Tre ideogrammi all’apice dell’impossibile sistema di scrittura cinese

Giunto alla metà esatta delle 11.600 linee che doveva tracciare sul foglio come punizione per essere arrivato tardi, Biang iniziò a percepire i primi segni di una crisi mistica dai risvolti culinari: il sapore di glutammato (“umami”) delle tagliatelle “larghe come una cintura”, create da una coppia di mani esperte preferibilmente provenienti dallo Shaanxi. L’aglio, le cipolle e la polvere piccante, rossa come il fuoco, accompagnata da copiose quantità d’olio. Biáng, biángbiáng, biángbiáng biángbiáng… “Eureka!” Pensò, convinto a questo punto che più nulla potesse frapporsi tra il suo compito e l’approvazione del professore del suo corso d’ingegneria, che aveva deluso in modo assai probabile per l’ultima volta. Non era questa, d’altra parte, un’esperienza che avrebbe mai desiderato di ripetere… Riempire un foglio intero con quello che potrebbe essere il più complesso carattere cinese (漢字 – hànzì) della storia, benché risulti effettivamente del tutto assente da ogni fonte filologica almeno fino all’inizio del XIX secolo, a meno di volere credere alla leggenda secondo cui Li Si (280-208 a.C.) primo ministro dell’antico stato di Qin l’avrebbe inventato per la maggior gloria del suo signore, destinato a diventare il primo Imperatore della Cina unificata. Un insieme di tratti, una collezione di segni, un suono, una parola… Tutto molto semplice, in linea di principio, fatta eccezione per quei casi in cui qualcosa sembra andare per il verso sbagliato! Non serve del resto una particolare licenza, per mettersi a creare neologismo in qualsivoglia lingua di questo pianeta, bensì soltanto che un numero ragionevole di persone, per la propria convenienza, decidano di utilizzarlo a loro volta nella vita di tutti i giorni. E nel caso di quest’epica creazione la ragione, a quanto pare, potrebbe esser proprio la passione per la grafica di un numero abbastanza alto di ristoranti.
Esiste una filastrocca mnemonica, a tal proposito, che potrebbe tornarvi utile: l’apice (丶) si alza verso il cielo / sopra due anse del Fiume Giallo (冖) / l’otto (八) si apre ad accogliere / il discorso (言) che entra nel mezzo / tu sei piccolo (幺) come lo sono io (幺) / ma cresceremo assieme. (長長) / All’interno, un re a cavallo (馬) governerà / col cuore (心) sotto / la luna (月) a fianco / ed un coltello (刂) per preparare le tagliatelle / Tutti assieme sopra a un carro ce ne andremo (辶) a Xianang. Il che deriva, d’altra parte, dal significato separato dei singoli componenti di questo letterale tour de force della comunicazione, entro cui ogni pretesa di ragionevolezza o economia dei gesti appare subordinata al bisogno di restare impresso nella mente di chi lo vede. C’è in effetti una chiara e vasta differenza, nell’impiego dei sistemi di scrittura ideografici, tra il riconoscimento e l’effettiva riproduzione di un carattere, tanto che un esempio come quello di biáng, pur restando immediatamente impresso, potrebbe risultare totalmente impossibile da riprodurre. Riuscite a cogliere l’analogia? Stiamo parlando, d’altra parte, di uno dei piatti maggiormente iconici e caratteristici dell’entroterra mediano cinese. Un qualcosa che mai e poi mai, qualcuno vorrebbe confondere o scambiare per altro. Ecco dunque l’applicazione più perfetta del concetto di un logogramma, con tratti scelti in maniera ormai del tutto slegata dall’aspetto dell’idea di partenza, eppure in qualche modo riconducibili a un discorso concettuale funzionale a definire i confini.
Il carattere in questione del resto, monosillabico nonostante la complessità come ogni altra singola parola cinese, pur essendo entrato a far parte dal 2017 nella collezione informatizzata dei font asiatici dell’elenco Unicode con il codice UTC-00791, brilla ancora per l’assenza da un vasto numero di dizionari, con mancanza di un riconoscimento accademico anche dovuto al suo impiego all’interno di una specifica regione piuttosto che nell’intero territorio cinese. Non migliorano le cose, d’altra parte, le letterali dozzine di varianti dovute alle diverse applicazioni possibili del concetto ideale di “semplificazione” applicato alle diverse parti della macro-famiglia riunita in questo assurdo significante. Risultando infine perfettamente in linea, sotto molti punti di vista, con la maggior parte dei super-ideogrammi o logogrammi d’Asia oggi maggiormente celebrati online…

Niente meno di questo, sarebbe bastato per descrivere qualcosa di tanto affascinante, tanto ineffabile, così straordinariamente fuori dal possibile catalogo delle quotidiane impressioni umane… GRAWR!

Una delle definizioni più calzanti del sistema di scrittura cinese può essere del resto rintracciata nella similitudine di Joseph Needham (1900-1995) biochimico e sinologo inglese che sulla base di questa insolita combinazione di competenze, paragonò gli hànzì ad una serie di molecole, a loro volta composte da atomi portatori di una diversa percentuale di significato. Il che, tornando alla precedente filastrocca delle tagliatelle biáng biáng, implica la presenza all’interno dell’insieme finale di una certa quantità di concetti, slegati singolarmente, che tuttavia una volta messe assieme alludono arbitrariamente all’oggetto della loro annotazione. Per una diversa applicazione della stessa metodologia di base, d’altronde, risulterebbe utile prendere in considerazione il kokuji da 84 tratti (ideogramma creato in Giappone) di taito/daito/otodo (scegliete pure la lettura preferita) un termine soltanto in apparenza semplice che vorrebbe dire letteralmente “l’aspetto di un drago in volo”. Anch’esso privo di un’origine perfettamente definita, benché in questo caso presente all’interno di alcuni dizionari specializzati e il cui utilizzo più probabile sarebbe quello di abbellire un sigillo aziendale o il logo di qualche tipo di attività commerciale. Creazione grafica senz’altro affascinante, che vede la disposizione ad arte di tre nubi (雲 – kumo) e tre draghi (龍 – ryū) in un insieme vagamente cruciforme, finalizzato a chiarire esattamente quanto splendida e quanto memorabile dovrebbe risultare la vista di una simile creatura sovrannaturale. Verso la ricerca di un rafforzamento dell’idea che non è affatto raro in Oriente, come esemplificato anche da esempi più semplici quali foresta (森 – sen / mori) formata da tre alberi o discorso sussurrato (聶 – nié) formato da un totale di tre orecchie. L’effettiva posizione dei singoli componenti in questo caso, del resto, non è pienamente definita come spesso avviene per i caratteri più complessi, vedendo ammesse due diverse varianti con le nubi poste sopra oppure a fianco dell’insieme dei tre draghi. Taito d’altra parte, come dicevamo, è un’espressione che ancor meno probabilmente potremmo incontrare nella comunicazione di tutti i giorni, nonostante l’assonanza puramente fonetica con termini di uso comune come, come il quartiere “lontano est” (台東区 Taitō-ku) di Tokyo, che da anche il nome alla locale casa produttrice di videogiochi, famosa tra le altre cose per le avventure saponate dei draghetti sparabolle Bub & Bob, tra i primi veri platform game della storia. Ciò detto c’è ben poco di nobile e ineffabile, nei graziosi protagonisti della serie Bubble Bobble, i quali ben difficilmente potrebbero trovare l’applicazione di una simile apoteosi linguistica, anche perché notoriamente, non sapevano volare.
Il che ci porta nuovamente, in modo pressoché diretto, a cosa sia e come nasca esattamente un carattere, se debba rispondere a una specifica esigenza comunicativa, come la scienza linguistica afferma del concetto stesso di un sistema idiomatico portatore di qualsivoglia significato, oppure se possano essere dei semplici disegni creati per ragioni puramente arbitrarie, al fine di coinvolgere o in qualche modo affascinare lo spettatore. Nessuno potrebbe, del resto, aggiungere una lettera ad un semplice alfabeto fonetico, semplicemente perché ciò implicherebbe l’emissione di un suono impossibile per l’organismo umano. Mentre un sistema ideografico risulta, per sua stessa natura, potenzialmente infinito e quindi espandibile a piacimento. La risposta, a questo punto, non può essere che una: chiunque, se vuole, può contribuire. Anche se il suo fine risulta essere, semplicemente, quello di far sorridere un visitatore occasionale del web?

Dopo tutto, in linea di principio l’unico aspetto “non corretto” di una simile mostruosità è l’intento tutt’altro che serio. Il che dimostra come la teoria atomica di Needham possa trovare applicazione anche oltre il legame cristallino dei caratteri utilizzati normalmente nelle comunicazioni giapponesi e cinesi.

Uncyclopedia è il portale creato nell’ormai remoto 2005 per essere “Libero da contenuti” con un’impostazione e funzionamento paragonabili a quelli del più utile Wikipedia, con la significativa differenza che i suoi contributori vengono incoraggiati ad inserire soltanto articoli dalle finalità umoristiche o in qualche modo irrispettose. Così sotto la “patata puzzle” che costituisce il celebre logo, alla voce lingua cinese campeggia l’improbabile creazione del carattere dhō il cui significato dovrebbe essere “Sistema di scrittura ideografico impossibilmente complesso che richiede 1.000 anni per essere appreso da una persona” cui vengono fatti corrispondere, senza nessun tipo di criterio, una vasta serie di caratteri esistenti e non, mescolati con segni che sembrano essere fuoriusciti dalla pagina di prova di una stampante. Il che, sorprendentemente, non infrange alcun tipo di regola funzionale poiché la creazione di un nuovo hànzì (o kanji, per dirla alla giapponese) non presuppone l’aderenza ad alcun tipo di criterio. Benché l’impiego di una quantità ragionevole di questi possa costituire, nella maggior parte dei casi, uno strumento particolarmente utile alla futura adozione su scala ragionevolmente ampia del proprio “capolavoro”. Immaginate, del resto, una filastrocca utile a ricordare qual’è il modo più corretto di scrivere dhō. Non basterebbe, assai probabilmente, un’intera pagina scritta col prezioso e raro inchiostro della memoria.

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