La pigna svolazzante che usurpa i pulcini all’interno del nido

Ricordo la mia nascita come se fosse stato ieri: lo spesso guscio dell’uovo, difficile da rompere, gradualmente superato dalla persistenza di un becco appuntito. E la vista mozzafiato del mondo dalla cima di quell’albero, irraggiungibile pur essendo eccezionalmente, stupendamente vicino. La sensazione di essere compresso, all’interno di un abito troppo piccolo per me. Finché mia madre, balzellando soavemente, non venne a portarmi il primo verme di quest’esistenza totalmente nuova, facendo si che potessi sentirmi, istantaneamente, amato. Facendo seguito allo stesso gesto del suo amabile consorte, il padre scricciolo dalle arruffate piume. Giorno dopo giorno, mi è facile riportare nella mente il modo in cui crescevo, ancora e ancora, finché a un certo punto, iniziai a guardare con sospetto le altre quattro cose-uovo all’interno del mio legittimo spazio vitale. “Cosa sono, da dove arrivano, chi le ha deposte in questo luogo?” Pensavo tra me e me. “Perché non si sono ancora schiuse? E soprattutto, quando lo faranno, ci sarà abbastanza cibo per tutti quanti?” Stranamente, non percepii mai alcun tipo di legame con questi futuri esseri viventi, miei “fratelli” soltanto di nome. Finché un giorno, stanco di pensare, iniziai a spingere. La schiena contro quegli oggetti del mio legittimo fastidio, le ali glabre puntellate presso il fondo della conca di rametti, il becco aperto per lo sforzo, gli occhi strabuzzati per tentare di nascondere l’odio. Uno, due, issa. Tre quattro, issa. Pioooo. E via, il problema che si avvia a una placida risoluzione: dov’ero prima uno tra tanti, in pochi attimi riuscii a restare solo. Per sempre amato, nonostante tutto, da una coppia neanche in grado di concepire il concetto aviario di un fraticidio.
Esistono nel contesto geografico del Nuovo Mondo parecchie decine di specie appartenenti alla famiglia dei cuculiformi, ma tra queste, solamente tre adottano la crudele prassi riproduttiva del parassitismo. La quale gli ha permesso, attraverso le generazioni, di poter superare la necessità di costruirsi da soli il nido. Pratico, semplice, efficiente: basta distrarre per un attimo la coppia di neo-sposi e mentre guardano da un’altra parte, proiettare il proprio nascituro in-guscio entro i confini della nursery sotto-dimensionata. Sto parlando, nello specifico, del cuculo fagiano (Dromococcyx phasianellus) il corridore pavonino (D. pavoninus) ed il protagonista della nostra notevole foto d’apertura, il mimetico striato (Tapera naevia) con areale andante dal Messico meridionale all’Argentina, per cui la selezione naturale sembrerebbe aver portato, oltre a quel crudele processo riproduttivo, anche il vantaggio di un notevole approccio al mimetismo. Essenzialmente la capacità di assomigliare in età giovane, come evidenziato da questa foto pubblicata per la prima volta un anno fa dall’utente di Reddit “thebigleobowski” che aveva soccorso il piccolo esemplare al confine con l’Argentina, a una splendida e perfetta pigna, caduta casualmente presso il luogo in cui potesse ricevere cibo e attenzioni genitoriali totalmente immeritate. E tutto il resto, come si usa dire su Internet, è (memetica) storia…

Strano come la maggior parte degli uccelli possessori di un carattere indefesso e incorreggibile finiscano per possedere lo strumento espressivo di una saettante cresta di piume. Quasi come se il desiderio di esprimersi trovi riflesso, in qualche modo, nella loro cinguettante anatomia.

Il “piccolo” Tapera naevia una volta raggiunta l’età dell’indipendenza nel giro di appena 18-20 giorni dalla schiusa, si trasformerà in uccello aggraziato di una lunghezza di 27 cm e un peso approssimativo di 40 grammi. Persa la mimetica livrea a guisa di pigna, prevalentemente utile a scoraggiare l’attenzione dei predatori, esso manterrà quindi una livrea dorsale a macchie con petto bianco, usato durante il rituale d’accoppiamento, righe nere in corrispondenza degli occhi e piume dello stesso colore dove si trovano le alule (articolazioni delle ali) capaci di donare agli arti volatori un aspetto bicolore tale da averlo fatto soprannominare, in taluni ambienti, “cuculo dalle quattro ali”. Per quanto concerne l’effettivo ruolo ecologico dell’animale, questo uccello appartiene al gruppo informale dei cosiddetti cuculi di terra, abituati a nascondersi tra le siepi e l’erba alta ai confini del sottobosco fino a 1.400 metri di altitudine, dove cacciano abilmente insetti preferibilmente di grandi dimensioni, vermi ed altre creature invertebrate ghermite dal becco fulmineo sempre pronto alla consumazione. Vero tratto distintivo di una simile creatura, nel frattempo, risulta essere la cresta erettile di color marrone fulvo, usata per attrarre l’attenzione dei membri della sua stessa specie. Affiancata da un caratteristico verso modulabile, composto da una variazione altamente distintiva di due o tre note (wu-weee, wu-wu-wee) combinate in quattro modi diversi, assai più melodiosa dello stereotipato verso ripetuto (cu-cù, cu-cù) dei loro cugini europei, qui usato con successo per oltre 10 mesi l’anno, con soltanto novembre e dicembre tralasciati nel suo proposito di riprodursi a discapito d’inconsapevoli genitori, generalmente furnaridi (passeri costruttori di nidi a cupola) e wrens (gli scriccioli americani).
Come la maggior parte dei cuculi nel mondo, fin dall’epoca del Mondo Antico, la naturale efferatezza del suo processo riproduttivo appare in qualche modo istintivamente conosciuta dal folklore popolare pregresso, vedendo questo aggraziato ancorché cruento uccello associato al concetto del saci o matita-perê, bambino-demone con una gamba sola, in grado di esaudire i desideri delle persone ma ancor più propenso a ingannarle o metterle in difficoltà nella perfetta rappresentazione del concetto di trickster, divinità poco raccomandabile dei boschi. Essere con cui condivide parte del suo nome tradizionale in lingua portoghese matita-pereira, che potrebbe mantenere in questa sede l’assonanza con l’uso che ne viene fatto nella celebre canzone Águas de Março di Antônio Carlos Jobim (1927–1994) tipicamente associata a quello specifico contesto sudamericano d’appartenenza.

Magnifico e accattivante, nel suo inganno, appare essere il volto piumato del demonio. Eppure togli il nido delle vittime da sotto la sua coda, quel che resta è un piccolo pulcino. Inconsapevole persino della sua malvagità.

Esempio vivente di due tipi di approccio alla sopravvivenza dei piccoli, il parassitismo genitoriale ed il mimetismo criptico, il cuculo striato esiste dunque in bilico tra passato e futuro, apparentemente scevro di considerazioni in merito al suo stato di conservazione futura. Il che, come riportato sul sito dello IUCN con la fatidica espressione “non specificato” potrebbe essere sia un punto positivo, data l’assenza di minacce immediate, che negativo, per il disinteresse pubblico e normativo in merito ai processi necessari al fine di preservare la sua inconfondibile specie. Assai diverso, in effetti, risulta essere il processo di sfruttamento messo in pratica su scala sostenibile da un legittimo appartenente all’ecosistema, che secondo quanto determinato in diversi studi scientifici non inficia in effetti l’esistenza continuativa dei propri ospiti involontari, dalla prassi di assoluta distruzione e subordine ambientale messa a frutto dagli umani, perennemente intenti a rincorrere un tutt’altro tipo di interessi. Che sembrerebbero al tempo stesso precorrere, ma anche superare, le prossime due o tre generazioni, all’interno dello spazio delle arcane possibilità future.

Esempio pratico di come il cuculo europeo comune (C. canorus) mette in pratica il suo assalto contro i suoi sfortunati fratellastri all’interno del nido di un’altra specie. Uno dei pochi casi in cui verrebbe voglia di gridare al documentarista: “Fai qualcosa, fermalo prima che sia troppo tardi!”

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