Impegno quotidiano e senso del dovere imposto a noi stessi ci conducono, attraverso il corso del fiume del tempo, verso il progressivo accrescimento della nostra conoscenza. E l’approdo presso risultati degni di questo nome, prima o poi, noi tardano ad arrivare. Cosa dire, tuttavia, del tipo di ostacoli che il fato pone sulla nostra strada, tanto alti e insuperabili, da bloccare il nostro senso del domani? Alti muri, ripidi pendii, solidi portoni che nessuno, non importa quanto forte, può aspirare a superare con la propria intera identità immutata. Eppure i pesci devono riuscire a riprodursi. Specie quelli che, per perpetuare la propria scagliosa discendenza, necessitano di sentieri per l’accesso a due diversi tipi d’ambienti: la foce e la sorgente dello stesso fiume. Così che un salmone può studiare fino a diventare straordinariamente intelligente, può coltivare le proprie capacità fisiche all’estremo, ma non potrebbe mai riuscire a superare una barriera come questa. Dighe, chiuse, candide muraglie sulla strada di quei corsi d’acqua, che non potranno mai aspirare ad un ritorno verso il naturale stato precedente delle cose. Perché l’uomo vuole, più che ogni altra cosa, quei profitti che lo sfruttamento può concedergli, siano essi frutto dell’irrigazione o produzione d’energia elettrica. Ma cos’è d’altra parte la popolazione di un particolare pesce, se non la risorsa addizionale nella grande collezione dei tesori a noi concessoci dal mondo in cui viviamo…
L’idea venne dunque ufficialmente, per primo, a Richard McFarlan di Bathurst, New Brunswick in Canada, benché accenni precedenti di quello stesso concetto fossero stati approntati nella Francia del XVII secolo, ove si era soliti disporre rami legati assieme per creare spazi definiti all’interno dei canali artificiali, ove i pesci potessero fermarsi e riposare senza dover continuare a contrastare la corrente. Il concetto di un vero e proprio passaggio per questi ultimi, parallelo allo scolmatore di un bacino idroelettrico, era tuttavia ancora agli inizi e numerosi gradi di perfezionamento si sarebbero sovrapposti attraverso gli anni. Benché la maggior parte delle specie diadrome (migrazione da acque salate a dolci) e potamodrome (da acque dolci ad acque dolci) possiedano un istinto che li porta a ricercare la destinazione necessaria per il proprio accoppiamento, spesso a discapito di qualsivoglia istinto di sopravvivenza individuale, ciascuna di esse possiede limiti inerenti che la portano a necessitare di un diverso tipo di ausili. Mentre le stesse caratteristiche ambientali ed ecologiche del luogo in cui si svolge l’azione comportano l’esigenza di soluzioni differenti, al fine di evitare che il passaggio si trasformi in una sorta di ristorante a cielo aperto per i predatori e gli uccelli acquatici alla perenne ricerca di soddisfazione gastronomica pinnuta. Al di là di considerazioni generiche in merito ai demeriti di un’esistenza moderna che impedisce ai pesci di prevalere mediante l’impiego esclusivo delle proprie forze, come sempre avevano potuto fare nei millenni della propria sussistenza, è innegabile che i moderni sentieri o scalinate per loro costruiti presso dighe o altre barriere risultino essere dei significativi esempi d’ingegno e tecnica applicata a un’esigenza che in pochi ricordavano di avere. Il che non basta certamente a renderla, del resto, in alcun modo meno significativa!
Le tipologie di canali di transito adeguati a questo tipo di circostanze risultano essere, dunque, almeno sei. Di cui la prima e tutt’ora più diffusa consiste, sostanzialmente, in nient’altro che una serie di piscine disposte in un succedersi a gradoni, affinché i pesci possano saltare dall’una all’altra ritrovandosi ogni volta un po’ più prossimi alla meta. Sistema solo lievemente più sofisticato, che potete osservare nel video di apertura dell’articolo, è quello dello spazio simmetrico di una serie di baffle (in questo contesto, punti di smorzatura) che interrompono il flusso troppo rapido dell’acqua offrendo in aggiunta a ciò dei punti validi a far riposare il pesce durante il transito del suo lungo e difficile viaggio in salita. Nella tipologia più intrigante e moderna di questo metodo (vedi foto finale dell’articolo) la discesa gravitazionale dell’acqua può essere ulteriormente smorzata mediante l’impiego di un susseguirsi di forme geometricamente simile a quello della valvola di Tesla, usata idealmente al fine di favorire il movimento di un liquido verso una specifica direzione. Variazione ancor più ingegnosa è quella del passaggio a fessura verticale, in cui il pesce può spostarsi da uno spazio della scalinata fino a quello soprastante mediante l’impiego di passaggi sommersi e facendo quindi a meno del difficile e faticoso balzo. Segue quindi, nella nostra rassegna, l’approccio alternativo del vero e proprio ascensore per pesci, come quello in uso presso la diga Holyoke nel Connecticut, ove soltanto tramite la mano di un operatore, una volta raggiunta la quantità sufficiente di salmoni all’interno di un’apposita vasca, quest’ultima viene trasportata in alto e aperta verso il successivo capitolo delle ittiche peripezie viaggianti. Ben diverso (e più raro) il progetto di una rampa naturalistica creata con pietra e rami, concepita al fine di alterare lo scorrere naturale dell’acqua in maniera tale da favorire il transito ideale dei salmoni e loro simili. Metodo del resto futuribile ed ancora raramente usato risulta essere quello del sifone sottovuoto, vero e proprio tubo o cannone che risucchia le creature del fiume una ad una, per proiettarle dunque fino alle regioni ulteriori della migrazione idealmente considerata desiderabile per la loro sussistenza futura.
Attente considerazioni, come dicevamo, devono essere effettuate prima della scelta di un metodo piuttosto degli altri, date le diverse capacità di forza, resistenza e dimensioni delle diverse specie di pesci. Un recente articolo dell’Anderson Valley Advertiser narra, ad esempio, di come ben tre diverse scalinate per pesci in quel particolare vicinato della California settentrionale, costate complessivamente centinaia di migliaia di dollari e costruite idealmente al fine di favorire il transito delle specie Sacramento Suckers (Catostomus occidentalis) e Clear Lake Hitch (Lavinia exilicauda) siano risultate inefficienti per altrettante differenti ragioni: troppo stretta la prima, troppo rischiosa la seconda e troppo invitante per gli uccelli da preda la terza. Problemi ancor più complessi possono presentarsi nel caso di creature già rare, come il pesce spatola (fam. Polyodontidae) i cui organi sensoriali magnetici possono venire disturbati dalle sbarre di metallo all’interno del cemento armato, rendendogli impossibile la navigazione di passaggi per il resto privi di difetti progettuali di sorta. Il che ci ricorda come, per quanto concerne i problemi della natura, l’uomo sia decisamente più predisposto a causarli di quanto i suoi possenti strumenti tecnologici possano servire a risolverli. Benché non ci sia niente di sbagliato, in ultima analisi, nel tentare in qualche modo di farlo.
Sarebbe ragionevole a questo punto prendere ad esame l’obiezione di coloro che potrebbero arrivare per chiedersi: “Che cosa hanno mai fatto, dopo tutto, i pesci per noi.” Nella pronuncia esplicita di quel punto di vista drammaticamente limitato, che da sempre antepone il profitto immediato derivante dal risparmio di risorse operative e materiali, prima del guadagno effettivo sul medio e lungo periodo.
Mentre in molti capiscono, per la fortuna di noi tutti, come il proseguire ideale di un corso biologico attraverso il giro delle Ere sia non solo parte di quel meccanismo che allo stesso modo nutre, e permette di persistere, alla nostra umana società. Bensì un vero e proprio meccanismo ispiratore di quel processo straordinariamente necessario, che dovrebbe permetterci ogni giorno di far crescere le piante metaforiche (o per metà fisiche) dei nostri giardini più o meno segreti. Altrimenti, senza pesci, perché mai impegnarsi? Senza pesci come potremmo mai riuscire ad imparare, ancora una volta, il metodo migliore per andare controcorrente?