Viaggio verso i pascoli sommersi dell’iguana che corregge le sue dimensioni

Era giovane, inesperta. In quello che potremmo definire uno dei video naturali più famosi dell’ultimo decennio, il rettile dalle dimensioni relativamente contenute correva sulla sabbia senza dimostrare consapevolezza del pericolo inerente della propria condizione: ritrovarsi, all’alba del suo attimo di gloria, nel bel mezzo di una tana di colubridi Pseudalsophis biserialis, anche detti corridori delle Galàpagos. Creature svelte, affamate, sempre pronte a catturare prede in grado di fornirgli l’alimentazione necessaria a sopravvivere per il mese a venire. Prede come le scagliose, sinuose, flemmatiche iguane marine Amblyrhynchus cristatus, normalmente viste mentre placidamente prendono il sole sulle rive dell’oceano, termoregolando loro stesse nella falsa tranquillità offerta dalla cosiddetta ingenuità isolana, ovvero la certezza che nessun predatore possa costituire un pericolo nell’immediato, poiché quelli noti sono sempre negli stessi luoghi e lanciano dei chiari avvisi del proprio intento d’aggressione. Eppure tutto questo, l’eroina delle circostanze fu immediatamente incline a dimenticarlo, quando la minaccia dei serpenti prese a estendere le proprie spire, circondandola, inseguendola, tentando di stritolarla. E a più riprese l’esemplare sub-adulto venne catturato, per poi liberarsi, ancora e ancora, fino all’epico e finale salto, in grado di condurre verso l’alta roccia dell’agognata salvezza. Mai nessuno, da quel giorno, si pose tuttavia l’essenziale domanda: chi era quella creatura? Quali bisogni, caratteristiche condizionavano la sua esistenza? Quale futuro l’aspettava, nel primo giorno della sua seconda vita? Un’iguana di mare dopo tutto, come fu anche troppo pronto a far notare Darwin durante il suo famoso viaggio del 1831, non è propriamente una creatura in grado d’ispirare un significativo senso d’empatia: “[…] disgustose e goffe lucertole. Nere e porose come la roccia sopra cui strisciano e da cui si tuffano per cercare le loro prede dei mari. Alcune le chiamano Demoni dell’Oscurità. Di certe degne dell’ambiente che chiamano la loro casa.” Il che è la dimostrazione di come anche un monumentale personaggio, naturalista in grado di rivoluzionare il sistema stesso con cui interfacciamo noi stessi nei confronti della natura, possa limitarsi talvolta alle apparenze ed abbia commesso un certo numero d’errori. Particolarmente quello relativo al fatto che, secondo il suo giudizio, un animale dall’aspetto tanto “cattivo” dovesse necessariamente essere un carnivoro, laddove non esiste su questo pianeta un rettile marino che sia normalmente più mansueto, ed inoffensivo, di una di queste iguane. Tranne, forse, la tartaruga… Ma non divaghiamo. Il punto fondamentale resta, ad ogni modo, la natura erbivora di questa cupa genìa, la cui unica fonte di nutrimento costituisce, nei fatti, un esempio lampante del grado di specializzazione che tende tanto spesso a raggiungere la natura: alghe rosse o verdi (mai marroni) digerite grazie alla particolare flora batterica del loro apparato digerente. Una soluzione in realtà ideale, per creature come queste probabilmente giunte presso l’arcipelago dall’Ecuador continentale attaccate a tronchi trasportati oltre i flutti dell’oceano durante una tempesta e ritrovatosi, a seguito di ciò, in un luogo privo di fonti cibo pre-esistenti.
Al che in maniera MOLTO graduale (si ritiene che la divergenza biologica possa essersi verificata attorno ad 8-10 milioni di anni fa) esse guadagnarono attraverso le generazioni arti più lunghi e forti, grandi artigli e muscoli perfetti per fare una cosa e soltanto quella: tuffarsi dalle coste rocciose del loro territorio, verso gli abissi senza nome delle ostili circostanze…

Osservando l’iguana di mare mentre nuota in modo quasi umano nel suo elemento primario è difficile dubitare come una frequentazione più attestata in queste isole avrebbe potuto dar vita a numerose leggende sulle origini di queste creature, tanto accidentalmente simili al kappa (folletto fluviale) giapponese.

Un’iguana di mare delle Galàpagos, così chiamata per distinguersi dalla varietà che vive nell’entroterra delle isole dell’arcipelago (Conolophus subcristatus) si presenta dunque come rettile di medie dimensioni lungo fino a 56 cm più altri 96 di coda, appiattita verticalmente, perfettamente funzionale a fungere da ausilio durante il nuoto. La loro pelle scagliosa trova inoltre placche ossee protettive sulla testa e le spalle, cui fa seguito la lunga e spinosa cresta dorsale simile a quella di un dinosauro. La colorazione risulta nella maggior parte dei casi del tutto nera fatta eccezione per alcune delle numerose sotto-specie (ne vengono riconosciute 7 oppure 8 a seconda delle opinioni) e soprattutto nel periodo dell’accoppiamento, durante cui i maschi, più grandi, possono assumere un’affascinante sfumatura tra il rosso, il giallo e il marrone abbandonando i presupposti mimetici dovuti alla sabbia e le rocce laviche delle loro principali circostanze abitative. Un’ulteriore variante degna di nota è quella degli esemplari ibridi, nati dal raro accoppiamento con un’iguana di terra e sempre infertili, le cui zampe più corte e livrea chiazzata risultano una via di mezzo tra le due specie. Se osservate con il giusto approccio mentre prendono il sole in popolosi assembramenti di fino 100 o 200 esemplari, reciprocamente all’erta per eventuali attacco del pericoloso falco delle Galàpagos (Buteo galapagoensis) queste creature non sono quindi del tutto prive di un certo fascino bizzarro, per certi versi in grado di ricordare dei piccoli Godzilla compresa l’occasionale esemplare che riemerge dalle profondità marine, al termine del tuffo quotidiano per acquisire la giornaliera ed essenziale porzione d’alghe.
Il sistema di approvvigionamento di questi veri e propri eserciti di lucertole dunque, tra i maggiori esempi di concentrazioni di rettili al mondo, presenta un’organizzazione che potremmo definire a pieno titolo come perfettamente collaudata. Con le iguane più forti ed esperte che si recano, ad intervalli di due giorni circa, a brucare le alghe di maggiore qualità sugli scogli più in profondità ed a largo, mentre le meno abili utilizzano fonti quotidiane più facili da raggiungere ma anche meno nutritive. Il tutto sempre con il limite stringente della temperatura, un cui calo eccessivo non può essere contrastato dal sangue freddo dell’iguana, costringendola a far ritorno anticipatamente sulle rive dove dovrà nuovamente tornare a prendere il sole. Questi animali pur non mettendo in atto alcuna metodologia d’interazione sociale sono soliti tollerarsi a vicenda al punto da formare i già citati assembramenti, entro cui i loro corpi e code entrano spesso in contatto senza apparente consapevolezza reciproca, almeno fino alla stagione degli accoppiamenti. Periodo durante il quale i maschi più forti diventano territoriali proteggono con una certa ferocia uno spazio di fino a 40 metri quadri, entro cui vengono raccolte le femmine dell’harem dopo essersi fatti spazio in una serie di combattimenti, che possono comportare testate, colpi vibrati con gli artigli e morsi. Successivamente a questo tuttavia i maschi meno forti, più piccoli e quindi simili nell’aspetto alle femmine, potranno ancora tentare d’infiltrarsi tra le compagne del vincitore, sfruttando l’inganno e la furtività per andare a meta. L’incontro nuziale con ciascuna femmina, a questo punto, condurrà senza falla alla deposizione di un numero tra le due e le tre uova bianche di 9 cm di altezza, in un nido sotterraneo normalmente scavato a circa 20 metri dalla riva del mare. La schiusa dopo un periodo di fino a 4 mesi vedrà quindi le piccole lucertole già indipendenti correre rapidamente in tutte le direzioni, cercando di sfuggire ai predatori e raggiungere luoghi vantaggiosi per sopravvivere fino al raggiungimento dell’età adulta.

Ouroboros la serpe che divora se stessa e nel contempo la metafora di un’altra se stessa, in grado di avvolgersi senza problemi attorno al nocciolo delle circostanze. Almeno che quest’ultimo, dotato di quattro formidabili zampe, non abbia la ferma intenzione di correre incontro alla salvezza!

Pur presentando una popolazione complessiva stimata tra i 200.000 e 300.000 esemplari in tutto l’arcipelago, l’iguana marina delle Galàpagos viene considerata a rischio per la sua natura endemica esclusivamente di queste isole, oltre alla vulnerabilità inerente verso specifici processi ambientali. Come quello della ricorrente oscillazione meteorologica di El Niño, a seguito della quale le alghe di cui si nutrono vengono temporaneamente rimpiazzate da varietà marroni, che le iguane possono digerire soltanto con gran fatica e spesso conducono alla morte per fame di una quantità notevole di esemplari. Benché sia importante notarlo, esse possiedano l’utile capacità evolutiva di diventare letteralmente più piccole nei periodi di magra, arrivando a un vero e proprio accorciamento delle ossa e gli arti, per ridurre di conseguenza la quantità di apporto calorico necessario alla loro sopravvivenza. Molto più difficile, d’altra parte, risulta per loro contrastare il pericolo dei predatori introdotti accidentalmente dall’uomo in queste terre, tra cui cani, gatti e ratti, astuti divoratori delle loro uova. Una situazione difficile da contrastare poiché nel momento in cui si elimina una delle tre specie a partire dalla cima dei rapporti di forza, le altre due tendono a prosperare costituendo un pericolo ancor maggiore per le iguane.
Perché alla fine non è il serpente che conosci a minacciare maggiormente la tua sopravvivenza, bensì quello metaforico che non striscia, non sibila, ma abbaia con enfasi l’ostile desiderio di un’imprescindibile dominio. Quante cose abbiamo insegnato, attraverso gli anni, ai nostri migliori amici! E come siamo pronti a subordinare specie animali ad altre, soltanto perché diverse dal concetto di un “bello” che sappiamo essere altamente arbitrario. Nonostante il detto secondo cui dovrebbe prevalere, nella maggior parte delle circostanze, soprattutto ciò che “piace”. Ed almeno a me personalmente, questo darwiniano, cupo, artigliato ma pacifico demone dell’oscurità, piace.

La misurazione dell’iguana marina è un processo spesso rivelatorio, poiché appare determinato dalle condizioni climatiche vigenti. Finché un giorno scopriremo i lucertoloni essersi trasformati in gechi smilzi, che fischiando sgattaiolano sotto le pietre. Ed allora sarà troppo tardi per ritornare all’Età dell’Oro…

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