L’esperienza inizia in genere con un lieve senso di smarrimento. Quando camminando in solitudine nella foresta, il peso dei peccati commessi fino a quel momento sembra all’improvviso sollevarsi dalle nostre spalle, un attimo prima che il sentiero termini, proprio in mezzo ai tronchi ricoperti di strati di muschio e funghi di varie colorazioni e forme. Ed è allora che un QUALCOSA sembra materializzarsi, come un movimento lieve ai margini del campo visivo, il passo silenzioso di una mistica creatura con gli occhi rossi puntati dritti sulla nostra schiena. E il cielo, appena visibile nel mezzo delle fitte fronde, s’ingrigisce fino scomparire, gli uccelli tacciono, persino il vento smette di soffiare. Quindi, poco dopo l’ora del tramonto fuori luogo, l’intero sottobosco inizia a muoversi strisciando. Con un ritmo strano e surreale: un passo avanti, uno indietro, tre passi avanti ed uno indietro, strane semi-rigide escrescenze che si muovono per colpa dell’inerzia subita. Ed una forma sale sopra la corteccia di quell’albero. Ed un’altra poi la segue. Poi sono dozzine! Mentre si dispongono a ventaglio, sulla sagoma di quella vecchia quercia, per formare i lineamenti di uno strano volto; la cui bocca dunque s’apre, a un ritmo rallentato, pronunciando la parola “Walpurgis”.
Streghe, streghe, tremebondi esseri dai molti aspetti. Così che i credenti dell’Europa settentrionale, assieme ai loro “padri” pellegrini che si erano spostati all’altro capo dell’Atlantico, pensaron bene che dovesse risultare maggiormente conveniente attribuire tale orribile presenza a tutte quelle donne, dall’atteggiamento giudicato irrispettoso e quell’orribile propensione allo studio di scienze “maschili” come la medicina, la matematica o l’osservazione sperimentale della natura. La cui immagine, stereotipata, includeva un certo tipo di abbigliamento e aspetto inclusivi di, nell’ordine: un naso lungo, possibilmente bitorzoluto; mento aguzzo, arcigno; smorfia eternamente sprezzante; un ampio cappello a punta. E sotto quest’ultimo, nella maggior parte dei casi, una folta chioma spettinata di colore tendente al grigio, qualche volta mantenuta in una serie di lunghe trecce che potremmo definire, con la terminologia moderna, affini alla visione Rasta dell’acconciatura umana. Non c’è dunque proprio alcunché d’imprevedibile, se cercando una valida analogia per il bruco della Phobetron pithecium, lepidottero dall’insolito aspetto ed i vistosi sei tentacoli irsuti, gli anglosassoni abbiano scelto d’impiegare il valido binomio di hag moth (falena strega). Lui che una o due volte l’anno, verso l’inizio e la fine dell’estate, fuoriesce inconsapevole dalle lunghe e piatte uova della sua specie, attaccate sotto la superficie delle foglie di frassino, betulla, quercia, corniolo, salice o diversi alberi da frutta. Per iniziare la lenta marcia destinata a trasformar la clorofilla in antipasto e il lembo vegetale in ottima portata dell’ora di cena, mentre le proprie dimensioni aumentano ed aumentano, attraverso quattro o cinque distinte fasi o instar, ciascuna coronata dall’abbandono della propria pelle e scheletro esterno, ben presto riformato con l’intera dotazione di aguzzi e minuscoli pugnali. Già perché osservando tali esseri, raramente più lunghi di 2,5 o 3 centimetri, nessuno potrebbe mai riuscire a dubitare dei meriti della loro armatura pilifera, capace di ricoprire fino all’ultimo angolo delle suddette preminenze, simili alle zampe di un ragno capovolto. La cui funzione, contrariamente a quanto si potrebbe tendere a pensare, non è affatto la deambulazione…
Il Phobetron pithecium, talvolta anche chiamato monkey slug (lumaca scimmia) appartiene in effetti alla famiglia dei Limacodidae, un tipo di lepidotteri le cui pseudozampe si sono trasformate, attraverso la marcia inarrestabile dell’evoluzione, in piccole ventose dalla notevole capacità di aderire a un qualsivoglia tipo di superficie sconnessa. Arti responsabili, attraverso il loro unico possibile metodo di funzionamento, di una strana andatura capace d’incrementare l’aspetto surreale di questa incredibile larva d’insetto. Il suo gruppo di appartenenza, del resto, diffuso sia nel in Europa che nelle Americhe ma esclusivamente nella fascia neartica centro-settentrionale, è famoso per l’aspetto spesso insolito dei cosiddetti bruchi “lumaca” qualche volta dotati di pelle liscia e lucida, qualche altra ricoperti di una massa d’impenetrabili peli. La cui funzione, fin troppo spesso sperimentata anche da umani incauti o eccessivamente curiosi, risulta essere quella di veicolare il liquido urticante prodotto da un apposito organo collocato in posizione strategica, capace d’indurre nel potenziale predatore una vasta serie di effetti indesiderati. Detto ciò il nostro amico di quest’oggi, nei fatti, non risulta possedere un veleno particolarmente potente o in quantità tale da causare lesioni serie, come anche dimostrato dall’entomologo David L. Wagner, uno di quei molti coraggiosi che hanno contribuito ad annotare l’effetto dei veleni d’insetto sperimentandoli sulle proprie stesse mani (o braccia, o gambe…) Ciò detto, essendo sempre possibile il verificarsi di reazioni allergiche di vario tipo, viene largamente sconsigliato d’entrare in contatto con simili creature.
Una volta mangiato materiale vegetale a sufficienza, dunque, il bruco-strega inizia la costruzione del suo caratteristico bozzolo concavo simile a una coppa, particolarmente associato all’intera famiglia dei Limacodidae (chiamati talvolta, per l’appunto, bruchi della tazza) formato dalla seta indurita tramite l’apporto di generose quantità di ossalato di calcio, la stessa sostanza chimica che forma i calcoli renali degli umani. Prodotta invece, nel suo caso, da uno speciale organo preposto, detto dei tubuli malpighiani, dal nome dello scopritore Marcello Malpighi, naturalista italiano del XVII secolo. La sua piccola casa, attentamente nascosta in una zona d’ombra dell’albero di appartenenza, viene quindi serrata con una pratica botola o tappo dalla forma circolare, entro cui resterà per circa un paio di settimane. Mentre la sua stessa struttura cellulare, rimescolata secondo un processo segreto della natura, lo porterà a dissolversi e rinascere nella gloriosa, splendida forma dell’insetto finale.
Falena strega, dunque, è soltanto un nome, dato come essa risulti essere, nel suo complesso, ragionevolmente conforme all’aspetto estetico dello stereotipato lepidottero notturno. Con parti boccali decisamente poco sviluppate, lasciando intendere un periodo di vita piuttosto breve e finalizzato più che altro all’accoppiamento, anche grazie all’espediente aposematico di assomigliare vagamente ad un’ape. Ciò grazie alla forma e un paio di ciuffi di peli sulle zampe anteriori presenti nella farfalla femmina, idealmente capaci di ricordare il polline trasportato dagl’imenotteri operosi fino alle preziose stanze dell’alveare. Mentre il maschio, a quanto si dice, essendone privo dovrebbe ricordare maggiormente l’aspetto di una vespa. Ma come per qualsiasi altra visione improbabile prodotta dall’istinto evolutivo di sopravvivenza, l’interpretazione personale dell’intera faccenda può variare da caso a caso. E sulla base di quali sostanze avessimo assunto prima del nostro surreale Incontro.
Incertezza, gioia inspiegabile seguìta da un latente senso di smarrimento. Il volto della mistica creatura, stranamente ricoperto di peli, a questo punto assunse contorni evanescenti, mentre i bruchi che lo componevano iniziavano a brillare, per poi separarsi nuovamente, nell’aria notturna e al fine di formare un luccicante copricapo. Noi che in quel frangente senza nessun tipo di legame con le leggi fisiche della realtà, iniziamo a fluttuare, mentre il mondo della strega prende lentamente forma, rimpiazzando un poco alla volta gli scorci riconoscibili della foresta! Oggetti volanti, oggetti striscianti, l’uomo lupo che compare al centro dell’inquadratura. Possa una preghiera, trasformare il nostro cuore in una spada. E l’anima in scudo. Come gli unici guerrieri e guerriere col potere di salvare il mondo, seguendo il semplice sentiero del destino. Prima dell’ora della mezzanotte, quando il sabba dell’ultimo giorno possa dirsi, tragicamente ed irrimediabilmente, concluso.