gettata e senza chiedere tempestivo aiuto ad un rimorchiatore, la Pasha Bulker tentò quando era già troppo tardi di virare oltre gli scogli antistanti Nobby’s Beach, per poi trovarsi a scegliere tra le due alternative altrettanto indesiderabili di finire spiaggiata o frantumata in una maniera che non avrebbe permesso di recuperarla mai più. Lungi dal perdersi d’animo, il governo locale coinvolse fin da subito la compagnia di recupero danese Svitzer, che a partire dai giorni immediatamente successivi al naufragio iniziò a stabilire il piano che avrebbe permesso idealmente di rimuovere lo scomodo battello dalla sua nuova, sconveniente sede.
Ci volle quasi un mese prima che il 28 giugno, finalmente, potesse essere fatto il primo tentativo di riportare in acque sicure la Pasha, mediante la stabilizzazione con acque di zavorra e l’impiego combinato di navi pilotine con tiranti manovrati dal relitto stesso. Cavi i quali, nel giro di pochi minuti, si spezzarono saettando come apocalittici serpenti velenosi, impedendo effettivamente di portare a termine l’operazione con successo anche dopo un secondo tentativo guidato dal super-rimorchiatore Pacific Responder. Un approccio alternativo venne tentato il giorno successivo, iniziando questa volta con la rotazione dello scafo in senso parallelo alla costa, il che gli avrebbe permesso alla nave di puntare direttamente oltre gli scogli ed idealmente tornare a navigare in tempi relativamente brevi. Le procedure dovettero subire tuttavia un rapido arresto quando venne avvistata una macchia scura nel mare che si temeva potesse provenire dai serbatoi rovinosamente forati del bastimento, mentre si rivelò soltanto essere l’olio lubrificante dell’elica danneggiata dal trascinamento. Scongiurata la crisi ambientale, il 2 luglio alle 21:37 la Svitzer riuscì a rimorchiare via il titano nell’impresa che l’avrebbe resa maggiormente famosa, tra l’esultanza collettiva dei presenti e le congratulazioni reciproche dei tecnici coinvolti. L’intruso, finalmente, aveva lasciato il nido e la spiaggia poté ritornare al luogo ameno che, fino a quel momento, era sempre stato.
Con il successo del recupero a quel punto nacque una breve debacle su chi dovesse pagare, effettivamente, i circa cinque milioni di dollari spesi per tornare a una situazione di quiete. Poco prima che la compagnia giapponese proprietaria della Pasha Bulker, la Sasebo Heavy Industries, intervenisse secondo le regole del diritto internazionale per promettere il saldo dell’intera cifra, portato responsabilmente a termine entro il mese di luglio 2008 con l’intenzione di riparare la nave e rimetterla in servizio quanto prima. Un’indagine formale venne aperta nei confronti del capitano responsabile, che venne determinato essere “incompetente, incauto e incapace di mantenere la calma in situazioni di crisi” benché nessun tipo di provvedimento venne preso dalla giustizia australiana, data l’impossibilità di provare la sua negligenza “al di là di ogni possibile dubbio”.
Dal documento stilato come comunicazione ufficiale in merito all’intera faccenda, tuttavia, il porto di Newcastle stabilì una nuova serie di regole, che ancora oggi chiedono alle navi da carico di posizionarsi a una maggiore distanza dalla laguna, evitando l’assembramento di oltre 50 scafi verificatosi nel caso della grave tempesta del 2007. Ed almeno questa, se non altro, fu una conseguenza positiva dell’intero frangente.
Incapaci di relazionarci con casistiche drammatiche, potenzialmente irrisolvibili o gravose, i cervelli umani elaborano spesso l’ineffabile cognizione dell’Evento, un’esperienza che potrà lasciare un segno più o meno indelebile nel corso delle nostre articolate vite. Che una grande quantità di sforzi, o risorse, debbano essere investite per far fronte a tali circostanze risulta essere poco più che incidentale. Tutto questo a patto che, come avvenuto nel caso della Pasha Bulker successivamente ribattezzata MV Drake, ciò permetta di salvare l’interezza dell’equipaggio coinvolto, suo malgrado, nell’incoerente ludibrio della collettività. Dopo tutto, aprire la bocca non costa nulla. É richiuderla, talvolta, che esula dal ventaglio delle umane possibilità restanti.