Tra le contorte radici di un vecchio albero d’ontano, uno scintillante convegno di esseri brulicava, temporaneamente invisibile agli occhi dei propri molti nemici. “Vendetta, vendetta” era il segnale nella lingua artropode di feromoni, gesti con le antenne ed interscambio di contatti momentanei, sopra le elitre di un verde acceso congiunte in modo tale da impedirgli, per antica scelta evolutiva, di spiccare il volo. “Coleotteri, carabidi, cari fratelli…” Esordì il giovane capo della tribù, con la cicatrice sullo scudo chitinoso della testa e le mandibole contorte in una smorfia di artropode furore “Per troppo a lungo abbiamo sofferto in silenzio il predominio degli anfibi. Troppe morti e troppa sofferenza hanno reso tragica la storia della nostra Famiglia. Portate quindi a me, i vostri figli immaturi, e quindi ancora privi di preconcetti. Ho in mente un piano che probabilmente, un giorno, riuscirà a salvarli.” Avete mai osservato la scena di una iena che abbatte un bufalo, dieci/dodici volte più pesante? Tutto è possibile, nel regno senza limiti della natura. E in particolari generazioni, quando si susseguono in maniera sufficientemente rapida, persino la vittima può trasformarsi in un qualcosa di… Diverso. “Morderemo, mangeremo. Succhieremo via la loro stessa carne!”
Epomis, dal nostro punto di vista umano, è solamente una parola. Ma per gli anuri, rospi, rane e tutto ciò che è collocato in mezzo, costituisce l’orrido sinonimo di una lenta e dolorosa morte, originatosi durante l’attimo del proprio assicurato trionfo. É soltanto un attimo, lo scatto subitaneo della lingua. Un lampo rosa e normalmente, l’insetto sparisce tra le fauci spalancati della cosa saltatrice, gli occhi chiusi per assaporare meglio l’evidente superiorità all’interno delle gerarchie del regno. E se invece vi dicessi che in particolari casi, nonostante i presupposti, la suddetta preda possa evadere dal segno orribilmente chiaro del suo triste fato? Casi che in effetti ammontano, nel caso qui presente, a fino il 90% degli incontri-scontri rilevanti, con le “insignificanti” larve del suddetto scarabeo, del tutto simili a dei micro-vermi dalla forbice sul deretano, che scattano agilmente di lato. Per poi colpire, a loro volta, sulla pelle vulnerabile del viscido carnivoro della palude. Ed Epomis (indipendentemente dalla specie) è quello che possiede, nella sua famiglia, le più efficaci doppie mandibole per ancorar se stesso al corpo del gigante, tanto che mai e poi mai la rana, nonostante i molti movimenti o tentativi fatti, riuscirebbe più a scrollarselo di dosso. Così può apparire, ad un osservatore umano di paesi che possono estendersi dall’Europa temperata (Italia inclusa) all’intera regione paleartica dell’Asia e persino nel Nord-Africa, questa scena surreale della rana con l’insetto attaccato, durante il breve periodo che precede la sua orribile morte. Perché questo sinistro membro della stessa famiglia di tanti scarabei dall’aspetto variopinto e magnifico possiede, in effetti, la capacità di secernere un fluido digestivo capace di corrodere letteralmente l’organismo della vittima aspirante predatrice. Cui fa seguito il suo progressivo indebolimento, finché una di due cose, entrambe altrettanto orribili, possa accadere…
Sarebbe lecito pensare dunque come nell’infinita lotta per la sopravvivenza gli anuri dell’attuale generazione evolutiva debbano in qualche modo conoscere il pericolo di attaccare una delle suddette larve. Ma la realtà è che la predazione dell’Epomis ha una percentuale talmente alta di successo, ed un’effetto tanto relativamente basso sulla popolazione generale di tali esseri, da non aver ancora causato la formazione in essi di un qualsivoglia istinto di sopravvivenza. Laddove loro, d’altra parte, possono beneficiarsi di un sistema assai efficiente per attirare in trappola la controparte, fondato sull’agitazione a ritmo di zampe, antenne e pseudocerci (alias corniculi) la preminenza biforcuta collocata in corrispondenza dell’ultimo segmento del corpo degli insetti. Gestualità dinnanzi alla quale, semplicemente, la rana ed il rospo sono programmati per reagire in un singolo modo, con conseguenze nella maggior parte dei casi nefaste. Come accennato d’altra parte verso il termine della nostra introduzione, non è mai sicuro al 100% che lo scatto salvifico del futuro scarabeo contro l’assalto linguacciuto dell’anfibio riesca a pieno titolo, benché questo porti sorprendentemente a pochi vantaggi per il secondo. Poiché in effetti, il crudele vermetto risulta altrettanto abile nell’ancorarsi all’interno della sua bocca o persino dentro le pareti dello stomaco, iniziando conseguentemente a divorare la rana dall’interno. Una volta assunte sufficienti sostanze nutritive quindi, non come una zecca dalle proporzioni ingigantite quanto piuttosto alla maniera di un vero e proprio ghoul delle notti di luna piena, il mostriciattolo raggiungerà il momento della muta, per effettuare la quale apre necessariamente la propria mandibola, lasciandosi cadere sulla superficie del sottobosco. La rana a quel punto, se è ancora viva, avrà l’opportunità di fuggire, benché non sia affatto raro che risulti talmente indebolita da restare nei paraggi, per cadere nuovamente preda di una versione ancor più grande e terribile del suo carnefice strisciante. Dopo tre volte in cui un tal evento si è ripetuto, arrivando a costare la vita di fino a 5-6 anuri nel corso di una singola stagione quindi, il carabide dell’orrore emerge dal suo esoscheletro nella forma adulta propriamente, che può essere drammaticamente diversa in base alla specie di provenienza. L’E. dejeani ad esempio, piuttosto comune nella nostra penisola, possiede un corpo verde incorniciato da notevoli strisce arancioni sui bordi. Mentre il vampiresco l’E. nigricans delle paludi asiatiche è del tutto nero, con affascinanti riflessi vermigli. Ma chi dovesse pensare che la parte crudele della vita di costoro sia ormai soltanto un ricordo potrebbe restare sorpreso dal sapere come, nella triste realtà dei fatti, molte rane cadranno ancora vittime della sua turpe fame. Lo scarabeo adulto è infatti un predatore straordinariamente capace considerate le sue dimensioni di appena un paio di centimetri, massimo 2,5, perfettamente capace di sorprendere una rana momentaneamente intenta a riposarsi, aggredendo con le proprie mandibole zigrinate i muscoli delle sue zampe posteriori, al fine d’impedirgli mettersi al sicuro, saltando via. Per poi iniziare, senza nessun tipo d’esitazione, a farla letteralmente a brandelli.
Questi eccezionali coleotteri, tra i più rari rappresentanti di un processo naturale noto con l’espressione di “predazione invertita” restano dunque relativamente poco approfonditi dalla scienza moderna, forse proprio per la natura particolarmente orribile delle loro crude pratiche nutritive. L’entomologo israeliano e fotografo Gil Wizen in particolare, autore dello studio più famoso sull’argomento, ha raccontato sul suo blog del terribile senso di colpa che lo ha tormentato per mesi, durante l’intensa serie di registrazioni effettuate in merito al comportamento di questi temibili insetti, finendo per sacrificare alla causa una quantità del tutto spropositata d’incolpevoli anfibi all’interno del suo terrario, sottoposti a quell’incontro il cui esito, in ciascun singolo caso, aveva l’unica variabile del come (Morire).
Eppure sarebbe difficile non affermare che in qualche modo, persino un simile processo, possieda il grammo fondamentale dell’imprescindibile simmetria delle cose. Poiché narra di una sofferta ed attesa rivoluzione, da parte non di una singola comunità di genere, o “soltanto” l’intera popolazione di una vasta famiglia, bensì l’intero phylum di esseri con numero di zampe superiori a quattro. Che. Per. Troppo tempo, hanno dovuto subire gli abusi di coloro che erano più grandi e possenti, come gracchianti e super-agili Polifemo! E per questo inebriati dallo spirito della cognizion di causa, che nondimeno, dovrà necessariamente cedere alla belante prova di forza delle sue striscianti capre.
come si distingue un Epomis da un Chlaenius?
Buongiorno, da quanto leggo presso questo post del forum Naturamediterraneo:
https://tinyurl.com/wzfg85x e cito: “La differenza è nella forma dell’ultimo articolo dei palpi, stretto e allungato nei Chlaenius, triangolare negli Epomis, che sono anche mediamente più grandi, sempre oltre i 15 mm.”
Wikipedia rimanda inoltre alla fonte:
“Pietro Brandmayr, Teresa Bonacci, Tullia Zetto Brandmayr (2010): Larval morphology of epomis circumscriptus (Duftschmid 1812) and of first instar E. dejeani, Dejean, 1831 (Coleoptera, Carabidae, Chlaeniini), with morphofunctional remarks. Zootaxa 2388: 49-58.” che elencherebbe alcune differenze di forma dello stadio adulto e larvale delle due specie.