Portato a termine il controllo pre-volo, con movimenti attenti e l’agilità di un ragazzo Kazuhiko Hachiya si sdraia in avanti sopra la carlinga del suo velivolo prediletto. Non si tratta di un’acrobazia, né l’inizio di un servizio fotografico ad effetto, bensì l’effettivo metodo d’impiego per ciò che lui è riuscito a costruire nella sua iterazione corrente e dalle prestazioni maggiormente efficaci, tra 2013 e il 2016 dopo oltre 10 anni di tentativi. Alzando quindi la testa per quanto possibile al fine di guardare in avanti, il capo d’azienda ultra-cinquantenne afferra con le braccia le due staffe di sostegno che gli passano sopra le spalle, per disporsi in posizione di partenza. Con il pollice della mano destra, quindi, spinge delicatamente verso l’alto una manopola di controllo: l’OpenSky M-02 “gabbiano” (Mehve) inizia fragorosamente a prendere vita. Sotto il suo corpo vibra infatti un potente motore AMT Nike Turbojet, dello stesso tipo usato per l’aeromodellismo di grandi dimensioni e in epoca più recente, gli zaini volanti utilizzati da spericolati visitatori delle regioni più elevate dell’esistenza. La finalità di Hachiya tuttavia, come appare chiaro a tutti gli spettatori di questa sua ennesima esibizione presso il campo di volo per alianti di Sekiyado, appare in un certo senso differente: non soltanto compiere l’impresa bensì farlo con un certo metodo e stile. Quelli derivanti in modo pressoché diretto, per l’appunto, dall’esempio di un maestro della creatività dei nostri giorni e a chi non dovesse conoscere Hayao Miyazaki, gran maestro dell’animazione giapponese, consiglierei di avvicinarsi alle sue opere proprio a partire da Kaze no tani no Naushika (1984) fiaba ecologista e anti-bellica ricca di spunti progettuali degni di un vero e proprio ingegnere del fantastico, tra l’interessante mezzo con cui la protagonista titolare si sposta e combatte attraverso le difficoltose peripezie della vicenda. Un aliante dotato di motore per il decollo, che l’eroina pilota restando in piedi sfidando coraggiosamente l’accelerazione e la spinta contraria dell’aria. E sebbene quest’ultimo dettaglio, prevedibilmente, sia finito perso nella traduzione dal disegno alla realtà, resta indubbio che la replica materialmente funzionante di questo visionario con il pallino del volo sia ragionevolmente simile negli aspetti maggiormente rilevanti. Tra cui la capacità di spiccare il volo ed avventurarsi attraverso le regioni più remote dei cieli distanti.
Al raggiungimento della velocità di decollo di circa 80 Km/h, e con essa circa i tre quarti dalla pista a disposizione dopo 330 metri, l’aliante motorizzato inizia quindi a staccarsi da terra. Con un sorriso spontaneo ed assolutamente inevitabile, il concentrato pilota porta il peso verso la parte posteriore del velivolo privo di coda, modificando in conseguenza di ciò la sua traiettoria in direzione ascendente. Raggiunta l’altezza prefissata di alcune fatidiche decine di metri, come da programma, Kazuhiko porta la manopola alla velocità zero lasciando che l’inerzia faccia il suo lavoro. A partire da quel fatidico momento, il Mehve rivela la sua effettiva natura di deltaplano al contrario, permettendogli di proseguire nella sua avventura nel più totale e poetico silenzio. Ogni movimento, a partire da quel momento, dovrà essere trasmesso mediante una ragionevole dose di cautela…
Avendo dimostrato una notevole penetrazione di pubblico al momento della sua presentazione internazionale nel tentativo di partecipare con una raccolta fondi sul web all’AirShow statunitense di Oshkosh in Wisconsin nel 2016, l’aereo di questa eclettica figura di artista e uomo d’affari è stato principalmente descritto in funzione del suo aspetto esteriore piuttosto dell’importanza tecnologica delle soluzioni impiegate in esso, capaci di tendere al tempo stesso verso un possibile futuro e le radici stesse della storia del volo umano a motore. Posto in essere per la prima volta più di 15 anni fa dal trentenne laureato della Facoltà di Design e Comunicazione Visuale dell’Università del Kyushu, già fondatore della sua compagnia PetWorks per la creazione di un software di comunicazione via Web da usare con la console Nintendo 64, l’aereo prese in questa prima iterazione la forma di un modello in scala 1/2 radiocomandato, poco prima che nel tentativo di dar vita ai suoi sogni, al creativo venisse in mente di coinvolgere l’azienda di progettazione di aeromobili leggeri Olympos che, soprattutto nella figura dell’ingegnere Satoru Shinoe, avrebbe posto in essere la prima versione effettivamente utilizzabile, denominata M-01. Ancora priva di un motore ma nondimeno utilizzabile come aliante di tipo convenzionale, ed in tale funzione utile a preparare al volo colui che avrebbe dovuto mettere in discussione la sua stessa incolumità, l’apparecchio è stato quindi lanciato mediante cavo di traino a partire dal 2006, aprendo la strada a quello che gli avrebbe permesso di scrivere, in una nota a margine dai caratteri nondimeno indelebili, il suo nome nella storia dell’aviazione.
Nella sua versione finale prodotta in due esemplari, M-02 ed M-02J, il Mehve pur essendo privo delle tipiche doti di un mezzo destinato alla produzione in serie dimostra ottime capacità di guidabilità e stabilità, grazie a un’inconsueta configurazione priva di coda e l’ingegnoso sistema d’interazione con le superfici di controllo, capaci di reagire ed assecondare i movimenti diretti del pilota. Riuscendo a riprendere, da questo particolare punto di vista, il funzionamento concettuale del primo aereo dei fratelli Wright antecedente all’invenzione degli alettoni, in cui si supponeva che il pilota modificasse l’effettiva forma delle ali tirandole da un lato e l’altro mediante l’inclinazione del proprio stesso corpo. Ed a tal proposito lo stesso Hachiya ha raccontato di aver provato sensazioni simili a quelle concesse dalla guida di una moto, mentre facendo affidamento sulla propria certamente non trascurabile preparazione fisica si trasformava se stesso in un elemento di primo piano nell’economia funzionale dell’aereo. Qualcosa che in pochi, tutto considerato, possono affermare di aver posto in essere nel corso della propria esperienza di vita.
Arguta comunicatrice con gli insetti mutanti della valle radioattiva, Nausicaa vanta senz’altro il merito di esser stata l’ambasciatrice di un diverso rapporto dell’animazione giapponese con temi di attualità rilevanti, come la necessità di ridurre lo sfruttamento eccessivo del pianeta, pena una riduzione delle risorse in essere che potrebbe portarci, inevitabilmente, verso l’annientamento reciproco e senza nessun grado di rivalsa. Un lungometraggio creato a partire dal manga dello stesso nome, sempre di Miyazaki e pubblicato in maniera intermittente tra 1982 e il 1994, che tutti ricordano soprattutto per i meriti estetici e i notevoli contenuti dal punto di vista del design tecnologico, da parte di un uomo che come pochi altri ha sempre coltivato ed ammirato il gesto più ambizioso dell’uomo, quello di staccarsi e allontanarsi dalla Terra che l’ha generato. “Pur volendo ricordare a tutti la mia totale indipendenza e nessun tipo di affiliazione con il maestro…” Afferma Hachiya l’artista di fama nella FAQ ufficiale del suo più famoso progetto, pubblicata sul sito dell’azienda PetWorks che oggi produce tra le altre cose bambole alla moda per collezionisti, continuando: “…Non posso fare a meno di sperare che egli veda quello che ho realizzato, ed in qualche modo comprenda che quanto ha descritto nel suo racconto può realmente esistere su questo pianeta.” Avendo quindi finalmente partecipato all’Airshow di Oshkosh nel 2019, come lungamente auspicato, egli resta in attesa dell’unico riconoscimento davvero importante per lui. Che potrebbe purtroppo, per ovvie ragioni di salvaguardia legale ed attribuzione delle responsabilità, non arrivare mai.