Saggio interlocutore di misteri senza tempo, cornuta emanazione dal colore fulvo dei misteri deambulanti della natura. Quale arcano muggito emana, dall’enorme cassa di risonanza della tua laringe, quale sentimento alberga nella gibbosa prominenza presso il centro di quel cranio gibboso? Ornamento degno di un guerriero della dinastia Maurya, che unificata l’India sotto la figura di Aśoka, vide la continuità di un vasto impero per oltre due secoli di ottimo governo. Ma il regno privo di confini del possente Gaur (Bos gaurus) o bufalo indiano che dir si voglia, fu capace d’estendersi ben oltre il territorio implicato da quell’aggettivo, includendo un tempo Vietnam, Cambogia, Thailandia, Myanmar, Bangladesh, Cina, Bhutan e Nepal. Tutti luoghi in cui la sua leggenda, accompagnata da presenza fisica ingombrante ed innegabile, in qualche modo sopravvive ancora, benché ben lontani siano i fasti di quell’areale un tempo densamente popolato dalla sua specie. Sebbene a rischio d’estinzione dunque, causa progressiva riduzione di quegli habitat intonsi di cui sembrerebbe aver bisogno, il gaur continua a mantenere il predominio degli ambienti in cui è solito pascolare, ove nessuno tranne l’uomo, di suo contro, è in grado di costituire una minaccia per la sua grandezza senza tempo. Persino la tigre, lo teme, e non c’è alcunché da biasimarla: 1.000 Kg per la femmina e 1.500 il maschio, per un massimo di 220 cm al garrese con possenti muscoli per muovere una tale massa, e lunghe corna lunate che si estendono fin quasi ad incontrarsi. Ma una coda corta come il pelo, e atteggiamento normalmente mansueto, almeno finché alle creature ostili non venga in mente di minacciare un membro della sua famiglia allargata nonché solidale. Ovvero il branco formato da una quantità media di 11 individui (benché casi estremi giungano a vederne fino a 40) per un totale sensibilmente inferiore rispetto a quello dei gruppi di bovini che con dimensioni comparabili, correvano a quei tempi per le vaste praterie americane. Il gaur, del resto, non è grande migratore né ha la propensione ad estendere i confini del suo territorio che può raggiungere fino ai 78 Km quadrati, felice di seguire la figura della matriarca entro ragionevoli spostamenti per la foresta, brucando il cibo di cui ha bisogno direttamente dalle fronde che compongono l’auspicabilmente incontaminato ambiente. Detto ciò, i conflitti con popolazioni civilizzate risultano tutt’altro che inauditi, generalmente culminanti con la rapida corsa dell’animale attraverso la vegetazione, auspicabilmente verso le regioni più remote dei ragionevoli dintorni, piuttosto che all’indirizzo del disturbatore di turno. In assenza di veri e propri studi scientifici, d’altra parte, la casistica di aggressioni animali con conseguenti ferimenti di persone eccessivamente imprudenti risultano presenti nello storico pregresso di questi notevoli Leviatani.
Con attriti che hanno portato, in particolari circostanze, alla trasformazione del gaur in animale notturno, cambiando le sue abitudini al punto da favorirne le escursioni durante le ore in cui il silenzio regna sovrano, permettendogli di continuare a perseguire la pace operativa di cui sembrerebbe avere l’unico e imprescindibile bisogno…
Vi siete mai chiesti a tal proposito chi fossero, esattamente, i due tori che s’incontrano innanzi al sole della Red Bull? Una domanda che trova soddisfazione nell’origine di questa bibita analcolica, oggi la più popolare al mondo, effettivamente fatta derivare dal prodotto thailandese Krating Daeng, originariamente concepito da Chaleo Yoovidhya, uomo d’affari morto nel 2012 all’età di 88 anni. Individuo guidato nella scelta del suo simbolo aziendale, a quanto pare, dall’ammirazione per questi animali straordinariamente imponenti nonché simboli unici del suo paese di provenienza.
Il gaur costituisce, di suo conto, il secondo bovino più pesante del mondo dopo la vacca chianina (prodotto della selezione artificiale) nonché il più alto, capace di difendersi e trovare la sua nicchia grazie agli strumenti di cui si è preoccupato di fornirlo l’evoluzione. La struttura e il comportamento sociale di questa specie vedono del resto una femmina anziana, generalmente meno imponente dei maschi, guidare il gruppo di sue simili accompagnato da un singolo toro da monta, con i cuccioli al centro per difenderli da eventuali attacchi dei predatori. Che possono includere, a seconda dell’ambiente di appartenenza, tigri, branchi di dhole (cani selvatici) alligatori e leopardi, benché nessuna di tali creature fatta potenzialmente eccezione per il coccodrillo d’acqua salata (Crocodylus porosus) si sognerebbe mai d’attaccare uno di questi bufali perfettamente in salute ed età adulta. Nel caso in cui si renda necessario manifestare l’aggressione a scopo d’autodifesa il gaur inizia a mettere in pratica una serie di movimenti con la testa, prima in senso orizzontale e poi verticale con velocità crescente, chiaro annuncio della carica che in tempi brevi, avrà modo di concretizzarsi all’indirizzo del problematico elemento di disturbo. Nel caso in cui un membro del branco debba trovarsi circondato dai nemici e privo di aiuto, prima di soccombere, questo parente del bufalo risulta capace di produrre un richiamo specifico d’aiuto consistente di uno sbuffo acuto cui fa seguito il muggito ringhiante, capace di richiamare a se tutta la potenza della sua armata di fratelli e sorelle dalle possenti corna. La seconda vocalizzazione di questa specie, d’altra parte, è il vero e proprio ruggito emesso dai potenti polmoni, usato dai maschi nella stagione degli accoppiamenti e capace di durare anche diverse ore, emessi normalmente dai giovani maschi scapoli ed ancora privi di un branco.
L’accoppiamento può verificarsi in qualsiasi periodo dell’anno benché la stagione secca risulti preferita, data la dispersione del branco che si verifica normalmente all’arrivo ecologicamente catartico dei monsoni. Con un periodo di gestazione che può andare dai 270 ai 280 giorni, la femmina di gaur partorisce un singolo piccolo di 23 Kg, che dovrà allattare per ulteriori 9 mesi. L’età riproduttiva sarà raggiunta, successivamente, entro un periodo di tre anni per le femmine, mentre la durata della vita massima, mai studiata in natura, è stata verificata poter raggiungere in cattività la cifra tutt’altro che trascurabile di 26 anni.
Che cosa debba costituire idealmente il bisonte, dal punto di vista della memoria sociale di quanto popola il nostro passato, non è sempre facile da definire. Presenza immutabile per quanto drasticamente ridotta di numero, causa la caccia spietata e assai proficua effettuata dai nostri predecessori. Residuo anacronistico di un tempo in cui le belve, ancora, popolavano la Terra del tutto prive di una considerazione pratica in merito a proporzioni ragionevoli, da parte dello specifico disegno prodotto dalle ragioni dell’evoluzione. Significativo risulta essere, in conseguenza di tutto questo, il fatto che all’altro capo del mondo esista una creatura ragionevolmente simile, la cui funzione, ben presto, potrebbe diventare la stessa. Con appena 21.000 esemplari adulti rimasti allo stato brado, disseminati a macchie di leopardo in un territorio che un tempo includeva tutta l’Asia ma che oggi non è altro che il residuo di un regno tristemente diviso.
Gradualmente addomesticato ed incrociato attraverso i secoli con lo zebù e la mucca domestica, dunque, il gaur si è gradualmente trasformato in molte delle sue regioni di provenienza nel bovino certamente più gestibile del gayal (Bos frontalis). Ma qualcuno potrebbe affermare, non senza una certa enfasi giustificata, che nulla potrà mai riuscire a rimpiazzare quel muggito dai risvolti storici possenti. E la marcia tonante, senza preconcetti nei grandi zoccoli, dell’unico vero signore cornuto della foresta.