Pratico prodotto dell’industria, singola e sottile meraviglia. Dalla rotazione, pressatura e piegatura, di un lungo filamento di metallo attentamente fatto roteare, con approccio ripetuto, in mezzo agli ingranaggi di una macchina potente. Poi tagliato, un pezzo dopo l’altro, in una serie di elementi tutti uguali, con la punta da una parte ed una testa piatta da colpire, ancòra e ancòra, prima che il significato dell’oggetto appaia finalmente chiaro: chiodi, oppure viti, degli architettonici possibili bisogni. E se invece, in particolari circostanze, tutto questo fosse finalmente superato? E se per costruire l’edificio, grazie a tecniche di un’epoca distante, fosse oggi possibile affidarsi unicamente ai materiali stessi, fatti combaciare ed incastrati l’uno dentro l’altro, neanche si trattasse di un “semplice” gioco di costruzioni per bambini? Innanzi alla frenetica città di Pattaya, con 300.000 abitanti nella regione tailandese di Chonburi, appare questa surreale punta ispirata agli antichi templi del regno di Ayutthaya innanzi al sabbioso lungomare: 114 metri dalla base del pinnacolo, che in effetti non sarebbero moltissimi rispetto ai grattacieli di quel centro abitato, eppure sembrano in qualche maniera dominarlo. Dall’alto di una preminenza visuale ed artistica, frutto di processi architettonici che sfuggono, qualora privi del contesto, dall’umana percezione dei momenti. Alto e impassibile, Brahma stesso osserva l’orizzonte dalla sommità dell’edificio coi suoi quattro distinti volti, rivolto al tempo stesso verso al padre, la madre, l’insegnante ed il re. Dal cui seggio si diramano, nelle altrettante direzioni cardinali, le quattro ali della cruciforme meraviglia costruttiva, ciascuna ornata da una serie senza fine di figure mitiche, serpenti ed altri animali, tutti frutto degli stessi procedimenti scultorei in quanto creati a partire dalla stessa cosa. Ovvero un tipo, oppur l’altro, di puro & semplice legno, scolpito da letterali generazioni d’artisti, a partire dall’ormai remota epoca del 1981.
39 anni sono passati in effetti, ed altri ancora ne trascorreranno, dal momento in cui Prasat Satchatham “Il Santuario della Verità” ha iniziato a prender forma sulla spiaggia del mare di Naklua, come ideale risposta verso la fine della guerra fredda al “Sentimento di desiderio instradato da un uso malevolo della tecnologia” percepito dal suo committente, il magnate dell’industria automobilistica e finanza Lek Viriyaphan (1914-2000) grande patrono delle arti ed in funzione di ciò, figura dietro grandi opere architettoniche come l’Antica Città del Siam presso Bangkok (vedi precedente articolo) e il museo a forma di elefante tricefalo di Erawan, nella provincia di Samut Sakran. Opere accomunate da un certo stile dialettico ed il gusto estetico mirato a stupire il visitatore, facendone parte fondamentale di un ideale processo di crescita spirituale e religiosa. Idealmente finalizzata a ritrovare, in se stessi, la forza di un equilibrio valido a migliorare la vita di se stessi e degli altri. Un nobile proposito per definire il quale, assai probabilmente, l’incredibile castello di Pattaya si configura come ideale, data l’inclusione nella sua incredibile presenza costruttiva di princìpi appartenenti ad almeno quattro diverse religioni: Induismo, Buddhismo, Taoismo e Confucianesimo. Attraverso lo stile dialettico di quelle che potremmo agevolmente definire come 1.000 o più statue…
Al tempo stesso luogo di culto, museo ed attrazione culturale, il Prasat Satchatham ricorda dunque la Sagrada Familia di Barcellona, in eterno stato di costruzione dal 1882, sebbene il suo originale creatore Antonio Gaudì sia passato a miglior vita da un periodo meno recente di quello dell’opera tailandese. Nulla, del resto, ci fa pensare che il secondo edificio possa dirsi effettivamente completato in un periodo destinato a raggiungere l’espletamento in epoca più prossima di questa. Mentre l’effettiva costruzione in materiale esclusivamente ligneo ricorda, di contro, le proporzioni e gli approcci delle stavkirke, chiese scandinave che sono l’espressione di un processo costruttivo simile, dato l’impiego analogo di legno, sebbene coadiuvato in quel particolare caso anche dall’impiego del sistema dei chiodi. In aggiunta ad una significativa, notevole differenza: il fatto di esser stato ricoperto, in ogni singolo metro quadro della sua struttura, da una moltitudine di statue e bassorilievi di qualità media superiore alla media, prodotto di molteplici generazioni d’artisti e studenti delle tradizioni creative thailandesi. Mentre simile al caso europeo risulta essere, di contro, il possente pilastro centrale che sostiene lo scheletro dell’edificio, costituito nel caso del Santuario da un singolo tronco di albero takien (Hopea odorata) dal diametro di 120 cm e l’altezza possibile di 45 metri. Attorno al quale si diramano le quattro braccia della pianta a croce, o tetraedro che dir si voglia, ciascuna dedicata ad un diverso aspetto della venerazione religiosa alla base dell’edificio. Nell’ala est, dunque, compare un imponente gruppo statuario dedicato alla famiglia, composto da padre, madre e quattro figli, sovrastato dalle immagini di Lek Viriyaphan e la sua altrettanto famosa moglie Prapai Viriyaphan, continuatrice in più di un modo delle grandi opere volute dal consorte successivamente al momento della sua dipartita. La sala ovest, invece, contiene raffigurazioni statuarie dei quattro elementi, mentre gli dei indiani della Trimurti, Brahma, Shiva e Vishnu vi compaiono rispettivamente in groppa ad un cigno, seduto in meditazione sopra una collina e addormentato su di un naga (serpe antropomorfa) nel mezzo del grande oceano di latte. Nell’ala nord, dedicata al progresso spirituale sulla base di un’iconografia di tipo cinese, sono state di contro disposte le immagini dei molti saggi uomini, devoti alle diverse discipline del passato, che hanno coltivato la suprema moralità di Taoismo, Confucianesimo e Buddhismo Mahayana; il tutto coronato dall’apertura di una vasta finestra spalancata sul mare, idealmente raffigurante l’obiettivo finale del Nirvana. Nell’ala sud, d’altronde, sono state scolpite personificazioni e scenari allineati al concetto di sette dei “pianeti” della tradizione (Sole, Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere e Saturno) ciascuno interconnesso ad un particolare stato d’animo e gradino del processo verso il raggiungimento di una solenne pace interiore. Come pièce de résistance dell’intera opera, per concludere, figura nel sancta sanctorum centrale dell’edificio il trono di Buddha stesso, seggio lasciato vuoto a simboleggiare l’ingresso dell’Universo per il tramite delle Quattro Verità, come dovrebbe idealmente essere il punto d’arrivo di un simile viaggio di scoperta del senso e significato ultimo della condizione umana.
Costato attraverso gli anni una cifra certamente considerevole, anche data la necessità reiterata di rimpiazzare parti della sua struttura ancor prima che potesse dirsi completata causa la naturale impermanenza del legno, il Santuario è stato quindi comprensibilmente trasformato in epoca contemporanea in vera e propria attrazione turistica, con tanto di biglietteria e spettacoli annessi, costituiti da danze tradizionali, dimostrazioni di arti marziali e occasioni d’incontro con diverse specie di animali locali. Particolarmente apprezzati dai visitatori, in particolare, risultano il giro dei dintorni a cavallo di mansueti elefanti e l’occasione di nutrire direttamente i delfini, dietro il pagamento di ragionevoli somme accessorie in aggiunta al biglietto d’ingresso. Che nel frattempo include, per fortuna, il noleggio del casco di protezione considerato comunque necessario per fare il proprio ingresso all’interno dell’edificio, in continua trasformazione procedurale così come previsto, idealmente, dalla condizione umana all’interno dell’idealmente infinito ciclo di morte e rinascita, che in sanscrito prende il nome di Samsara. Almeno finché un singolo momento d’illuminazione, frutto di esperienze specifiche vissute sulla Terra, possa elevare l’individuo al di sopra del suo fato così eternamente ripetuto. Un processo per realizzare il quale, idealmente, tanto viene tenuto in alta considerazione il valore estemporaneo dell’arte.