Molto probabilmente l’impressione viene dal cappello: lo stereotipato copricapo conico, da sempre visto in Occidente come parte dell’abbigliamento degli agricoltori tra i confini delle vaste terre all’altro capo dell’Asia. Detto ciò, è innegabile che questa immagine possa creare un senso di entusiastica perplessità: “Rosso? Non sapevo che lo fosse! Ma si tratta di una pianta? Piccoli cespugli? Che genere d’incenso è questo?” Quel tipo di domande sul tema dell’ovvietà per rispondere alle quali tanto spesso Internet risulta sorprendentemente inefficace. Poiché nessuno appare pronto, o in qualsivoglia incline, a dissolvere il carattere di una leggenda. Come quella, riassunta in poche inquadrature, del villaggio Quang Phu Cau nei dintorni meridionali di Hanoi, forse le capitali mondiali del tipo di essenza utilizzata in molte religioni, come ausilio al gesto estremamente umano della preghiera. Quell’incenso cui in Europa normalmente siamo inclini ad associare, più di ogni altra possibile cosa, la resina sottoposta a lavorazione dell’albero del genere Boswellia, chiamato fin dai tempi antichi olibanum, comunemente detto franchincenso. Laddove vuole il caso, e l’evidenza, che nei molti secoli di storia e soprattutto all’altro capo del mondo, molti siano gli estratti ed i sistemi usati per raggiungere lo stesso fine, soprattutto tra quelli considerati fondamentali dall’omni-pervasiva medicina cinese: legno di sandalo, aloe, rabarbaro officinale, linfa dell’albero della gomma Styrax, ambra fossile e Syzygium aromatico, albero sempreverde dell’Indonesia. Molti dei quali pronti a convergere, grazie a una rete commerciale antica quanto la penisola dei draghi, presso questo luogo antistante alla sua capitale. Ove il sistema produttivo utilizzato, semplice quanto efficiente, vede la riduzione in polvere ed il successivo impasto degli ingredienti profumati e pronti da bruciare, successivamente plasmati nella forma di specifici elementi: cubi, piccole piramidi o coni arrotolati, ma soprattutto quella maggiormente pratica per le abitudini buddhiste, il bastoncino ligneo per la preghiera. Ed ecco così svelato, l’arcano. La fabbricante dell’immagine mostrata in apertura, chinata e all’opera nel mezzo di tanti surreali piccoli “cespugli” è in realtà intenta a rassettare, e catalogare attentamente, un vasto numero di asticelle di bambù, colorate tradizionalmente di rosso prima di essere disposte in tale modo affinché i raggi del sole possano raggiungerle tutte assieme, favorendone la seccatura e il conseguente completamento del processo di fabbricazione. Per occasioni particolari, come la celebrazione del capodanno lunare o specifiche feste di primavera, ma anche durante il resto dell’anno, a valido supporto di uno dei materiali considerati irrinunciabili per qualsivoglia attività votiva locale di svariate provenienze religiose, inclusa la preghiera o celebrazione degli antenati, divinità locali ed ovviamente il Buddha stesso, non tanto per l’ottenimento di favori mistici quanto al fine di riuscire a favorire quello stato d’animo che ci dovrebbe far sentire più vicino a lui. Ed appare del resto innegabile come la realizzazione di un compito tanto elevato, per quanto semplice e ripetitivo, non possa che finire per conformarsi nettamente verso quell’ideale di armonia e precisione che tanto spesso, idealmente, dovrebbe condurre verso il singolo momento d’illuminazione tanto ricercato dai filosofi delle discipline Zen. Verso cui persino una semplice foto, talvolta, può riuscire a far da chiave dell’alto portone…
L’uso dell’incenso durante preghiera, particolarmente osservato nell’intera penisola vietnamita, trova l’utilizzo nel contesto delle cosiddette sei offerte ai diversi tipi d’entità superiori o degne di essere onorate, assieme a una candela, fiori, una bevanda, frutta e cibo, ciascuna praticata generalmente in quantità ragionevoli e senza particolari motivi d’esagerazione. La particolare presenza di un’effige di Buddha sull’altare di famiglia, d’altra parte, viene considerata desiderabile ma non particolarmente necessaria, data la possibilità di accogliere i suo insegnamenti anche attraverso gli strumenti immateriali del cuore e della mente. Una visione da cui traggono l’origine espressioni come Tam huong (“l’incenso della mente”) e le sue diverse declinazioni concettuali, determinate dall’ideale progressione verso l’accesso a stati superiori della consapevolezza umana. Per quanto concerne il rituale pratico, d’altra parte, viene prevista l’accensione e offerta di bastoncini solamente in numero dispari (1,3,5,7 oppure 9) secondo l’usanza diffusa nell’intero contesto culturale asiatico, possibilmente determinata dal significato simbolico e diffuso a più livelli di queste specifiche cifre. Secondo l’usanza vietnamita, questo gesto viene praticato individualmente da ciascun partecipante al rituale e non è previsto l’accumulo collettivo di grandi quantità di bastoncini sull’altare, al fine di evitare grandi quantità di fumo che potrebbero risultare irrispettose. Come nell’intero Oriente, d’altra parte, non si deve mai soffiare sul bastoncino per favorirne la combustione quanto piuttosto, al massimo, fargli aria con l’altra mano. Il ruolo di operare materialmente a tal fine, d’altra parte, viene generalmente riservato agli anziani o altri membri d’altro prestigio della comunità, affinché venga osservato il rituale corretto, pena il possibile rammarico delle divinità naturali ed animiste, potenzialmente inclini a punire gli abitanti della comunità incapace di osservare la tradizione.
Per quanto concerne d’altra parte il concetto stesso di un villaggio dell’incenso, di cui Quang Phu Cau è forse l’esempio più famoso e spesso riportato sulle guide turistiche, nei dintorni di Hanoi ne esistono del resto svariati esempi, tra cui vanno inclusi al minimo anche Yen Phu, Xa Kieu e Hon Duong. Ciascuno associato alle attività per lo più a conduzione familiare di questa importante e sorprendentemente remunerativa industria. La lavoratrice di uno di questi opifici Dang Thi Hoa ad esempio, intervistata dall’agenzia francese AFP nel 2019, parlava di un guadagno mensile individuale di circa 430 dollari, circa quattro volte quello dello stipendio medio del suo paese, dimostrando un valore economico tutt’altro che indifferente di simili risorse, potenzialmente anche valide all’esportazione. Molti sono i luoghi ormai, d’altra parte, in cui l’uso dell’incenso prodotto con metodi industriali è diventato cosa piuttosto comune, benché continuino ad essere celebrati il profumo e la qualità dei buoni metodi di una volta.
In aree rurali del Vietnam, nel frattempo, l’impiego dell’incenso continua ad avere luogo alle radici dei grandi alberi, nell’auspicabile consapevolezza che gli spiriti della natura, perennemente attenti ai gesti delle sue creazioni, possa rispondere in maniera maggiormente proficua alle necessità degli insediamenti civilizzati. Ancora una volta, come ingrediente di base per il momento maggiormente solenne del gesto votivo, l’incenso riconferma qui il proprio valore attraverso i secoli e il serpeggiante incedere della Via della Seta, attraverso la quale tendeva ad assumere un valore pari o addirittura superiore a quello di argento ed oro.
Prima di approdare nelle nostre chiese e templi dove, nonostante il rituale fondamentalmente diverso, riusciva a mantenere intatto il proprio incrollabile significato sacrale. Possibilmente in forza dell’antica cognizione, spesso inconsapevole, secondo cui l’energia scaturita dal tronco delle piante possa in qualche modo rinvigorire e dare un senso alle nostre brevi esistenze in questo mondo transitorio. Dove anche l’esprimersi di una singola voluta di fumo, molto spesso, può costituire un sentiero per l’anima verso le regioni non-tangibili dell’Empireo e i più prossimi confini della Divinità.