Muschio, stracci, lana, pietre, sabbia, rami, neve, felci, conchiglie, baccelli vegetali, erba, alghe, lo stecco piatto noto ai giapponesi come chyūboku (籌木) o la spugna imbevuta d’aceto in cima ad un lungo bastone, che gli antichi romani erano soliti chiamare xylospongium… Attraverso le alterne fortune della storia civilizzata, molti sono stati i metodi impiegati per affrontare, e in qualche modo risolvere, la più annosa e imprescindibile delle questioni: come ritornar se stessi, dopo l’espletamento della maggiore tra le funzioni fisiologiche ricorrenti. Operazione facile per l’organismo, nella maggior parte dei casi, eppur conduttiva ad un problema imprescindibile che tende, nel giro di pochissimi secondi, a guadagnarsi la nostra più totale attenzione… Ed ogni singolo momento, in quel frangente, può riuscire a diventare eterno, quando come al lancio di una coppia di dadi durante un gioco con la Mietitrice, il nostro destino tende ad essere determinato dalla presenza, oppure assenza di quel rotolo vitale. Carta igienica che in questa terra, per nostra fortuna, può essere sostituita dall’impiego della semplice acqua proiettata ad arte quasi Rinascimentale, grazie all’uso del sistema idrico urbano, tradizionalmente veicolato nel sistema tecnologico che prende il nome di bidet. Ma che dire dei nostri amici anglosassoni, dei francesi e di tutti coloro che per una ragione o per l’altra, non hanno la fortuna di poterne utilizzare uno? Dopo tutto, nulla è valido a convincerci che tale orpello sia “vitale” benché nei fatti e la cultura pratica, a meno di rivolgersi alla carta di giornale come fu uso per un lungo tempo, sarebbe difficile negare… Che sia degno di essere chiamato in qualsivoglia differente modo. Pur essendo il frutto, contrariamente a quanto si potrebbe tendere a pensare, di un processo industriale innegabilmente avanzato!
Fin dall’epoca della prima corte imperiale degli Han (II secolo a.C.) in Cina viene attestata l’abitudine di utilizzare carta per portare ad un felice compimento l’eliminazione umana delle scorie, come desumibile dall’interpretazione filologica di taluni ideogrammi, benché la prima citazione letteraria in merito sia quella del burocrate di corte Yan Zhitui (531–591) il quale afferma, con leggerezza inesplicabile: “Per quanto concerne la carta riportante parti o citazioni dei Cinque Classici, non oserei mai usarla per andare al bagno.” Ciò detto, l’uso da parte dell’Imperatore delle fibre vegetali sbiancate ed intrecciate tra di loro con finezza sopraffina è chiaramente documentato attraverso gli ordini pregressi di quantità variabili di tale materiale realizzato ad hoc, fino agli estremi dei 720.000 fogli consumati annualmente durante la dinastia dei Ming (1368–1644) presso la capitale Nanchino. Soltanto con la nascita del mondo moderno e i suoi processi industriali inarrestabili, dunque, tale approccio alla questione arrivò a trascendere la divisione tra le classi sociali, al rombo di potenti macchine industriali. Quelle che trovano posto, idealmente e materialmente, tra le alte sacre mura della cartiera. Diffusa è l’idea logica, in materia, che le prime cose che potrebbero mancare nelle condizioni critiche di un eventuale o prossimo disastro siano i beni di essenziale necessità, come il cibo. Senza mantenere al centro dei propri pensieri, l’altra parte della massima questione, ovvero cosa fare dopo, che ogni punto avrà raggiunto l’apice della questione, l’ipotenusa del triangolo o per usare termini specifici, l’ultimo rullo del processo di asciugatura…
Chiunque avesse mai pensato alla questione con un desiderio esplicito di conoscenza, d’altra parte, avrà potuto far riferimento ai numerosi show televisivi, segmenti documentaristici e divulgativi del famoso genere internazionale “Come è fatto” (Vera e propria antonomasia, trattandosi anche del titolo di un celebre programma canadese). In cui si parla, per sommi capi, del processo di trasformazione della polpa di legno o carta riciclata in nuova superficie su più strati, con il fine di assorbire separando il male dal bene e riportando le zone ombrose del nostro corpo alla nettezza idealmente desiderabile in qualsiasi circostanza. Benché tutto questo, oltre al sistema chimico di sbiancamento tanto spesso considerato un segreto industriale, tragga giovamento da una serie di passaggi che dovrebbero costituire, nei fatti, la parte più interessante dell’intero argomento di studio. A partire dalla sospensione di fibre già trattate, che vengono instradate sul nastro trasportatore in materie plastiche appositamente intrecciate, chiamato in gergo tecnico il wire (“filo”) e sotto una serie di rulli, che inizieranno il processo di spianatura, favorendo l’intreccio delle fibre. La cosiddetta rete di carta, a questo punto, ancora umida e fragile, verrà fatta transitare all’interno di una serie di sistemi tecnologici di asciugatura noti come macchine di Fourdrinier, create nel 1801 dall’omonimo commerciante di Londra e usate successivamente per la stampa in quantità industriale degli opuscoli distribuiti durante la Rivoluzione Francese. Fondamentale, a questo punto, e il transito all’interno della pressa finale, che una volta rimossa fino all’ultima goccia di acqua residua fisserà letteralmente le fibre così trattate, creando un qualcosa che rientri a pieno titolo nella definizione universale di “carta”. Questo agognato materiale, candido e flessibile, a questo punto già stampato e impresso con il logo della compagnia, verrà quindi nel caso scatologico fatto arrotolare attorno a un tubo di cartone, creato da una doppia striscia ripiegata su se stessa, lungo molte volte il rotolo che ritroviamo normalmente nella stanza dedicata in ogni casa alla nostra titolare attività. Tale stadio intermedio, in cui ciascun rotolo dalla larghezza sovradimensionata contiene già la quantità idonea di carta, verrà quindi sottoposto al taglio in sezioni equidistanti pronte per il confezionamento individuale, fino alla spedizione successiva consegna, in condizioni di normalità, nei luoghi di distribuzione finale. Occorre tuttavia ricordare come il celebrato rotolo, nei fatti, non sia stata sempre la forma scontata di questo particolare tipo di strumento, originariamente venduto in fogli rettangolari all’inizio XIX secolo, grazie a un’invenzione dell’americano Joseph Gaietti. Per quanto concerne, invece, il prototipico rotolo, occorrerà aspettare fino al 1890, con un brevetto della Scott Paper Company, sempre statunitense, destinato ad aprir la strada all’annosa questione del “verso ideale” con cui metterlo sul suo sostegno tubolare, dritto o rovescio, proverbialmente lesivo alla convivenza e/o vita di coppia da oltre un secolo a questa parte.
Chi può farne, dopo tutto a meno? Chi può dire di non averne bisogno? In un mondo ricreato quotidianamente, in cui l’approccio semplice ai bisogni della vita viene messo in subordine alle ragioni di forza maggiore, un simile approccio privilegiato all’igiene personale, tanto spesso, tende a diventare il cruccio più importante della nostra condizione di esseri viventi in qualche modo superiori ai propri istinti primordiali, capaci di risolvere un problema con l’approccio più efficiente, piuttosto che quello frutto di eleganza e determinazione dei rapporti di causa ed effetto. Durante il ferreo e spietato regime della Germania nazista, ad esempio, si dice che la carta igienica fosse tanto ruvida, e di pessima qualità, da costringere gli abitanti di quel paese a far ricorso alle pagine del quotidiano di partito Völkischer Beobachter al fine di coprirne il campo d’utilizzo pre-determinato. Ed al soffiar di venti di tempesta o epidemie varie, chi può dire quanto presto, o tardi, potremmo ritrovarci affini a quello spirito, se non la sua effettiva traduzione in termini di gesti materiali.