La ripida questione gravitazionale a carico di pecore, bovini e capre

Mio caro Keplero, cosa si può dire dei principali filosofi che rifiutano di osservare i pianeti, la Luna e perfino il mio telescopio? Affermò qualcuno, per cui la frase prototipica “Eppur si muove!” Avrebbe costituito più correttamente una dichiarazione programmatica, piuttosto che l’effettiva citazione di un’effettiva contingenza colloquiale (l’attribuzione, d’altra parte, resta incerta). Ma neppure Galileo, con l’attenzione che rivolse all’innegabile ma tanto dubitata danza dei pianeti attorno al Sole, dedicò un capitolo all’effetto delle orbite sui corpi dei quadrupedi di questa Terra. Ciò che il naturale senso d’attrazione dell’esimio successore Isaac Newton, nato per un caso l’anno esatto della sua morte (1642) avrebbe definito legge di gravitazione universale, osservandola in azione per l’effetto proverbiale della mela, simbolo di altri giardini della Conoscenza. Eppure ciò che sai non deve affatto corrispondere a quello che sei, ovvero in altri termini l’effetto delle leggi di natura, ordini fondamentali dell’ingegneria, sulla cupa e incerta monade della tua vita in fattoria. Ecco spiegato, dunque, l’arcano: del perché una pecora caduta può rialzarsi o meno, ma questo dipende in senso lato… Dalle circostanze.
Salviamogli la vita, dunque, assieme ad Andy Nickless nel suo video dimostrativo, corollario a margine di un portale sull’addestramento dei cani da pastore, in cui viene affrontata una questione che in molti, tra coloro che lavorano assieme agli ovini, avranno già potuto conoscere direttamente. Eppur non credo di affermare nulla di tanto improbabile, nella costruzione dell’ipotesi secondo cui una minima percentuale degli odierni abitatori urbani abbiano effettiva familiarità con il concetto della cosiddetta cast sheep: pecora caduta, pecora che ha perso il baricentro e per un caso avverso della vita, si è trovata zampe all’aria. Senza nessun tipo di speranza nei confronti dell’indomani. Potrebbe questo definirsi, d’altra parte, un concetto largamente contro-intuitivo, laddove il caso della tartaruga è assai più chiaro data l’assenza di gradi di mobilità in relazione alla spina dorsale, racchiusa in una scatola immutabile quanto (idealmente) sicura. Ma il punto che a ragione d’essere discusso, e analizzato, è in definitiva proprio questo: cosa centrano articolazioni e muscoli, quando si parla della forza imprescindibile che attrae ogni cosa verso “il nesso” di metalli incandescenti al centro di ogni cosa, nocciolo invisibile della questione? Ecco perché il cruccio della pecora ha un’origine, di contro, interno alle ragioni della sua esistenza. O in altri termini, la forma fisica immanente, ovvero quello che la rende bilanciata, in forza di un’evoluzione traditrice, interamente nella cima del suo corpo candido e peloso, in modo tale che un’inclinazione, barcollìo, assenza momentanea di prontezza muscolare può portare alle ragioni di un cappottamento, irrisolvibile quanto finale, in potenza. Triste visione, quest’ultima, la cui probabilità aumenta in modo esponenziale quando la pecora è dotata di troppa lana o per sua sfortuna incinta, rendendo ancor più difficile qualsivoglia approccio verso una belante possibilità di salvezza, dato l’estendersi della sua sacca uterina lateralmente, con ulteriore aggravio del problema. Voltare una pecora caduta in conseguenza di tutto questo, un’operazione normalmente effettuata mediante una salda presa del suo manto come ci spiega Nickless, subito seguìta dalla sosta di uno o due minuti affinché l’animale si calmi e ritrovi l’equilibrio, corrisponde molto spesso a dargli una seconda opportunità. Anche perché una volta lasciata alla sua mera incapacità di farlo, essa troverebbe un imminente soffocamento dovuto all’accumulo di gas derivanti dalla fermentazione della materia vegetale ingerita e custodita all’interno del suo stomaco, drammaticamente impossibilitata a procedere verso la fase successiva della digestione. Molto sconsigliato, invece, resta il gesto di afferrarla per le corna, parte sorprendentemente delicata della pecora che può facilmente danneggiarsi o peggio, spezzarsi.
Detto questo è altrettanto probabile, purtroppo, che l’animale spaventato dall’avvicinarsi di uno sconosciuto mentre si trova in tale condizione vulnerabile possa indebolirgli le zampe, causando un’ulteriore e ancor più rovinosa caduta, ragion per cui la Farmers’ Union of Wales (FUW) consiglia di rivolgersi direttamente al pastore quando ci si scopre al cospetto di un incidente di questo tipo, benché ciò non risulti sempre possibile in determinate circostanze. Detto ciò, la tempestività resta importante, pena l’arrivo a un certo punto di fameliche gazze o corvi. Non che tutti, del resto, siano altrettanto ansiosi di vedersi attribuito un qualche tipo di karma positivo piuttosto che suscitare il cruento sorriso del Demonio…

Considerata ormai da lungo tempo una leggenda metropolitana, la storia del cow tipping viene quasi sempre raccontata di seconda mano. Mentre i pochi praticanti che si vantano di averla effettuata con successo sono considerati dalla scienza semplici latori di un’aneddoto goliardico e impossibile da verificare.

Questo aspetto vulnerabile dell’animale da fattoria medio, con zampe sottili e corpo relativamente massiccio, nonché lo stereotipo largamente ingiustificato di una scarsa intelligenza e prontezza di riflessi, ha portato negli anni ad altre tipologie di problemi, inclusa la leggenda metropolitana, “stranamente” priva di conferme accreditate, di quell’attività goliardica e potenzialmente crudele che negli Stati Uniti prende il nome prototipico di cow tipping (letteralmente, girare la mucca). La cui prassi prevede, secondo gli stilemi delle cronache, l’avvicinamento di soppiatto ad uno di questi nobili e grandi bovini, seguìto dalla spinta poderosa da parte di uno o più individui, con conseguente ribaltamento di quest’ultima e presunta incapacità di ritornare in posizione eretta entro un tempo ragionevolmente breve. Il che ovviamente e lascia perplessi già in linea di principio, data la maniera quanto mai frequente con cui le ben più massicce cornute, anche rispetto alle pecore, sono solite voltarsi sulla schiena e rotolarsi nell’erba, per puro e spensierato divertimento.
Anche ammettendo a fine di dialogo (ma non concedendo) che una simile impresa abbia ragione pratica d’essere implementata, molte sono state le disquisizioni tecniche, con scopo che possiamo soltanto sperare essere umoristico, effettuate attraverso gli anni a margine di questa balzana ed in qualche modo cinematografica idea. Tra cui la più famosa resta forse quella pubblicata nel 2005 dalla zoologa dell’Università della Columbia Inglese Margo Lillie, la quale dimostrò con prova matematica che la spinta necessaria a capovolgere una mucca dovesse aggirarsi attorno ai 3.000 newton (circa 300 Kg). E questo senza neanche prendere in considerazione la prontezza di riflessi ed attenzione ai propri dintorni di queste creature che l’evoluzione aveva concepito originariamente come prede, in quanto tali perfettamente capaci di reagire nel momento della verità. Nel caso in cui la mucca dovesse riuscire a puntellarsi con gli zoccoli a terra, dunque, secondo il biologo Steven Vogel, lo sforzo necessario crescerebbe fino ai 4.000 newton, corrispondenti grosso modo alle capacità complessive di 14 persone: una cifra semplicemente troppo elevata perché la mucca possa mancare di spaventarsi e scappare via.
Girare intenzionalmente pecore o mucche, d’altra parte, può avere anche una ragione etica con fini per lo più veterinari, miranti ad analizzare lo stato di salute dell’uno oppur l’altro animale, mediante l’implementazione di tecniche dall’alto grado di specificità. Che se nel primo caso tendono a prevedere unicamente l’avvicinamento cauto e rassicurante, subito seguìto dalla pratica di una bonaria mossa di Judo con le mani ben salde su copiose quantità di lana, nella seconda eventualità, dall’imponenza decisamente maggiore, tendono a richiedere l’impiego prevedibile di macchinari niente affatto trascurabili, come panche o “culle” inclinabili dotate di sistemi idraulici di sollevamento: ulteriore riconferma dell’impossibilità pratica di “voltare” una mucca. Nel caso invece in cui quest’ultima sia caduta da sola e non riesca a rialzarsi, contrariamente al caso naturale della pecora, è considerato assai probabile che l’animale stia subendo di un qualche tipo di problema di salute, spesso l’ultimo capitolo della sua transitoria esistenza. Strano rattristarsi, d’altra parte, quando il suo destino era già stato lungamente stato iscritto nell’elenco dei condannati “dell’ora di cena”…

Saltare, arrampicarsi, correre: vivere sempre al massimo comporta spesso dei problemi frutto delle imprevedibili circostanze. Detto questo tutto ciò che serve per riprendersi, molto spesso, è un breve (?) sonnellino…

Del tutto ingiustificate, d’altra parte, restano le teorie degli antichi, acclarate negli scritti di Giulio Cesare e Plinio il Vecchio, secondo cui il cervo, capriolo o simili animali selvatici fossero privi di ginocchia, risultando quindi incapaci di rialzarsi da terra. Resta invece la selezione artificiale a portare strane connotazioni a margine, molto spesso difficili da attribuire. Ardue, tranne che nel caso della cosiddetta capra miotonica o del Tennessee, una razza descritta per la prima volta scientificamente nel 1904 ed originaria di quel particolare stato nordamericano, la cui caratteristica dominante è notoriamente l’essere predisposta allo svenimento inevitabile in qualsivoglia situazione di ansia improvvisa, con conseguente caduta ed irrigidimento muscolare di tutte e quattro le sue zampe. Una visione in apparenza triste, perché l’animale sembra soffrire di una sorta di attacco epilettico, ma da cui effettivamente essa si riprende nel giro di un secondo o due appena, per tornare subito in piedi, a correre e giocare come se nulla fosse mai accaduto. Una notevole ed ulteriore progressione dunque nell’ideale sequenza: incapace di capovolgersi>impossibile da capovolgere>autonoma nel capovolgimento che potrebbe farci considerare la capra come il più “stoico” dei tre animali, poiché accetta la caducità della propria situazione corrente e possiede la chiave per tentare in qualche modo di porvi rimedio.
Cos’è una pecora, del resto, se non la perfetta metafora vivente della condizione umana? Di come, nel momento del bisogno, risulti necessario fare affidamento sulla labile fiducia che abbiamo nel confronti del nostro prossimo; piuttosto che agitarci e perire a seguito dello sfinimento. Il che lascia, come oggetto delle nostre metafore, il terzo personaggio della muggente consuetudine agraria. Che mi limiterei a definire come una sorta di carro armato. Perché essere mansueti, nella maggior parte delle circostanze, non implica necessariamente alcun tipo di debolezza. E qualche volta è proprio il toro sopìto, a contener l’energia potenzialmente capace di spezzare o erigere le montagne.

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