D’altra parte, nostro padre diceva sempre: “Una barca può essere la vostra casa via da casa, se soltanto imparate le regole di un diverso stile di vita!” E così pensai di nuovo anch’io, mentre appoggiavo la padella sopra il piccolo fornello elettrico, lo sguardo perso verso il finestrino, tra le onde lievemente increspate dello stretto di Puget. C’è in effetti uno specifico rapporto tra gli uomini ed il mare, nell’area settentrionale del Pacific Northwest, dove il territorio degli Stati Uniti, in corrispondenza del singolo tratto di mare che costituisce anche un confine tra i due paesi, tale da permettere uno spostamento rapido e privilegiato tra le due città di Seattle e Vancouver, Victoria e tutti gli altri centri abitati di questa popolosa regione umana. Attorno a questo elucubravo, quando a un tratto, l’uovo dentro il mio tegame si spostava di qualche centimetro a sinistra; strano! Pensai, l’acqua è stabile e la mano ferma. “Quale insolita evenienza, quale anomalia gravitazionale, quale scoglio inappropriato…” Ma non feci neanche in tempo a completare il filo di uno dei possibili pensieri, mentre con un terribile scossone, mi trovai a reggermi appoggiato al bordo dello scaffale, tutto quello che potevo fare prima di cadere rovinosamente sul pavimento. La barca, inclinata di abbondanti 30 gradi, mentre l’acqua minacciava d’invadere orribilmente la cabina. E fu allora che iniziai ad elaborare l’orrido sospetto, in un attimo riconfermato dal possente suono: “AwoooOooo, grunt!” No…Impossibile! “Grunt, sgrunt” subito rispose, da quell’acqua semi-gelida, una seconda fonte di rumore. Di quel verso, quell’orribile sentore. La provata locuzione del pinnipede, senza concetto del possesso e della proprietà privata…
Il video è comparso all’inizio della settimana sulla pagina Instagram di FishingJosh, ex calciatore della cittadina di Olympia nello stato di Washington, oggi a capo della compagnia di articoli da pesca Spawnyfish, durante un’escursione marittima presso l’insenatura di Eld, raccogliendo ben presto 10 di migliaia di visualizzazioni. La scena che vi compare, del resto, non è del tipo che possa essere facilmente dimenticata: un piccolo yacht a vela si trova sulla superficie dell’acqua, pericolosamente inclinato al punto da imbarcare una certa quantità d’acqua. In quanto sopra ad esso, incredibilmente, si trovano due massicci esemplari di leone marino di Steller (Eumetopias jubatus) dal peso unitario di svariati quintali, prossimi effettivamente alla tonnellata. In un secondo video pubblicato soltanto su YouTube se ne vede addirittura un terzo, che per qualche attimo sembra interessato a balzare anche lui sul natante, prima di cambiare idea perché oggettivamente, non sarebbe mai riuscito a trovare lo spazio sufficiente a farlo. Ed è una fortuna poiché difficilmente, a seguito dell’ulteriore aumento di peso, il mezzo di trasporto costruito per mani e utilizzo esclusivamente umane avrebbe potuto restare al di sopra della linea di galleggiamento, scaraventando tutto il suo contenuto al di sotto dei turbini vorticosi degli abissi della baia.
Visione sorprendente, per noi che non siamo di quelle parti, ma purtroppo niente affatto insolita dal punto di vista dei coabitanti geografici di tale specie. La cui recente proliferazione, iniziata a partire dall’emendamento del Marine Mammal Protection Act del 1972 ed ulteriormente favorita dalle norme per la tutela delle acque pulite, ha portato nell’ultimo decennio a difficili circostanze d’interazione e rapporti possibilmente conflittuali, fuori e dentro le acque dell’intera costa occidentale/settentrionale degli Stati Uniti, Oregon e California inclusi. Detto questo c’è ben poco che possa rivaleggiare, per invadenza, spirito territoriale e mancanza di timore, con la versione sovradimensionata di simili creature frutto dell’ipertrofia da climi freddi, che progressivamente sembrerebbe essersi trasformata nel più imprevisto, ma pervasivo di tutti i problemi animali…
Il termine specifico è sea lion abatement (riduzione) ed il suo campo d’applicazione quello relativo alla difficile gestione di simili creature, che con il trascorrere degli anni sembrano sempre più inclini ad invadere spazi del tutto inadatti a loro, come banchine portuali, pontili e come nel sopra descritto caso, gli stessi ponti delle barche, alla ricerca di possibili di cibo o semplici spazi tranquilli per l’attività comportamentale nota come haul-out, consistente essenzialmente nel far riposare le lunghe pinne tra un’escursione di pesca e quella successiva. Detto questo e nonostante il comprensibile entusiasmo dei turisti, dinnanzi all’occasione di veder da vicino delle bestie tanto rappresentative e magnifiche, è raro che l’incontro non finisca in maniera pessima, data l’irruenza del leone marino che ogni cosa distrugge, col suo singolo passaggio, defecando con getto potenzialmente devastante e gridando a pieni polmoni (e CHE polmoni) tutto il suo entusiasmo nei confronti delle semplici gioie dell’esistenza. Fino al caso estremo, ma tutt’altro che inaudito, dell’attacco mordace nei confronti della mano che lo disturba e/o nutre. Ragion per cui dietro l’intervento di società specializzate, le diverse città dell’area interessata hanno adottato alcune soluzioni piuttosto ingegnose e diversamente valide nel fungere da deterrenti animali: una di quelle più spesso citate, a Dana Point CA, vede la collocazione lungo l’intero tratto urbano interessato di un’alto numero di fantocci tubolari ad aria (del tipo normalmente usato per le fiere o i venditori di automobili usati) i cui movimenti improvvisi sembrerebbero in grado di scoraggiare il leone marino medio. Mentre a Newport Beach nella zona meridionale di Los Angeles si è compiuto il passo ulteriore, utilizzando piuttosto degli impressionanti fantocci a forma di coyote, con gli occhi rossi e la coda fluente nel vento, i denti snudati a ringhiare inascoltati contro l’impatto reiterato delle maree.
Per quanto concerne nel frattempo le misure concesse ai privati, ivi inclusi pescatori, turisti o semplici marinai per caso, il Marine Mammal Protection Act ed i suoi corollari includono diverse metodologie concesse a seconda dell’area in cui ci si trova e la sottospecie di leone marino con cui si ha, conseguentemente, a che fare. Viene infatti applicata una fondamentale distinzione tra la popolazione di questi animali situata oltre il 144° parallelo Ovest e dall’altro lato di questo, con il primo dei due gruppi ancora considerato protetto e quindi libero d’invadere qualsivoglia barca o sito d’interesse umano. Mentre nel secondo caso, vari metodi e deterrenti possono venire applicati purché non prevedano il ferimento dell’animale, ivi inclusi rumori improvvisi, luci lampeggianti, pungoli e in casi estremi, persino l’impiego di fionde. Benché opportunamente applicate con spazio adeguato a compiere un precipitoso ritiro, nel caso in cui l’animale dovesse reagire attaccando direttamente: un leone marino può essere estremamente mordace se stuzzicato e potenzialmente pericoloso anche per un umano adulto. Detto questo e nonostante l’apparente impulso di molti cacciatori di selfie, resta altrettanto severamente vietato tentare di nutrire gli animali, a potenziale incremento di situazioni altrettanto problematiche e quasi mai desiderabili. Altre misure applicate dai proprietari di barche includono l’applicazione di barriere attorno ai propri natanti, ringhiere con elementi rotanti per dissuadere l’arrampicamento e cavi elettrificati, simili a quelli presenti nella recinzione di bovini ed altri animali da fattoria. Ma ci sono casi in cui semplicemente, neanche simili misure possono risultare sufficienti…
Particolarmente discussa, benché brutalmente efficace, risulta essere a tal proposito la misura estrema adottata dall’ente Risorse Marittime dello stato dell’Oregon lungo il corso del fiume Williamette in prossimità di Portland, uno dei tributari del più grande Columbia. Dove l’aumento eccessivo della popolazione di leoni marini, oltre a generare significativi problemi di convivenza, stava arrecando danni irreparabili alle popolazioni già minacciate dei salmoni locali e la trota “testa di ferro” (Oncorhynchus. m. irideus) ormai pericolosamente prossima all’estinzione. Ragion per cui, a malincuore, è stato decretata da marzo di quest’anno l’implementazione di una serie di trappole disposte lungo l’intero sistema idrico della regione, finalizzate a catturare i leoni marini e marchiarli, per riconoscere quelli che tornano nuovamente a pescare in una delle zone protette. Nell’immediato futuro dei quali, purtroppo, viene applicata l’eutanasia. Una scelta difficile e certamente sofferta dagli operatori ambientali, benché risulti essere comprensibile una simile scelta soprattutto a margine di una specie animale che ormai da molti anni non è più a rischio d’estinzione e adesso minaccia, proprio a causa di un’ambiente eccessivamente clemente, i delicati equilibri di un ambiente già connotato dalla presenza e i significativi interventi dell’uomo.
Pesanti, tuttavia, mai quanto una coppia di leoni marini sopra il piccolo yacht che abbiamo ereditato dai nostri genitori, ormai quasi prossimo all’affondamento. Così scambiando uno sguardo operativo con mio fratello, che si affrettava a discendere le scale della cabina, apro il cassetto in cui custodiamo l’ultima risorsa di simili situazioni: una catena di piccoli fuochi d’artificio, del tipo generalmente impiegato in corrispondenza di specifiche ricorrenze. Nel frattempo, lui prese la scacciacani. Quest’anno, a quanto sembrava, il Capodanno sarebbe venuto qualche giorno prima…