Il Sogno di Antonov, l’abnorme sovrano sovietico dei cieli

Furono in 15.000, presso l’aeroporto internazionale di Perth, Australia, a comprendere in maniera simultanea l’essenziale verità del caso: che i dinosauri ancora esistono e in un certo senso, sono ancor più eccezionali per aspetto e dimensioni di quanto fossero nell’epoca della Preistoria. Poiché anche il trascorrere del tempo, come ciascun’altra delle nostre percezioni, è la risultanza più o meno diretta di una serie di fattori: tra cui aspettativa, esperienze pregresse a tecnologia. Così che nessun controllore di volo, al giorno d’oggi, riesce a rimanere impassibile quando l’Antonov An-225 Mriya (“Sogno”) poggia le sue 640 tonnellate e 32 ruote sull’asfalto della propria pista. Mentre migliaia di persone, grazie a un tam-tam mediatico di tutto rispetto, accorrono ad assistere all’inusitato evento. Al rombo di tuono dei sei motori turbofan Progress D-18T, da 23,430 kgf di spinta ciascuno, installati sotto le ali e tentando di mantenere un qualche ragionevole grado di calma, mentre la terra stessa sembrava tremare sotto il terminal dell’aeroporto…
Potenza. Imponenza. Incombenza: quella di portare, materialmente, quello che nessun altro velivolo potrebbe mai riuscire a contenere. Giungendo metaforicamente presso quel particolare regno dello scibile ove ben pochi altri, a cavalcioni di un qualsiasi drago tecnologico, avevano sognato di riuscire a spingersi: lo spazio. Meta che, fin dall’epoca in cui il primo cosmonauta Jurij Gagarin, ha posto le basi di un gran numero d’innovazioni e approcci estremi, come quel percorso, egualmente rivelatosi fondamentale negli Stati Uniti, di riuscire a trasportare “pezzi” grandi e indivisibili, presso il luogo da cui sarebbero stati scagliati, come frecce della grande collettività moderna, verso il buio della tenebra e dell’infinito. E sto parlando, nello specifico, del progetto sovietico Buran (“Tempesta”) per la costruzione di un velivolo orbitale che fosse esteriormente quasi indistinguibile dallo Space Shuttle, il quale all’inizio degli anni ’80 stava iniziando a prender forma tra i bureau moscoviti come naturale conseguenza del rapporto conflittuale con l’Occidente, incentrato sul predominio di quegli spazi ritenuti sempre più vicini, vieppiù importanti. Soltanto che l’idea, in se stessa, presentava un notevole problema di fondo: come far raggiungere all’aeromobile non concepito per il volo atmosferico e i relativi razzi propulsori Energia necessari per lasciarla (in questo caso non credo serva la traduzione) il cosmodromo di Baikonur, nel Kazakistan meridionale, laddove il primo sarebbe stato costruito nella capitale ed i secondi, a Samara nella Russia centro-orientale… Una de-centralizzazione dei poli industriali quest’ultima, considerata estremamente desiderabile anche negli Stati Uniti durante la guerra fredda, al fine di poter preservare almeno parte delle proprie infrastrutture nel caso di un inizio improvviso dei bombardamenti da parte del silenzioso e imperscrutabile nemico. Così che la risposta, caso vuole, sarebbe giunta da un ulteriore luogo, l’Ucraina. Dove dall’immediato termine della seconda guerra mondiale sorgeva, presso Kiev, il consorzio ingegneristico capeggiato da Oleg Antonov, grande progettista d’aerei e contributore allo sforzo sovietico per migliorare molte delle proprie risorse aeronautiche di quegli anni. Benché il merito del nostro titolare elefante dei cieli e trasportatore di cosmonavi, in effetti, vada attribuito piuttosto al suo dipendente Viktor Tolmachev, già capo progettista del possente An-124, aereo di concezione militare per il trasporto di carichi super-pesanti. Ma non appena si tentò di sovrapporre ad esso la massiccia sagoma del Buran, apparve chiaro che nel presente caso, sarebbe servito poter fare addirittura di più…

Comprendere coi propri occhi le effettive mostruose dimensioni dell’Antonov non è facile, finché non lo si vede accanto a veicoli, persone o ancor meglio, alcuni dei più “grandi” aerei dei nostri giorni. Ma niente può rivaleggiare col solo, ed unico, Quetzalcoatlus dei nostri giorni…

Il principale aspetto dell’An-225, aereo costruito in un singolo esemplare completo in ogni sua parte ma ancora in servizio attivo ed in effetti, economicamente redditizio, sarebbero state le dimensioni. Benché infatti esso costituisca dal punto di vista dei record ad oggi l’aereo più pesante (ma non il più largo, record allora detenuto dall’antica e fallimentare “Oca d’abete” di Howard Hughes, H-4 Hercules ed oggi appartenente invece allo Scaled Composites Stratolaunch dalla doppia fusoliera) ogni aspetto della sua concezione era stato finalizzato a contenere, ed in qualche modo sollevare, carichi quali il mondo aveva raramente potuto ammirare prima d’allora. Per questo l’originario An-124 venne allungato attorno alla metà degli anni ’80 con estensioni della fusoliera poste prima e dopo le ali, fino a una misura totale di 84 metri, mentre le ali ricevevano un aumento della superficie fino all’ampiezza di 88 garantendo una capienza della stiva di 1.300 metri cubi. Ulteriori due motori vennero inoltre aggiunti a quelli forniti in dotazione al già poderoso aeromobile, per un totale di 6, raggiungendo una velocità di crociera stimata attorno agli 800 Km/h, variabile a seconda del carico contenuto all’interno o agganciato sopra la fusoliera. Proprio per garantire tale ulteriore possibilità, essenziale per il trasporto della navicella Buran, l’Antonov venne dotato di una particolare configurazione della coda, di tipo doppio e dotata di un enorme stabilizzatore orizzontale. Soltanto ciò, in effetti, avrebbe potuto garantire la stabilità del mezzo indipendentemente dall’ostruzione eventuale capace d’interferire con l’aerodinamica del suo progetto di partenza.
Ulteriori modifiche, inoltre, coinvolsero il carrello di decollo e atterraggio, giungendo forse al singolo esempio più estremo di un simile concetto nell’intero mondo dell’aviazione: semplicemente 32 ruote, alcune delle quali sterzanti, in grado non soltanto di sostenere il folle peso del velivolo, ma anche di permettergli di ruotare quasi letteralmente su se stesso, voltandosi entro gli “stretti” 60 metri di una pista di tipo convenzionale. E non solo: uno dei principali punti forti degli aerei sovietici di quei tempi risultava essere, in effetti, proprio la capacità di utilizzare aeroporti costruiti in modo approssimativo, magari persino privi di una pista asfaltata. Eventualità che in più casi, nella lunga storia operativa di questo aereo, si sarebbe effettivamente presentata. Nel completare il comparto tecnico, dunque, non si può mancar di citare il funzionamento della singola ruota frontale, capace di sollevarsi parzialmente nella carlinga mentre l’intero muso si solleva verso l’alto, permettendo l’inserimento dei carichi più voluminosi, in un gesto definito tradizionalmente tantsi slona, espressione ucraina che significa “danza dell’elefante”.

I piloti attivi con esperienza di volo sull’Antonov sono ad oggi meno di una decina, anche data la complessità di questo velivolo concepito secondo sensibilità e modalità d’impiego oramai desuete. In particolare colpisce il quadro di controllo potenza, con le sei leve abbastanza dure da richiedere l’aiuto di una seconda persona, soltanto per essere spostate tutte assieme durante il decollo!

E avendo parlato di una lunga storia, sarà a questo punto il caso di definirla in maniera lievemente più approfondita. Pur dopo la notoria terminazione del progetto Buran verso la fine degli anni ’80, dovuta alla crisi economica del sistema sovietico e l’imminente caduta dell’Unione, non soltanto la Antonov riuscì a sopravvivere come compagnia privata, ma grazie ad alcune oculate scelte di finanziatori e processi aziendali da parte del proprio direttorato iniziò a produrre utili sostenibili attraverso il trascorrere di quei lunghi, e difficili anni. Parte dei quali garantiti proprio, in maniera alquanto sorprendete, dal maestoso gigante dei cieli, l’An-225. Con una base di partenza stabilita presso l’aeroporto di London Luton, in Inghilterra, il super-aereo iniziò dunque ad offrire i propri servizi ovunque fosse necessario trasportare, con urgenza, carichi dalle dimensioni spropositate, come trasformatori per le centrali elettriche, ciminiere o elementi architettonici di ponti ed altre grandi opere civili. Con un costo al cliente finale per ciascuna missione in grado di aggirarsi tra i 200.000 e 300.000 dollari, comunque giustificati dal consumo di carburante di 15.900 Kg l’ora, effettivamente giustificabile soltanto ai vertici di un mercato il quale, essenzialmente, continuava ad esistere soltanto grazie a lui stesso. Fino al record assoluto del 2009, con il trasporto del carico più pesante mai sollevato nei cieli di questa Terra: il generatore per un impianto a gas in Armenia, 189 tonnellate per 16,23 metri di lunghezza. Ma non sempre il successo commerciale, per quanto significativo, risulta sufficiente al sostegno di un ulteriore ampliamento di simili processi trasversali…
Così nel frattempo, lungamente abbandonato in un hangar presso Kiev, il corpo di un secondo possibile esemplare di quel “Sogno” imponente langue in attesa dei finanziamenti necessari. I quali potrebbero giungere, secondo un accordo stretto nel 2016, proprio da compagnie dell’ormai onnipresente Cina, ufficialmente interessata ad acquisire, modernizzare e mettere in volo un secondo An-225. Realtà che potrebbe a quanto pare concretizzarsi nei prossimi anni ed allora, sono pronto a scommetterci, i giornali e le Tv raddoppieranno i servizi su un tale arrivo presso questo o quell’aeroporto, con lo stesso ruggito mediatico di un surreale tirannosauro dei cieli.

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