J-21, il drago a due code che protesse la Svezia volando al contrario

Sparita era l’epoca in cui difendere un paese poteva trarre beneficio da una serie di princìpi inerentemente diversi da quelli dell’attacco, come costruire bunker, fortificazioni, predisporre in anticipo l’artiglieria. Nel bollente 1941, una Svezia relativamente piccola e indifesa guardò verso meridione, ai territori d’Europa battuti da carri armati e bombardamenti a tappeto, scoprendo una guerra in cui soltanto la disposizione preventiva di strumenti, sufficientemente difficili da contrastare, avrebbe potuto permettere di mantenere intatti i propri marittimi e montagnosi confini. Già, il paese di Stoccolma rimasto intonso, proprio in forza del suo inaccessibile territorio eppure sempre vulnerabile, in ogni momento, a possibili mosse ostili provenienti dall’azzurro cielo. Così in quell’anno fatidico, non più soddisfatti degli antiquati mezzi di produzione italiana e americana che aveva in dotazione, i vertici delle Flygvapnet (Forze Aeree) guardarono all’interno ed in particolare verso la Svenska Aeroplan AktieBolaget, la compagnia che oggi conosciamo soprattutto tramite l’acronimo di SAAB, principale conglomerato nazionale voluto dal governo e attivo all’epoca nel campo della produzione aeronautica e non solo. Entro cui, in un pool di talenti prelevati da una serie di officine indipendenti che avevano proposto prototipi verso l’intera decade degli anni ’20 lavorava un certo ingegnere di nome Frid Wanstrom, di cui Internet non offre particolari informazioni al di là del nome. Ciò che possiamo desumere a suo proposito, tuttavia, era il coraggio di remare contro i presupposti pre-esistenti seguendo sentieri progettuali del tutto inusitati. Vedi quello, per l’appunto, dei primi studi che avrebbe condotto in quei mesi per un monoplano basato sul motore inglese Bristol Taurus, le cui basi principali del design sarebbero state una configurazione a doppia coda e l’impiego di una configurazione a spinta, per offrire la migliore visibilità possibile al pilota e disporre una maggiore quantità di armi nel muso dell’aereo. Idee piuttosto inusuali anche se prese singolarmente, ma che una volta unite avrebbero creato uno degli aerei dalla sagoma maggiormente riconoscibile dell’intero conflitto mondiale. Il J21 o semplicemente Saab 21, come venne deciso di chiamarlo, era tuttavia destinato ad attraversare un periodo di perfezionamento sul tavolo da disegno che avrebbe visto la sostituzione dell’impianto motoristico dapprima con l’americano Pratt & Whitney R-1830 Twin Wasp, un modello radiale, quindi con una versione profondamente riveduta e corretta del più recente Daimler-Benz DB 605B in linea, dispositivo tedesco capace di erogare 1.475 cavalli benché sfortunatamente prono a surriscaldarsi. Fin dal primo volo del prototipo, compiuto non prima del 30 luglio 1943, quindi, la creatura di Wanstrom si pose di fronte agli occhi degli spettatori come un sofisticato e temibile caccia multiruolo, idealmente capace di dare filo da torcere alla maggior parte dei potenziali rivali prima della fine della più grande guerra che il mondo avesse mai conosciuto.
Ciò detto, il primo exploit volante dell’apparecchio si rivelò quasi disastroso, con il pilota sperimentale Claes Smith che, dimenticando di impostare i flap nella posizione e corretta, riuscendo a sollevarsi solo dopo la fine della pista e riportando danni significativi al carrello, dopo aver colpito in pieno la recinzione di una fattoria antistante. Fortunatamente tuttavia, in forza dell’affidabile configurazione a triciclo di detto implemento, il prototipo riuscì ad atterrare senza particolari conseguenze, aprendo la via verso quello che sarebbe diventato, probabilmente, il più iconico e memorabile aereo svedese di tutti i tempi…

Il modello definitivo J 21 A-3 presentava un peso massimo al decollo di 4,4 tonnellate con la capacità di raggiungere 465 miglia di distanza operativa. Abbastanza per colpire, in circostanze ideali, la maggior parte dei bersagli capaci di minacciare il territorio svedese.

L’allungarsi delle tempistiche necessarie per l’attivazione di una produzione in serie avrebbero tuttavia portato i primi 54 esemplari di questo velivolo, serie di appartenenza J 21A-1, a entrare in servizio soltanto tra il 1945 e 1946, quando l’introduzione dei primi aerei a reazione già minacciava sinceramente di renderli obsoleti. Se ci fosse stata l’effettiva necessità di usarli, tuttavia, gli aerei della SAAB sarebbero risultati comunque temibili in battaglia, con una velocità massima di 650 Km/h, agilità ragionevolmente elevata e soprattutto un armamento assolutamente degno di nota, capace d’includere un cannone da 20 mm automatkanon m/41A nel naso affiancato da due mitragliatrici da 13.2 mm m/39A, più altre due identiche collocate all’interno delle ali, in una configurazione capace di coprire un’area piuttosto significativa del cielo. Le successive varianti A-3 e A-2, complessive di raggiungere i 302 esemplari al termine della faccenda, avrebbero quindi ricevuto una maggiore quantità di munizioni per il cannone mentre quest’ultima in particolare, con il ruolo designato di attaccante al suolo, sarebbe stata in grado di montare sui piloni delle ali una certa quantità variabile di razzi e bombe. Con l’ulteriore dotazione possibile di razzi per il decollo assistito e un mirino di bombardamento quindi, questo aereo già obsoleto continuò ad essere schierato fino alla metà degli anni ’50, come velivolo di supporto ad ipotetiche battaglie combattute al livello del suolo. Un aspetto interessante del Saab 21 nacque inoltre dalla collocazione posteriore del suo motore, che avrebbe costituito un pericolo mortale per il pilota nel momento in cui, avendo perso un confronto aereo, avesse dovuto abbandonare il velivolo, rischiando di finire risucchiato dall’elica di quest’ultimo con tragiche ed irrimediabili conseguenze. Nel tentativo di scongiurare tale ipotesi, dunque, Saab aveva progettato assieme a Bofors quello che avrebbe costituito uno dei primi seggiolini eiettabili della storia, aprendo la strada ad un fondamentale metodo per incrementare la sicurezza di tutti i piloti da combattimento. Tale strumento di salvezza, attivato mediante l’impiego di una leva situata sopra la spalla sinistra, venne utilizzato esattamente 25 volte nella storia operativa lunga 11 anni di questo aereo, di cui 23 si conclusero senza conseguenze fatali per il protagonista di una simile avventura.
Lo scenario della Flygvapnet verso la fine del 1945 vide quindi, a partire dalla Svea Air Force Wing, vide un numero considerevole di squadroni svedesi adottare il “nuovo” aereo, benché l’impiego crescente di velivoli a reazione come il de Havilland Vampire inglese, esteriormente piuttosto simile, stessero iniziando già a costituire lo strumento difensivo preferito dal paese. Giusto mentre il progetto per un’ulteriore variante del J21 dotata di un cupolino interamente trasparente affine a quello del P-51 Mustang statunitense veniva abbandonato, quindi, ai vertici della Saab venne un’idea decisamente priva di precedenti: adottare quello che era il loro maggior successo all’impiego di un motore a reazione, ponendo le basi per quello che sarebbe passato alla storia come il J21R.

Le caratteristiche aerodinamiche del J21 si rivelarono sorprendentemente valide ad un impiego come aereo a reazione, a fronte di alcune significative e complicate modifiche progettuali.

Entrato in servizio nel 1950 dopo tre anni di sperimentazione e per una produzione totale di 64 esemplari, costruiti sulla base del motore inglese a reazione de Havilland Goblin 2, l’aereo vide quindi un aumento prestazionale fino agli 800 Km/h di velocità, con conseguente necessità di riprogettare oltre il 50% della sua struttura, inclusa la forma delle ali e l’aggiunta di un funzionale sistema di aerofreno. Originariamente richiesto in numero di 124, tuttavia, questo apparecchio venne progressivamente superato dai jet di concezione più moderna, pur continuando a rappresentare uno dei pochi modelli con motore a pistoni oggetto di un riuscito aggiornamento al nuovo non-plus-ultra dell’aviazione, assieme all’aereo russo Yak-15.
Iterazioni dopo iterazioni, gli aerei da combattimento rappresentano il raggiungimento di un obiettivo chiaro a fronte di una lunga serie di tentativi. Sfortunatamente o meno, questo comporta spesso il loro arrivo sulla scena del conflitto in epoca eccessivamente tardiva, impedendogli di realizzare il progetto per il quale erano stati posti al culmine di un tale dispendio d’ingegno ed energie nazionali. La Svezia, d’altra parte, non si è ancora trovata a dover difendere i propri confini aerei mediante l’impiego di alcuno dei suoi distintivi approcci alle regole dei conflitti in volo e nello scenario storico e politico dei nostri giorni, è molto improbabile che si trovi a farlo nel corso di molte generazioni a venire. Finché per un bisogno acclarato, i draghi dell’ingegno necessario di un tempo possano sollevarsi ancora. Indifferenti a quale sia considerato normalmente il “davanti” o il numero di code che dovrebbe, idealmente, possedere un aereo.

Lascia un commento