Il treno sui trampoli che superò i confini del mare

Risultano ancora visibili mentre si passa sulla Strada Costiera verso Rottingdean, nel distretto di Brighton & Howe, poco oltre i confini del bagnasciuga segnato dall’alta marea: una coppia di lunghe piste, come cicatrici incancellabili del paesaggio, punteggiate dall’occasionale blocco quadrangolare di cemento. E sarebbe certamente difficile, al giorno d’oggi, trovar qualcuno che abbia memoria diretta del loro impiego all’inizio del secolo scorso. 1896-1901 è il periodo. Durante il quale un oggetto non propriamente facile da identificare, sorgendo maestoso tra i flutti di Nettuno, spingeva il suo unico vagone dalle dimensioni piuttosto significative verso la meta all’altro capo del promontorio costiero, per poi tornare indietro lungo lo stesso identico tragitto, trasportando un carico d’ulteriori 30 passeggeri. “Ferrovia Elettrica Costiera” o Pioneer era il suo nome ufficiale, volendo riferirsi al veicolo solamente, benché vigesse l’abitudine collettiva di definirlo per antonomasia “Papà Gambalunga”. Un probabile riferimento al ragno dal corpo piccolo e le zampe sovradimensionate (fam. Pholcidae) largamente diffuso nell’intero territorio inglese. Questo perché, diversamente da qualsivoglia tipo d’imbarcazione, il surreale veicolo fuoriuscito direttamente da un romanzo di retro-futurismo speculativo restava perennemente a contatto con il fondale, mediante quattro affusolate colonne tubolari all’interno delle quali trovavano posto ben due alberi di trasmissione, capaci di connettere un singolo motore elettrico ad altrettante ruote motrici non del tutto dissimili da quelle di una qualsivoglia locomotiva. Barca? Treno? Difficile capirlo; per quello che era all’epoca, e sostanzialmente sarebbe ancora, un esempio totalmente privo di precedenti di trasporto tecnologico umano, frutto tangibile di quel periodo verso la fine dell’epoca Vittoriana in cui l’ingegneria britannica sembrò aver raggiunto il punto di gran lunga più elevato della sua storia pregressa, lanciandosi conseguentemente verso territori pindarici che mai nessuno, prima d’allora, avrebbe mai tentato di concepire all’interno della propria mente. Spazio virtuale utile a perseguire vie di rinnovamento, come quello nel cranio pensante di Magnus Volk (1851–1937) inventore talvolta definito l’Alessandro Volta o il Nikola Tesla dell’East Sussex, responsabile, tra le altre, cose della prima casa alimentata elettricamente della sua città oltre alla popolare, nonché redditizia, ferrovia elettrica di Brighton & Hove. Una soluzione di trasporto relativamente convenzionale e che tale sarebbe rimasta, almeno finché maturando l’intenzione di estendere i propri interessi commerciali fino a Rottingdean, il fondatore e amministratore unico non si sarebbe trovato a fare i conti con le difficoltà di un paesaggio poco collaborativo. Dovendo trovare un sistema, economicamente proficuo, per superare l’alta collina sul tragitto da compiere mediante l’impiego dei motori elettrici non particolarmente potenti dell’epoca, possibilmente scavando una costosa, profonda galleria, oppur passando coi suoi binari a ridosso di un pericoloso baratro sopra i flutti del Canale. Al che, giunse il principio della notevole idea: perché non passarvi, piuttosto, attraverso? Come una torre magica di stregoni, capace d’avanzare indefessa tra le nebbie del tempo. Come un antico dinosauro, trasformatosi in criptide avvistato nel mezzo del lago scozzese. Veicolo concepito per svolgere un compito e soltanto quello, per cui l’avrebbe svolto (si spera) eccezionalmente bene…

Visioni dell’altro mondo capaci di anticipare creazioni narrative imminenti proprio in quegli anni: possibile che H.G Wells si fosse ispirato, per l’estetica dei torreggianti tripodi alieni del romanzo La Guerra dei Mondi, proprio al veicolo frutto dell’ingegno di Magnus Volk?

In effetti quando affermo, come si usa fare, che quella che sarebbe passata formalmente alla storia come Estensione Costiera della Ferrovia Volk era del tutto unica al mondo, seguo semplicemente un luogo comune in materia. I commentatori moderni ritengono infatti da anni che il celebre inventore potesse essersi ispirato di suo conto da un sistema di spostamento simile in uso nel porto di Saint-Malo nella Bretagna francese, benché quest’ultimo marciasse soltanto per 100 metri contro i 4 Km e mezzo del ragno-treno inglese, risultando inoltre tirato mediante un sistema di carrucole, piuttosto che spinto innanzi da un motore proprio. Impianto alimentato, per l’appunto, da una lunga serie di pali perpendicolari al suolo infissi nello stesso fondale roccioso sopra il quale il singolo vagone era incline a spostarsi, molte volte al giorno, assolvendo al notevole compito per cui era stato concepito. Ultimata la costruzione dell’incredibile linea ferroviaria nel 1986, dopo due anni di lavori costati l’equivalente di attuali 2,4 milioni di sterline, Volk dovette immediatamente fare i conti con la cattiva sorte, quando una rara tempesta si abbatté il 28 novembre di quell’anno, due giorni dopo l’inaugurazione, sulle coste devastando il molo d’imbarco del treno e rovesciando e quasi facendo a pezzi il vagone Pioneer. La cui ricostruzione avrebbe richiesto fino all’estate del 1987, occasione per la quale il proprietario decretò che le zampe di sostegno dovessero venire allungate di ulteriori due metri. Dal punto di vista della progettazione, dunque, l’oggetto in questione presentava diversi pregi degni di nota, a partire dal sistema frenante pneumatico integrato nelle ruote sommerse, dotate di una sorta di cappuccio metallico capace d’impedire l’infiltrazione di alghe o altre forme di vita marine. Il tutto poggiato su una doppia coppia di binari capaci di funzionare come circuito elettrico di ritorno la cui distanza esterna era di 5,5 metri, facendone la ferrovia dallo scartamento più ampio della storia. Più simile a un molo panoramico che allo scafo di una nave, il “treno” di 13,7 x 6,7 metri era dotato di due piani, comprensivi di un interno lussuoso e ponte panoramico con panchina finalizzato all’osservazione molto ravvicinata del Canale. Classificato dalle leggi del tempo come imbarcazione, benché fosse qualcosa di profondamente diverso, il vagone doveva essere condotto da un capitano con licenza, oltre a portare appesa nella parte posteriore la regolamentare scialuppa, coadiuvata da una completa dotazione di giubbotti di salvataggio. Detto ciò, il dispositivo ferroviario non avrebbe subìto nessun tipo d’incidente durante il suo breve periodo di servizio, anche in forza della velocità massima piuttosto ridotta (circa 10 Km/h) che tendeva a calare ulteriormente nei periodi di alta marea; questo perché il motore elettrico al suo interno risultava, purtroppo, al limite dell’operatività per le 45 tonnellate del mezzo, causa il raggiungimento del limite di spesa dell’inventore ed imprenditore Magnus Volk.
Una volta raggiunta la piena operatività, quindi, il Daddy Long Legs diventò immediatamente un’attrazione turistica di primo piano, arrivando a traghettare letterali migliaia di persone al costo unitario di 6 pence (cifra non indifferente all’epoca per appena una ventina di minuti di divertimento) mentre all’apice dell’interesse arrivò ad ospitare per un viaggio nel 1898 persino il Principe del Galles e futuro Re Edoardo VII, figlio della regina Vittoria, che ne restò a quanto pare particolarmente colpito, in un’occasione destinata ad essere commemorata con una placca nel salone principale del veicolo. Particolarmente apprezzata a quanto pare risultava essere la surreale stabilità di questa piattaforma, capace per le sue caratteristiche inerenti di procedere con assoluta tranquillità indipendentemente dalle condizioni del mare, in quanto posta a contatto diretto con il solido terreno sottostante.

Significativa anche sotto questo punto di vista, la ferrovia costiera di Brighton fu una delle prime estensioni ferroviarie elettriche ad essere dotate di cavi sospesi al di sopra del vagone. In questo caso, per ovvie ragioni di tipo logistico e la necessità di mantenerli asciutti…

La fortuna di Volk in merito alla sua notevole avventura imprenditoriale, tuttavia, tornò nuovamente a peggiorare. In prima battuta nell’anno 1900, quando la costruzione di nuove barriere anti-inondazione da parte delle autorità locali avrebbe portato al danneggiamento dei binari, costringendolo a una costosa chiusura temporanea nel più redditizio periodo estivo di quell’anno, drenando ulteriormente le sue risorse finanziare già messe duramente alla prova. Subito dopo quindi, non appena aveva ultimato le riparazioni, l’amministrazione cittadina lo avrebbe informato che la ferrovia doveva essere deviata al fine di permettere l’edificazione di un’ulteriore diga frangiflutti, una pretesa semplicemente impossibile per lui da affrontare che avrebbe portato, di lì a poco, a chiudere il tratto più incredibile della sua intera ferrovia. Mantenuto per molti anni a ridosso del molo di Brighton, quindi, il vagone Gambalunga sarebbe stato venduto nel 1910 alla Germania come rottame, durante un’epoca in cui nessuno, ancora, avrebbe sospettato le due imminenti e tragiche guerre future. Per quanto riguarda invece il resto dei binari sulla terraferma, la ferrovia Volk avrebbe continuato a funzionare fino all’epoca odierna, risultando nei fatti il più antico metodo di spostamento elettrico ancora in funzione.
Voce di un possibile presente mai destinato a concretizzarsi, quindi, il leggendario treno marino dell’Inghilterra meridionale restò un segno di quanto assai spesso, siamo purtroppo indotti a dimenticare: che il progresso non è una marcia univoca, e ininterrotta, verso un chiaro obiettivo futuro. Bensì l’arbusto di una rigogliosa pianta, le cui diramazioni continuamente crescono, muoiono e vengono rimpiazzate. Perché se oggi vediamo un’ostacolo, forse, siamo indotti a evitare di metterci alla prova. Ma ciò non fu sempre vero, né dato per necessario, dai nostri (spesso) insigni predecessori.

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