Mentre i minuti trascorrono ad un ritmo esasperato, lentamente, le lancette si trasformano nel giro delle epoche trascorse. Uno dopo l’altro, i ricordi transitano innanzi alla coscienza degli spettatori: dapprima uno alla volta, quindi tutti assieme, frutto della mente collettiva che può far di un popolo, una nazione. In senso contemporaneo, senz’ombra di dubbio, eppure radicato nel profondo dei fatti accaduti e di coloro che, di volta in volta, personificarono l’influsso umano sulle circostanze. Così che, durante il Jidai Matsuri (時代祭 – Festival delle Ere) la stessa pulsione operativa capace di riportare l’attenzione sull’antichissima città di Kyoto durante la Restaurazione Meiji, dopo che la capitale era stata spostata a Tokyo per volare degli oligarchi e dell’Imperatore, porta nuovamente i partecipanti ad una lunga ed importante marcia verso il tempio di Heian. Dedicato proprio a colui che, nel 794 d.C, creò l’omonima città di Heian-kyo, che oggi corrisponde al secondo polo urbano maggiormente popoloso ed influente dell’intero arcipelago giapponese. Kyoto magica, Kyoto mitica e Kyoto affascinante, valori chiaramente espressi dalle scene successive che riescono a succedersi, l’una dopo l’altra, lungo l’estendersi di questa processione a ritroso. Che comincia, prevedibilmente, coi soldati e dignitari della guerra Boshin, iniziata nel 1869 e terminata l’anno successivo, a seguito dell’avvenuta restaurazione del potere imperiale. Così giovani e colti soldati, patrioti di quegli anni, appaiono abbigliati con lo storico misto di uniformi moderne e vesti simili a quelle degli antichi guerrieri, i caratteristici ed irsuti copricapi tanto simili alle parrucche del teatro d’Oriente. A fargli seguito, compunti e seri, giungono quindi coloro che più di ogni altro, seppero personificare e guidare quel particolare momento di svolta: figure del calibro dei samurai Katsura Kogorō, Yoshida Shōin e ovviamente Saigō Takamori, colui che vinse il maggior numero delle battaglie come comandante di quel conflitto, portando lo shōgun Tokugawa Yoshinobu a rimettere il potere nelle mani del legittimo sovrano discendente della Dea Amaterasu. Per poi perire, in modo famoso e tragico, nella ribellione del suo feudo contro quello stesso regime che aveva contribuito a stabilire (vedi film del 2003 con Ken Watanabe e Tom Cruise, L’ultimo samurai). Come per ogni altro capitolo di tale processione, quindi, fanno seguito le figure “generiche” più rappresentative, tra cui soldati, intellettuali e i ministri anti-occidentali, vestiti con cappello militare e mino (蓑) il tradizionale indumento di paglia giapponese.
A fargli seguito, comincia in modo retroattivo l’epoca di Edo (1603-1868) lungo estendersi dell’egemonia del bakufu (幕府) o governo militare Tokugawa, imposto dopo l’epoca vittoria sulla piana di Sekigahara. Un periodo di pace, dedicato nella composizione dei figuranti alle arti e mestieri di quell’epoca, tra cui portatori di bagagli particolarmente raffinati e preziosi (nagamochi) e danzatori con la lancia (yarimochi) capaci di compiere straordinarie evoluzioni con simili ingombranti implementi d’offesa. Dopo un nutrito contingente dedicato alla visita ufficiale organizzata dallo shōgun presso l’Imperatore a Kyoto, nell’interminabile susseguirsi di meraviglie, viene la parte della processione dedicata alle donne. Iniziando dalla principessa Kazu-no-Miya Chikako, ottava figlia del sovrano andata in sposa a Tokugawa Iemochi (1851) famosa in qualità di calligrafa e poetessa del genere waka. Seguìta da una folta schiera di praticanti delle arti di quegli anni, appartenenti alle categorie sociali più diverse, tra cui colpisce in maniera particolare l’abbigliamento stravagante di Izumo no Okuni, la miko (sacerdotessa del tempio) che ribellandosi contro la rigida morale del XVI secolo, diede inizio agli spettacoli dapprima satirici, irrispettosi e imprevedibili che avrebbero portato alla nascita del teatro kabuki. Ma è con l’inizio della successiva parte della processione, dedicata al periodo di battaglie noto come Azuchi Momoyama o in modo meno specifico, Sengoku Jidai (Paese in Guerra) che alcune delle figure più celebri iniziano a susseguirsi davanti all’occhio attento degli spettatori…
I circa due secoli di guerre civili combattute dal Giappone verso il termine della sua epoca feudale, terminati con la già citata battaglia di Sekigahara, furono il coronamento di quella stessa serie di processi che attraverso le generazioni aveva, tanto a lungo, permesso la creazione di un alto numero di signorie feudali, sempre meno unite sotto il controllo di un potere centrale. Così che l’emersione di tre figure chiave, in modo particolare, avrebbe permesso di dar vita all’atteso principio di un’identità nazionale unica e indivisa. Proseguendo quindi nell’esposizione a ritroso delle questioni, e decidendo di saltare il terzo di costoro (Tokugawa Ieyasu, 1543-1616) probabilmente poiché già mostrati molti dei suoi discendenti, viene il turno di un Toyotomi Hideyori in viaggio nel 1596, figlio di quell’Hideyoshi (1536-1598) che fu il secondo grande unificatore. Rappresentato a sua volta, da giovane e nel ruolo di luogotenente, nel gruppo successivo, dedicato all’entrata trionfale a Kyoto di Oda Nobunaga (1534-1582) dopo la lunga serie di campagne che l’avevano portato, finalmente, a dominare il territorio del Giappone centrale. Assieme a loro, molti dei più celebri signori della guerra coévi tra cui Niwa Nagahide, sposo della figlia di Nobunaga e Takigawa Kazumasu col suo elmo cornuto, che fu sempre un oppositore dei Toyotomi assieme a Shibata Katsuie, fiero guerriero tradizionalista il quale venne costretto, dopo il fallimento della loro ribellione, a suicidarsi con la moglie e i figli. Senza tuttavia poter restare troppo a lungo sulla questione, la processione procede quindi a ritroso fino all’epoca dello shogunato Muromachi (1336-1573) con attori teatrali negli abiti di quell’epoca e musicisti esperti del gagaku, il genere classico dalle sonorità inconfondibili, assieme ai praticanti della Fūryū Odori, antica danza dalle tematiche buddhiste. Ma i personaggi storici tornano ben presto al centro dell’attenzione, quando nella parata viene il turno di Kusunoki Masashige (1294-1336) il fedele guerriero che accompagnò fino all’ultimo la fallimentare ribellione dell’Imperatore Go-Daigo, riallacciando quindi la tematica di fondo a quella, importantissima per il paese, di chi dovesse detenere il potere politico assoluto, tra i militari e i depositari della dinastia col sangue degli Dei. Di nuovo con lo spostarsi dell’attenzione al periodo ancora precedente dell’epoca Heian (794-1185) aperta dai riconoscibili dignitari della potente famiglia dei Fujiwara, l’attenzione si sposta ai personaggi storici e letterari del mondo femminile, tra cui l’eroina guerriera dell’Heike Monogatari Tomoe Gozen, la tragica amante Yokobue e Tokiwa Gozen, madre del grande samurai e leggendario uccisore di demoni Minamoto no Yoshitsune (1159-1189). Sfilano in coppia quindi le due celebri scrittrici Murasaki Shikibu e Sei Shōnagon, rispettivamente autrice del primo romanzo della storia, il Genji Monogatari, e la fondamentale raccolta di poesie ed osservazioni Makura no sōshi, letteralmente: I racconti del guanciale. É con l’inizio del periodo antecedente (ma successivo nella processione) che si giunge quindi alla figura semi-leggendaria e vestita in magnifica armatura dorata di Sakanoue no Tamuramaro, secondo degli shōgun del Giappone e in quanto tale, conquistatore dei popoli del nord per volere dello stesso imperatore Kanmu (737-806), cui è dedicato il tempio da cui parte la processione. Che avviandosi alla propria conclusione, trova quindi il suo coronamento nel mikoshi (santuario trasportato a spalla) contenente gli spiriti immortali di Kanmu e del secondo personaggio celebrato dal Jidai Matsuri, il 121° Imperatore Kōmei (1831-1867) coronato dall’ornamento dell’immortale fenice e accompagnato da una compagnia di arcieri e altri guardiani. Costituisce ciò il coronamento finale, dunque, di una simile indimenticabile sequenza di uomini, donne e tradizioni, messe in scena con notevole accuratezza secondo un copione raffinato in oltre un secolo di perfezionamenti.
Paese in cui la Storia viene attentamente esposta con evidenti gradi di specificità, il Giappone che possiede un’identità culturale più che alla pari con quella di qualsiasi altra nazione moderna avendo inoltre la caratteristica, o capacità inerente, di far tutto il possibile per mantenerla in vita. Attraverso specifici gesti che sembrano attraversare incolumi il vasto succedersi delle generazioni.
Ciò deriva, forse, dalla cognizione shintoista secondo cui ogni cosa possiede uno spirito prezioso ed insostituibile, inclusi quegli stessi templi che a intervalli regolari venivano ricostruiti, poiché lo spirito di tutto ciò che è sacro sopravvive al semplice bisogno architettonico di spazi atti alla venerazione, per pura ed arbitraria preferenza di coloro che ne fanno l’uso pratico durante il corso della loro vita. Ed è in quest’occasione ripetuta ogni anno il 22 ottobre, probabilmente ancor più delle altre due maggiori ricorrenze di Kyoto (Aoi matsuri, 15 maggio e Gion Matsuri, 17-24 luglio) che un simile principio trova l’effettiva rappresentazione dei gesti. Non più frutto di una semplice atmosfera, bensì perpetrata, un passo dopo l’altro, dai diretti depositari di un filo d’oro e ininterrotto con gli antenati.