Molto importante nello stile d’insegnamento statunitense è la cognizione che sapere un qualcosa, e testimoniarne l’evidenza, siano due valori culturali profondamente differenti. Così che il metodo scientifico, continuamente messo in discussione, si trova sottoposto a prove quotidiane, dinnanzi al pubblico della nuova generazione, in aule di scuola, laboratori universitari ed altri spazi architettonici finalizzati a tal scopo. Resta tuttavia evidente che ogni abitudine, inclusa simile tendenza, possa venire proporzionata sulla base del proprio ambiente operativo, raggiungendo e coinvolgendo le fervide menti in quantità determinata dalla grandezza del proprio palcoscenico ed il tipo di risorse a disposizione. Come nel caso della Prof.sa Katerina Visnjic di Princeton, che nel 2016 tra tutti i megafoni a disposizione, scelse d’impiegare il più imponente: quello di Internet, creando il canale di YouTube chiamato a tal proposito Physics4Life. Idealmente finalizzato, in linea di principio, a contenere un’ampia antologia di materiali ma la cui Alfa e Omega per ragioni inconoscibili sarebbe stata invece questa singola scenetta, il cui svolgimento e risultato, d’altra parte, appaiono chiari e al tempo stesso, poco meno che straordinari. Stiamo parlando, d’altra parte, di una delle più famose prove pratiche finalizzate alla scoperta di una legge naturale, per l’appunto nominata in base al nome del suo scopritore, il matematico francese appartenuto al secolo della scienza Blaise Pascal (1623-1662) a sua volta strettamente interconnesso all’immagine particolarmente strana e imprevista di un lunghissimo tubicino, fatto discendere dalla sommità di una torre, all’interno della prototipica botte costruita in doghe di legno. Nient’altro che un’esperimento, a conti fatti, ma del tipo migliore. Poiché quasi nessuno, senza una preparazione precedente, avrebbe potuto prevederne l’esito finale.
Osservate, ponderate, traete le vostre conclusioni: su questo gruppo di studenti iscritti all’università più prestigiosa e importante del New Jersey che, seguendo le istruzioni della loro guida in questo viaggio sorprendente di scoperta, approntano la configurazione già descritta con alcuni significativi gradi d’adattamento. A partire dalla sommità del dipartimento di fisica, il mini-grattacielo noto come Fine Hall, ove trova collocazione il punto d’origine della succitata, angusta e flessibile condotta (probabile tubicino in gomma trasparente) fino al bersaglio finale di una grossa ampolla in vetro, a sua volta inserita all’interno di un contenitore più grande poggiato attentamente al livello della strada. Questo per evitare che al verificarsi dell’effetto finale qualcuno possa rimanerne, assai spiacevolmente, bagnato. Quindi al trascorrere di qualche attimo di suspense, seguito dalla relativa apertura delle menti grazie alla descrizione del concetto di pressione idrostatica, con gesto solenne l’aiutante della Prof.sa Visnjic spinge uno stantuffo dal piano rialzato di 35-40 metri, dando inizio a una serie di conseguenze strettamente interconnesse tra loro. Prima tra tutte, la compressione del liquido nella cannuccia, tramite espulsione inevitabile di fino all’ultima bolla d’aria rimasta intrappolata al suo interno. Subito seguita, con rapidità fulminea, da un aumento di pressione pressoché immediato nell’ampolla al termine di quel sistema chiuso, immediatamente portata fino al limite massimo concesso dalla sua struttura. Fino all’irrimediabile esplosione in un migliaio di frammenti, causata dalla semplice pressione, neanche tanto forte, del pollice umano sovrastante. Il che richiede, senza il benché minimo dubbio, l’approccio ulteriore di una breve discussione esplicativa…
Per quanto concerne la sopra accennata legge di Pascal, essa dichiara che “Ogni aumento pressione di un liquido all’interno di un sistema confinato troverà sfogo, con forza equivalente e contemporanea, in ciascuna delle direzioni possibili all’interno dello spazio a disposizione.” Princìpio appartenente a quella categoria di nozioni del tipo apparentemente ovvio e poco degno di approfondimento, almeno finché non si considerano le sue implicazioni possibili ai più livelli della tecnica, l’ingegneria e il pensiero fisico applicato. Quanto dimostrato dal cosiddetto barile di Pascal, esperimento per lo più teorico che per quanto possiamo desumere dalla letteratura potrebbe anche non essere stato effettivamente messo in opera dal suo ideatore originario attorno al 1646, è che una determinata DIREZIONE di spinta risulti inerentemente massimizzata nella propria energia potenziale, nel momento in cui si trovi concentrata all’interno di un sentiero definito. Quello, per l’appunto, dell’estensione longilinea della cannuccia, lungo l’asse di rafforzamento verticale della gravità terrestre. Due sono gli esempi validi allo scopo, portati in altrettanti video del canale Physics4Life: il primo è quello della-diga-per-eccellenza sul Black Canyon (la celebre Hoover Dam) per cui l’effettiva rimozione del lago Mead, mantenendo in qualche modo magico un sottile velo d’acqua gravante sulla sua struttura ad arco, e in conseguenza di ciò soltanto una stretta base d’appoggio al di sotto di esso, continuerebbe ad esercitare una mettere sotto uno stress equivalente l’intero edificio: questo perché è l’altezza della colonna d’acqua, non la quantità effettiva di fluido, a determinare la sua pressione trasversale. Il secondo esempio è invece quello di una persona che dovesse, accidentalmente, schiacciarvi un piede durante una serata di ballo in discoteca. E l’esito decisamente differente che potreste aspettarvi, nel caso in cui si tratti di un uomo dotato di scarpe piatte, piuttosto che una donna coi tacchi a spillo; caso, quest’ultimo, in cui tutta la forza relativa al suo comunque inferiore peso verrà veicolata e concentrata in quell’unico preciso punto, massimizzandone l’effetto spiacevole nel caso della vittima teoricamente designata.
Il che risulta essere del resto, ci spiega la professoressa, la stessa ragione per cui il cuore di una giraffa deve fare più fatica di quello di un elefante, al fine di veicolare il sangue fino alla sommità del suo lungo collo, attraverso l’asse più lungo della “condotta” biologica costituita dal suo sistema circolatorio. Questo cosiddetto paradosso della pressione idrostatica, d’altra parte, ha trovato da molti anni applicazioni ingegneristiche di estrema utilità, come tutte quelle tipiche dei sistemi di sollevamento o pressatura idraulica basati sull’interazione di due pistoni all’interno della versione variabilmente dimensionata di un sostanziale tubo ad “U”, in cui la piccola spinta necessaria ad abbassare una delle due parti del liquido causerà, immancabilmente, un aumento di forza proporzionale al peso, o la resistenza incontrata dal componente all’estremità opposta. In maniera non dissimile da quanto sperimentato, con esito assolutamente disastroso, dall’ampolla trasparente approntata dal gruppo di studenti princetoniani.
Difficile, del resto, dar torto a questa specifica visione dei processi utili all’accrescimento della conoscenza: una scena appresa dalla descrizione di un libro non potrà mai avere lo stesso effetto mnemonico di quanto conosciuto in modo diretto, con l’esperienza inconfutabile dei propri stessi occhi, mani ed orecchie. Specialmente quando, raccontando l’episodio ad altri, tutto quello che si riesca ad ottenere sia un senso di cauta diffidenza e comprensibile incredulità di fondo.
Un dito umano che distrugge una bottiglia o botte, sviluppando una potenza di pressione comparabile a quella di una macchina industriale? Matematicamente impossibile… Il contrario. Tutto ciò che occorre è il giusto approccio sperimentativo, poiché come disse qualcuno di molto famoso: datemi una cannuccia abbastanza lunga e gonfierò il mondo. Ma non provate a soffiarci all’interno per gioco, mentre sto per eseguire il mio esperimento: le conseguenze potrebbero rivelarsi, ahimé, esiziali.