La definizione topografica del concetto scientifico di bioma non può normalmente prescindere dall’attribuzione di un territorio che possa dirsi, al minimo, considerevolmente esteso. Eppure l’apparenza, certe volte, può riuscire ad ingannarci, qualora dovessimo trovarci al cospetto di una vera e propria linea divisoria, come il punto di rottura tra quello “che dovrebbe essere” e la pura e semplice evidenza che piuttosto, riusciamo a ritrovare innanzi ai nostri occhi: al termine del bosco, una radura. Sabbia. Dune. Un ripido declivio. E all’altro capo dell’insolito scenario, largo appena 1 miglio, gli alti picchi montani dello Yukon, ricoperti di uno spesso strato di neve. Quale strana circostanza del paesaggio, quale improbabile trascorso pregresso, che bizzarro accadimento… Che le cronache hanno registrato, ma soltanto in modo retroattivo, sembrerebbe aver portato un pezzo del deserto di Sonora o di Blackrock oltre il 49° parallelo, ove gli orsi camminano tra le persone e lo sciroppo d’acero è un pilastro della colazione quotidiana di ogni singolo periodo stagionale?
Benvenuti nel “deserto” di Carcross, dove senz’altro il clima è arido, le piogge catturate dalle cordigliere soprastanti, ma l’aspetto straordinario è che la sabbia appare viva, costituendo quel tipo di fenomeno paesaggistico, la duna, che saremmo soliti aspettarci in siti molto più meridionali. Un’attrazione particolarmente cara agli abitanti di questo particolare luogo, come testimoniato dal cartello esplicativo posto sulla Klondike Avenue, che parla dell’antico lago un tempo collocato in questo luogo, il quale prosciugandosi, avrebbe lasciato dietro di se la sabbia fine in grado di creare un tale ambiente totalmente fuori dal contesto. Affermazione che non è SBAGLIATA, se vogliamo, poiché l’intero Canada, ai tempi della glaciazione del Wisconsin (da 75.000 a 21.000 anni fa) restò ricoperto da uno spesso strato di acqua solidificata, tale da nascondere l’intero punto d’interesse ad oltre un chilometro dall’assolata superficie soprastante. Eppure secondo quanto riportato dalla geologista surficiale del servizio pubblico Panya Lipovsky, sembrerebbe mancare il punto: perché allora, quale sarebbe la ragione per cui un simile scenario non compare, ad intervalli di frequenza varia, più e più volte entro i confini di quel nordico paese? Ecco dunque comparire, a valido supporto, l’osservazione di un ulteriore effetto che può escludere e mutare le ragioni delle circostanze: quell’agente che più di ogni altro sembrerebbe far valere la sua forza sulle variazioni del paesaggio, il Vento…
Nello studio della geologia così detta surficiale, ovvero relativa agli accumuli dei sedimenti non ancora solidificati e diventati pietra per l’effetto degli eoni, diviene semplicemente fondamentale osservare il funzionamento di tutti quei processi che si occupano di spostare, per una ragione o per l’altra, significative quantità di questi da una regione all’altra di uno specifico ambiente. Così che appare naturalmente calzante, e quanto mai appropriata, la metafora impiegata dalla Lipovsky per definire i processi generativi di Carcross, riportata in un’intervista per la rubrica BBC Travel: “Quando il ghiaccio si ritirò, spiagge e linee sabbiose restarono all’interno degli spazi protetti delle valli. Quindi potenti venti provenienti sud-ovest soffiarono spingendo il materiale verso quello che sarebbe diventato uno dei deserti più improbabili del pianeta.” Ora avrete certamente notato come l’impiego corrente della parola chiave e più spesso di questo articolo, nei fatti, corrisponda a una visione convenzionale e per certi versi affettiva del luogo maggiormente rappresentativo dei dintorni della città di Carcross, laddove l’effettiva definizione di deserto, nei fatti, presupponga un certo livello estremamente basso d’umidità e un limite d’estensione minimo, circostanze che possiamo effettivamente identificare in particolari zone della tundra canadese, particolarmente nella regione dell’Okanagan presso Osoyoos, Columbia Britannica. Eppure molto a lungo l’aspetto quasi leggendario del declivio ricoperto dalle dune fu noto anche ai nativi delle tribù Tlingit e Tagish, che erano soliti recarsi presso queste terre per la caccia ai caribù in corso di migrazione (letterale origine del nome in lingua inglese Car-cross/attraversamento) sebbene lo stesso concetto di una versione infinitamente più vasta di tale ritaglio paesaggistico sarebbe, assai probabilmente, sembrata surreale per loro. La stessa vegetazione qui risulta d’altra parte fuori dalla logica di un luogo veramente arido, trovando spazio per piante assai distanti nelle loro origini come la carice del lago Baikal (Carex sabulosa) che cresce a cespi sormontati da infiorescenze barbute, ed il lupino dello Yukon (Lupinus kuschei) fabacea decisamente rara a queste latitudini. Anomalie del mondo delle piante sufficientemente significative da far nascere, attraverso gli anni, un movimento per la protezione e l’interdizione allo sfruttamento turistico di questo luogo, tuttavia sempre fallito o messo in secondo piano dato il successo remunerativo dimostrato dal “più piccolo deserto” nell’attirare un flusso non particolarmente ingente, ma costante, di turisti presso il bizzarro luogo. Particolarmente per tutti coloro che sono soliti visitarlo coi propri ATV, biciclette o persino tavole da sandboarding, usate per uno scivolamento breve ma intenso da un lato all’altro dell’insolita località sabbiosa. Poiché non è certo da tutti, nei fatti, poter raccontare di aver attraversato “Un INTERO deserto nel giro di cinque minuti appena” sotto lo sguardo attento della ghiandaia grigia o il cinguettante chickadee.
Per quanto concerne d’altra parte l’aspetto faunistico, elemento fondamentale per la definizione di un bioma, i tratti distintivi del Carcross sono individuabili soprattutto, molto appropriatamente, nel regno delle cose piccole e volanti. Con osservazioni che coinvolgono, primariamente, cinque nuove specie di falena del genus gnorimoschema e rare mosche tachinidae, normalmente osservate primariamente lungo le regioni della costa. Entomologi stanno studiando dunque, da tempo, la possibilità che il piccolo deserto ospiti un reale microcosmo, essenzialmente diviso dal territorio che lo circonda.
Il che in ultima analisi, definisce e corona la questione. Con la presa di coscienza, forse sorprendente, che le nostre divisioni arbitrarie tra i diversi mondi del possibile non siano sempre, necessariamente, frutto dell’imprescindibile e implacabile fantasia umana. E che talvolta tali punti di cesura esistano davvero, tra secchezza e umidità, pietra e sabbia, oggi e domani… La prima e l’ultima di quelle dune successive del sensibile immanente. Ora, se soltanto in noi potesse ancor sussistere, in certi casi almeno, l’essenziale propensione ad ammirare! Senza necessariamente impossessarci di ogni spazio che da tempo immemore, senza disturbi necessari, ha fatto parte del “nostro” pianeta Terra.