Un antico detto della terra del popolo Viet recita: “Đầu rồng đuôi tôm” il che significa, sostanzialmente “Testa di drago, coda di gambero”. Un indiretto riferimento a tutte quelle cose e persone che pur presentando una facciata d’eccellenza o notevoli presupposti comunicativi rivelano, una volta che diviene possibili osservarli da tutti i lati, le sostanziali carenze dei loro meriti inerenti. Un cambio di prospettiva, questo, che tende ad estendersi attraverso l’asse del tempo e indipendentemente dalle alte aspettative con cui ci si era avvicinati alla questione di partenza. E se doveste cercare, nella storia recente di quel paese, un esempio pratico di tale visione universale delle cose, potrebbe bastarvi rivolgere lo sguardo all’edificio ancora perfettamente solido e ricoperto di graffiti al centro dello Ho Thuy Tien, o parco acquatico dell’ex-capitale di Huế. Completata nel 2004 con notevole riscontro d’immagine dopo cinque anni di lavoro e un’investimento complessivo stimato attorno ai 30 milioni di dollari, l’attrazione turistica completa di piscine, scivoli, luoghi di ristoro e persino una sorta di avveniristico teatro galleggiante trovò dunque il sommo coronamento della struttura posizionata al centro, costruita in acciaio e cemento, il cui profilo estremamente riconoscibile voleva riprendere quello del Rồng, ovvero il temibile, magnifico drago vietnamita. Alto circa una quindicina di metri, il notevole padiglione avrebbe contenuto una serie di acquari con pesci provenienti dai più remoti luoghi del mondo, oltre a un ponte d’osservazione collocato niente meno che all’interno della bocca della creatura, da cui affacciarsi al fine di osservare la giungla e le altre amenità paesaggistiche circostanti. E per qualche mese almeno così fu, se non che la Compagnia del Turismo di Huế, realtà operativa incaricata di gestire la location mai del tutto portata a termine dal punto di vista della costruzione, dovette ben presto scendere a patti con un declino notevole dell’interesse da parte del pubblico, dovuto a una variegata serie di fattori: la distanza eccessiva dal centro cittadino, poca pubblicità, il costo eccessivo del biglietto delle singole attrazioni, ciascuna delle quali richiedeva inoltre un pagamento separato al fine di essere sperimentata. In un periodo inferiore al singolo anno, dunque, il parco venne chiuso “in via temporanea” e per un tempo abbastanza lungo da estendersi, nei fatti, fino all’epoca corrente. Lungi dallo scomparire magicamente dalle mappe turistiche a questo punto, il parco di Ho Thuy Tien andò incontro a una sorta di seconda e inaspettata giovinezza, grazie alla popolarità acquisita come una sorta di “luogo stregato” in funzione della vicinanza geografica al suolo sacro della tomba e mausoleo di Khải Định (1885-1925) XII re dell’ultima dinastia di Nguyễn, che proprio dalla vicina città di Huế aveva governato la nazione. Strane storie di persone scomparse, oltre a misteriosi suoni notturni simili a ululati, iniziarono quindi a diffondersi tra la gente, mentre un numero di aspiranti esploratori e cultori della disciplina spesso abusiva dell’URBEX iniziarono a stabilire una sorta di proficuo rapporto con la singola guardia all’ingresso, disposta a lasciarli passare dietro il pagamento di un trascurabile obolo destinato al suo stesso fondo personale di sopravvivenza. Un gesto cui fa seguito, generalmente, una tra le esperienze più inaspettatamente memorabili per i visitatori dell’intera regione…
Non è sempre perfettamente chiaro perché un luogo “abbandonato” debba possedere un così profondo fascino, capace di parlare direttamente al nostro senso di ri-scoperta e la malinconia di tutto quello che avrebbe potuto rappresentare. Nel caso dell’edificio draghiforme al centro dello Ho Thuy Tien, sarebbe decisamente difficile negare le notevoli qualità architettoniche e gusto estetico dello stesso, senz’altro capace di catturare l’occhio e l’attenzione di chicchessia. Costruito al fine di riprendere la particolare versione del Rồng (drago) usata come sigillo e simbolo della dinastia Nguyễn, la creatura si presenta come un ibrido mitologico dai significativi attributi anatomici: corna di cervo, muso di leone, denti di cane, baffi ricurvi. Come i suoi predecessori in questo particolare contesto culturale, inoltre, esso appare dotato di zampe lunghe e agili paragonabili a quelle di un gatto e una visibile cresta, caratteristiche bastanti a fargli ricordare dal nostro punto di vista, nel complesso, l’aspetto di un’iguana; non che ciò debba essere necessariamente involontario, vista l’acclarata presenza di multiple specie di questo animale in Vietnam, particolarmente nel complicato sistema idrico del delta del Mekong. Il drago inoltre è adagiato su quella che sembra essere una colossale sfera globulare, forse alludente alla all’essenziale gemma/gioiello, idealmente infusa del potere generativo dello Yang, la crescita e l’esistenza continuativa dell’Universo; ma soprattutto contenente, come facilmente visibile nei molti video realizzati in-loco, le sale principali dell’edificio. Ciò che colpisce, una volta raggiunto il primo e secondo piano, risulta invece essere la scala a chiocciola che porta fino alla bocca del drago e relativo ponte panoramico, la cui volta è impreziosita dalla presenza di ossa simili a costole, bastanti a creare l’illusione di stare camminando effettivamente all’interno del condotto digerente di un colossale animale.
Ma per chi dovesse risultare abbastanza coraggioso da visitarlo, il parco abbandonato presenta altre bizzarre ed insoliti elementi decorativi: la grande fontana con la statua di una sirena, il cui cemento macchiato dall’assenza di manutenzione sembra alludere a un membro in qualche modo resuscitato dell’antico popolo degli abissi, mentre quella che sembrerebbe essere una riproduzione nello stesso materiale e a dimensioni naturali di un’automobile Ford Anglia parrebbe l’indiretto riferimento alla serie di film di Harry Potter, all’apice della popolarità durante l’originaria apertura del parco acquatico. Nel frattempo altri luoghi sembrano dimostrare implicazioni decisamente più tristi come il recinto degli alligatori, originariamente trasportati fin qui al fine di attirare l’attenzione e poi lasciati semplicemente a morire di fame lasciando soltanto gli scheletri, nel momento in cui il parco venne chiuso fino a data da destinarsi e nell’assoluto disinteresse da parte di chi avrebbe potuto, forse, tentare di liberarli. La vita nel parco di Ho Thuy Tien è tuttavia andata avanti lasciando che diventasse, attraverso le ultime due decadi, un ideale pascolo per i bovini, che occasionalmente risultano visibili poco fuori l’area recintata delle piscine principali, del tutto indifferenti alle complicate, nonché soggettivamente insignificanti, tribolazioni umane.
Lungamente dimenticato in forza del notevole investimento che avrebbe richiesto un’effettivo restauro e rimessa in funzione del parco, esso è stato quindi finalmente venduto, nel 2013, alla compagnia locale HACO, che ha annunciato un progetto a lungo termine finalizzato a trasformarlo in riserva naturale di nuovo aperta al pubblico in veste ufficiale. Progetto il quale, al momento in cui scrivo e per quanto è possibile apprezzare attraverso lo strumento di Internet, sembrerebbe ancora essere in alto mare. Tuttavia indicato persino adesso nella maggior parte delle guide non ufficiali ai dintorni di Huế, la tana del drago a tre piani resta in grado di attrarre a se con il proprio fascino una certa quantità di turisti fuori dal senso comune, capaci di mantenere vivida quella perduta leggenda, esattamente come il giorno stesso in cui le porte di un tale luogo vennero spalancate, sull’onda di ottime, quanto ingiustificate speranze.
Secondo un’importante leggenda, in conclusione, la dinastia reale del Vietnam sarebbe nata proprio dall’incontro fortunato tra un drago e la dea Âu Cơ, figlia del re degli uccelli, che avrebbe deposto 100 uova da cui nacquero 100 figli. Ciascuno dei quali contenente, all’interno del suo destino, il principio del sacro Mandato Celeste, capace di guidarlo attraverso i mari tempestosi del potere terreno. Il che ci porta al secondo e finale modo di dire della qui presente trattazione, generalmente riferito ai sovrani dell’ormai soprasseduto regno nazionale: “Con Rồng, cháu Tiên” ovvero “Figlio di un drago [ergo] nipote di una Dea” non proprio un’eredità, tra tutte, che possa risultare facile da dimenticare a margine di una tale effige. Destinata un giorno a risorgere, persino dietro la coda scagliosa e qualche volta mutevole della Storia.