Momentaneamente privo di obiettivi chiari, l’insetto di un gradevole color mogano striato inizia all’improvviso a rallentare. Con le zampe raccolte verso il corpo, pare concentrarsi su qualcosa, quindi punta le sue antenne a terra, mentre inarca la schiena vigorosamente con la forma di una “U” invertita. Un taglio, quindi, simile a una spaccatura, prende forma sulla sua corazza esoscheletrica, che inizia a spalancarsi lasciando intravedere l’interno candido come la neve. Un poco alla volta, laboriosamente, l’operoso camminatore sembra fuoriuscire dal suo vestimento, come una farfalla dal bozzolo che garantisce la sua apoteosi. Se non che ad un tratto, l’orrore si palesa: dai pezzi residui chitinosi appare un qualche cosa che cammina, quindi sono cinque, dieci, una letterale moltitudine danzante. Si tratta di… Piccoli ragni che mangiavano questa creatura, condannata dall’interno?
Nella complicata macchina biologica che determina il funzionamento di ogni essere vivente, non esistono individui solitari, ma piuttosto multiple interconnessioni che coinvolgono gli effetti, cause, soluzioni. “Nessun uomo è un isola” si dice spesso, il che sottintende un qualche tipo d’interconnessione profonda tra i nostri bisogni, l’altruismo di terzi e viceversa, ma se si considera il concetto da un diverso punto di vista, ciascun individuo (di ogni specie) è come una radura, entro cui giungono e s’incontrano creature d’ogni tipo. Cellule impazzite, provenienti da un diverso regno del sensibile immanente. Dove tracciare, a tal proposito, la linea di confine? Tra i batteri cosiddetti benefici, che ci aiutano e prolungano la nostra vita, e ciò che invece siamo pronti a definire, assieme ad una smorfia di disgusto, meri “parassiti”… Come insetti che t’invadono spietatamente la dispensa, preoccupandosi soltanto di accoppiarsi, replicarsi, propagarsi in ogni dove. Siamo in tanti, per fare un esempio, a tollerare le formiche entro determinati limiti. Ma nessuno può accettare, per comparazione, i molto più imponenti ed ingombranti scarafaggi! Benché simili creature non costituiscano, per mera inclinazione, alcun tipo di pericolo per la salute umana. Eppure nonostante quello che potremmo tendere a pensare, non è sempre quest’aspetto ad essere alla base del distinguo; soprattutto se scegliamo di considerare, come punto di riferimento, il carattere e l’evoluzione della blatta. Caso rilevante: la Gromphadorhina portentosa o scarafaggio fischiante del Madagascar lungo fino a 7,6 cm, la cui caratteristica maggiormente rappresentativa, alquanto sorprendentemente, risulta essere la pulizia. Neanche il minimo granello di polvere o scoria nutritiva per eventuali muffe o infezioni, d’altra parte, può riuscire a rimanergli addosso, grazie all’intervento continuativo di un’intera popolazione di magnifici “aiutanti”. Ora per usare un termine prospettico di riferimento, la dimensione dell’acaro Androlaelaps schaeferi rispetto a quello del suo organismo ospite potrebbe ragionevolmente corrispondere ad un topo, messo in relazione con l’umano adulto medio. Immaginate a tal proposito di avere un’intera squadra di roditori, nascosti sotto i vostri vestiti, che ne spuntano a intervalli regolari. Per prendersi cura delle vostre faccende domestiche e rassettarvi il guardaroba…
Nonostante l’appartenenza allo stesso ordine tassonomico e l’aspetto superficialmente simile, del resto, c’è ben poco che accomuni questo insolito animale al celebre agente infestante dei luoghi particolarmente trasandati e sciatti, capace di replicar se stesso fino a quantità numeriche spropositate. Laddove la Gromphadorhina portentosa, trovata in natura soltanto nel territorio della maggiore isola africana, risulta di suo conto assai meno prolifica, dotata di un comportamento mansueto fatta eccezione per l’occasionale fischio di protesta prodotto dall’apposito orifizio per far passare l’aria e cosa ancor più notevole, caratterizzata da una longevità in grado di estendersi fino ai 5 anni. Il che, oltre a farne un insetto tra i più duraturi in assoluto, sembrerebbe sorprendentemente aver costituito un fattore nell’imprevista trasformazione dei suddetti artropodi in creature domestiche, particolarmente amate da quel tipo di persone che possiedono un terrario e, tanto per usare uno stereotipo, non hanno paura d’usarlo. Ciò detto, occorrerà comunque applicare a tal proposito un distinguo, quando si considera con quanta frequenza, ed entusiasmo, queste vere e proprie bombe proteiche vengano acquistate per essere date in pasto, con tanto di acari annessi, a rettili, anfibi ed altri beniamini insettivori adottati da terzi. Il che non può che giungere a costituire un qualche presupposto di rammarico, quando si considera l’insegnamento che potremmo trarre da costoro, grazie ad uno stile di vita che non sembrerebbe lasciare alcunché al caso. Ogni acaro entrato a far parte dalla sua esistenza, del resto, ha la caratteristica di trascorrere l’intera vita assieme allo scarafaggio, non saltando mai dall’uno all’altro esemplare come fosse una pulce, quanto piuttosto venendo passato assieme ad alcuni dei suoi fratelli direttamente ai figli neonati nel momento stesso in cui vengono al mondo. È importante notare infatti come tali esponenti dell’ordine Blattodea abbiano l’ulteriore caratteristica insolita di custodire la propria ootecha (sacca delle uova) all’interno di un’apposita cavità corporale, partorendo letteralmente dei piccoli già viventi al momento della schiusa. Come coronamento ultimo di una complessa stagione riproduttiva, durante cui i maschi avevano prodotto come richiamo il suono acuto da cui prendono il nome, per poi combattere tra loro usando i due corni bulbosi definiti scientificamente gobbe del pronoto (parte dorsale del primo segmento dell’insetto).
La relazione tra lo scarafaggio gigante del Madagascar ed i suoi acari di bordo non è dunque paragonabile a quella di un semplice parassita, creando quel tipo di relazione invidiabile che in senso evolutivo viene generalmente definita commensalismo: pensate, come valido strumento comparativo, allo squalo con il suo fedele pesce pilota. Ciò detto, è pur sempre possibile avere troppo di una buona cosa, portando alla situazione atipica, ma pur sempre presente, di una popolazione di Androlaelaps schaeferi che diventa semplicemente troppo numerosa, arrivando a togliere letteralmente il cibo dalla bocca del proprio ospite, come primo capitolo di un’inevitabile condanna. Il che ci ricorda come l’equilibrio delle specie costituisca un fattore imprescindibile per la sopravvivenza di chiunque, inclusi noi stessi e l’intero esercito di microrganismi, globuli, cellule che tutte assieme ci permettono di cogitare ed esprimere i nostri sentimenti nell’inarrestabile incedere della collettività umana.
Dove potremmo ritrovare, dunque, nei casi successivi della vita, un qualcosa di paragonabile a questi due inseparabili amici della vita sottodimensionata, intesa come perquisizione puntuale del sottobosco alla ricerca di cibo commestibile o ulteriori margini di miglioramento? Forse l’interrelazione, reciprocamente proficua, tra noi e le specie lungamente addomesticate dei pelosi quadrupedi casalinghi. Ecco l’incipit degno della fiaba di un moderno Esopo, dunque: c’era una volta, lo scarafaggio che aveva un cane. Ma non potendosi accontentare, prese con se anche un gatto. Poi due. E così via, a seguire…