Nell’intero spettro del possibile tecnologico, riesco ad immaginare impieghi maggiormente inutili di una telecamera ad alta frequenza di cattura delle immagini… Che incapsulare, ridurre e in qualche modo tentare di comprendere, uno dei più significativi misteri della biologia quadrupede: per quale improbabile ragione, pur avendo dimensioni, muscolatura e approcci simili dal punto di vista motorio, il più veloce degli animali terrestri si sposta a un ritmo quasi doppio rispetto a quello del suo maggior rivale? Sto parlando, per intenderci, dell’Acinonyx jubatus o più semplicemente ghepardo, messo a confronto con quella che doveva essere la versione artificiale ed in funzione di ciò, addomesticata, della stessa idea di partenza. Ovvero il greyhound alias levriero da corsa, bestia da appena 63 Km/h di velocità contro i 112 del succitato felino rivale. In una discrepanza che ha portato alla stesura, nel 2012, di uno studio scientifico da parte del Royal Veterinary College di Londra, ad opera di Penny E. Hudson, Sandra A. Corr e Alan M. Wilson, in cui le rispettive caratteristiche kinematiche della specie africana e dell’antica razza canina sono state attentamente confrontate, progettando d’utilizzare lo strumento della ripresa al rallentatore e piastre a pressione per determinare, attraverso vari tentativi, quante volte in percentuale i levrieri potessero raggiungere e sconfiggere gli avversari. Numero destinato a corrispondere, non troppo sorprendentemente, al 100% delle volte nonostante le cifre offerte dalla convenzione, per il semplice e sottostimato fatto che il tre esemplari di ghepardo prelevati presso lo ZSL Whipsnade Zoo di Dunstable, tutti in ottima salute, mancavano nondimeno della fondamentale motivazione a competere, diversamente dai cani, secondo i limiti più estremi concessi dal proprio fisico eccezionale. Cionondimeno, l’approccio esplicativo dei tre scienziati assieme ad uno stile d’analisi piuttosto chiaro (l’articolo è reperibile online a questo indirizzo) avrebbero collaborato nel porre le basi per questo successivo video prodotto dal canale inglese BBC Earth, nel quale le effettive nuove idee venivano tradotte in immagini e spiegate in termini perfettamente comprensibili ai non iniziati. Cominciando dal più classico degli spunti d’analisi, un video di repertorio in cui il predatore a macchie della savana viene mostrato, immagine perfetta della grazia ed efficienza predatrici, mentre si sposta a gran velocità tra l’erba splendida di un qualche territorio ragionevolmente incontaminato. Laddove il greyhound, notevolmente più facile da gestire, viene effettivamente trasportato presso quello che sembrerebbe essere un piccolo aeroporto, proprio al fine di comprendere & dimostrare, finalmente, il suo segreto. Le telecamere puntate, dunque, il pubblico trattiene il fiato nell’attesa di scoprire la verità…
Indipendentemente sulle considerazioni relative al reale valore scientifico di queste immagini, catturate in situazione tutt’altro che controllata, sarebbe tuttavia difficile negare la loro natura assolutamente spettacolare: il cane, frutto dei lunghi secoli di selezione e perfezionamento genetico della sua razza, viene seguito da presso con un furgone dotato di steadycam, attraverso il cui obiettivo viene offerta una registrazione ineccepibile del suo movimento: la schiena che s’inarca e piega su se stessa, grazie alla vita stretta dell’animale, mentre le zampe poggiano, in maniera sequenziale, sulla terra battuta della pista di decollo: anteriore destra, anteriore sinistra, quindi posteriore sinistra e posteriore destra. Dando tuttavia luogo a due momenti, quelli della massima e minore estensione, in cui tutte si trovano sospese in aria, nell’esecuzione dello stile di corsa quadrupede noto come “galoppo rotativo” sostanzialmente differente dall’andatura di un equino, risultando invece identico al principio messo in atto dal ghepardo. Perché dunque quest’ultimo, dotato tra l’altro degli stessi adattamenti evolutivi finalizzati alla corsa (cranio a punta, muscoli possenti, corpo aerodinamico) risulta tanto più veloce nel preciso attimo in cui sta tentando di ghermire la sua preda? Il segreto, secondo quanto spiegato per lo meno in maniera empirica dagli scienziati del Royal College, data la mancata collaborazione dei propri soggetti di studio, va ricercato principalmente nell’analisi relativa alla frequenza dei passi, che risulta costante nel cane, almeno quanto è invece variabile nel suo rivale felino. Il che permette al secondo d’innestare, in maniera metaforica ma molto descrittiva, una serie di diverse marce incrementali in fase di accelerazione, raggiungendo non soltanto una velocità massima maggiore, ma potendo godere anche di un’accelerazione maggiore. Un’ulteriore differenza, benché entrambi gli animali siano in grado d’incrementare la propria tenuta grazie all’impiego degli artigli per aggrapparsi sulla terra viva, va inoltre ricercata nella stabilità: mentre il levriero tende infatti a sobbalzare con la schiena e muovere la testa per accompagnare la corsa, il ghepardo si mantiene in posizione perfettamente perpendicolare al suolo, lo sguardo puntato in avanti: questo perché i lunghi secoli di caccia hanno insegnato alla sua specie come tale sia l’unico modo, tra tutti quelli possibili, per non perdere mai di vista la propria preda. Il che del resto ha un costo, in termine di spesa energetica, tutt’altro che indifferente, riducendo inevitabilmente la resistenza del corridore a una manciata di secondi, laddove il cane può piuttosto continuare a procedere al suo ritmo massimo anche diversi minuti, come era del resto, spesso, indotto a fare nelle battute di caccia per cui era stato biologicamente perfezionato.
Nel loro approfondimento scevro di considerazioni utilitaristiche o secondi fini, quindi gli scienziati dello studio inglese sembrano arrivare a una comprensione sorprendente: che così come il levriero è limitato nella sua velocità massima da una cognizione implicita, secondo cui sarà comunque il suo padrone umano a colpire, uccidere e cucinare la preda, il ghepardo ha invece la necessità di conservare parte delle sue risorse energetiche per l’effettiva uccisione di quest’ultima, per non parlare del peso addizionale di quei muscoli necessari a farlo. Dimostrando come, in altri termini, la massima velocità teorica di un animale quadrupede sia dal punto di vista matematico almeno, ancora lontana dall’essere raggiunta.
Il che in ultima analisi lascia intendere uno spunto inquietante, quando si considera l’attuale stato di perfezionamento di alcuni robot dalla forma vagamente canina come quelli della serie Spot prodotti dalla Boston Dynamics (ex costola della DARPA) che potrebbero un giorno riuscire a competere sul terreno accidentato con i ritmi raggiungibili da un’automobile posizionata sull’asfalto, unico ambiente che dal canto suo, gli appartiene. Belve totalmente inesorabili, annunciate dal sottile sibilo di quei servomotori, mentre si avvicinano e ghermiscono le loro prede… Umane? Conoscendo la storia della nostra civiltà moderna, rieterrei semplicemente assurdo immaginarle di un qualsivoglia diverso tipo. Verso la creazione di uno stato di terrore meccanico latente, quale neppure la natura, avrebbe mai potuto immaginarsi…