Non è sempre facile decidere se credere, oppure adottare la posizione del ragionevole dubbio, in merito alle storie folkloristiche poste alla base d’importanti vicende nazionali. Racconti simbolici, qualche volta improbabili, associati a una bandiera, una festa, un inno nazionale… Eppure, difficile negarlo: permane una forte componente realistica nella vicenda connessa al nome del Dr. Ramón Aveledo Hostos, presidente della Società Nazionale delle Scienze Naturali del Venezuela, che nell’inverno del 1957 fu il mittente di un fatale telegramma ai suoi colleghi di Zulia, contenente le seguenti parole: “Inviatemi al più presto il nome dell’uccello che avete intenzione di candidare.” Senza purtroppo meditare, o in alcun modo prevedere, il modo in cui funziona la mente di (talune) persone; perché era grosso modo quello il momento storico, nei cinque lunghi anni fin lì trascorsi, in cui la dittatura del politico e generale Marcos Pérez Jiménez si trovava ormai agli sgoccioli, con le prime dure proteste di piazza e i disordini che avrebbero portato, nel giro di qualche mese, alla sua fuga precipitosa dal paese. Ma poiché in quel delicato momento, la sfida alle urne dovette sembrargli più vicina che mai, fu presumibilmente proprio lui a dar l’ordine alla polizia segreta di catturare lo scienziato inconsapevole e farlo rinchiudere presso El Helicoide a Caracas, l’ex centro commerciale trasformato in prigione per i nemici politici, dove interrogarlo lungamente al fine di fargli rivelare il nome del presunto traditore. E di nomi, egli, avrebbe avuto a dirne molti: il corocora, l’oriolo, il cristofuè, il paraulata e cento altri, mentre i carcerieri continuavano a torturarlo senza mostrare nessun tipo di pietà. Poco tempo dopo, con il supporto dei letterati, uomini di cultura e studiosi indegnati per l’ingiusta prigionia, la rivoluzione avrebbe raggiunto l’apice; ma il nome del presunto nemico di quel dittatore restò un mistero. Proprio mentre il Venezuela, incidentalmente, celebrava la nomina del suo nuovo Ave nacional (l’uccello nazionale): il turpial.
Può sembrare in fondo strano che l’intero mondo accademico di un paese indica una competizione, strutturata e prestigiosa, per la nomina di un rappresentante volatile del proprio territorio, eppure questo riconoscibile passeriforme del Sudamerica, vivace, qualche volta dispettoso e intelligente, sembrò incarnare fin da subito lo spirito del territorio che lo circonda, trasformandosi a pieno titolo nell’emblema e il simbolo d’aggregazione di cui il popolo aveva bisogno. Il turpial o corrupião, scientificamente uno dei tre rappresentanti del genere Icterus, così chiamato per il colore tendente al giallo di parte delle sue piume per il resto nere, rientra del resto nell’ampia categoria di quegli animali apprezzati in primo luogo per la loro bellezza e capacità d’interfacciarsi con gli umani, pur costituendo occasionalmente un problema dal punto di vista degli agricoltori, data la sua innata voracità in materia di frutta nel corso dei mesi invernali. Laddove il comportamento nei confronti degli altri abitanti della giungla, al tempo stesso, non può che risultare oggetto di un qualche grado di diffidenza. Pur non praticando in effetti la specifica strategia del cuculo, che lascia i propri piccoli nella custodia inconsapevole di un’altra madre-uccello, condannando a una crudele dipartita i legittimi pulcini di costei, questo passeriforme del Nuovo Mondo, delle dimensioni più vicine a quelle di un piccolo corvo, viene definito altresì “pirata dei nidi” data la propensione a scacciare i loro possessori legittimi, senza quasi mai spendere le energie necessarie a costruirsi la propria casa a fronte di un risparmio energetico decisamente significativo, fatta l’eccezione per il caso in cui non gli riesca di trovare alcunché. E non è difficile immaginare, dunque, il destino crudele a cui vengano destinate le uova dei precedenti abitanti, qualche volta addirittura divorate data la natura in realtà onnivora di questo astuto volatile dal canto melodioso…
La classificazione tassonomica del turpial, d’altro canto, ha sempre costituito un problema per la biologia, tanto che originariamente se ne riconosceva un’unica specie suddivisa in cinque differenti varietà regionali. Mentre oggi per il consenso acquisito, data la differenziazione del piumaggio e alcune sottili differenze anatomiche, il mondo accademico tende a suddividerlo in I. icterus (turpial venezuelano) I. jamacai (turpial brasiliano) e I. croconotus (turpial dalla schiena arancione, di Guyana, Paraguay e Perù). Mentre altrettanto dubbio risulta essere il suo inserimento all’interno della vasta famiglia degli Icteridae, anche detti orioli delle Americhe, dato l’approccio fortemente distintivo al comportamento, la protezione del territorio e i rituali d’accoppiamento. Il turpial o corrupião infatti, come viene talvolta chiamato nei paesi parlanti la lingua spagnola, non esibisce i comportamenti socievoli e strettamente interconnessi dei propri simili appartenenti alla stessa famiglia, bensì forma coppie monogame dalla lunga durata, che una volta sottratto il nido alle proprie vittime lo difendono ferocemente da qualsivoglia potenziale intruso, specie se istintivamente considerato come una minaccia. Prima che i due componenti della coppia possano trovarsi, tuttavia, è necessario che si mettano a cantare, ed è lì che si palesa un altro straordinario tratto di distinzione: in tutte e tre le specie del turpial, infatti, si verifica il caso estremamente raro della femmina che chiama con la stessa enfasi continuativa del suo potenziale partner, riempiendo l’aria di un canto caratteristico e reiterato dal timbro estremamente sottile. Benché in effetti, questi uccelli siano perfettamente in grado d’imparare e mettere a memoria melodie di provenienza esterna, talvolta ripetute anche in maniera spontanea. Il che potrebbe essersi rivelato, nel corso degli anni, come un problema significativo: pur essendo stato lungamente protetto e celebrato come patrimonio del Venezuela, infatti, dopo la prestigiosa nomina del 1957, il turpial sarebbe anche diventato l’oggetto principale di una cupidigia tipicamente umana, mirata a catturarne un grande numero d’esemplari per farne un commercio in qualità di animali di compagnia. E pur potendo immaginare, per tali uccelli, un fato relativamente tranquillo e privo d’implicazioni nefaste, è innegabile che ciò li abbia rimossi dal pool riproduttivo della specie, portando a una riduzione della popolazione complessiva tutt’ora difficile da sopravvalutare. Fortunatamente, ad ogni modo, le capacità di proliferazione di tutte e tre le specie hanno permesso al volatile di mantenere un outlook positivo, anche data la capacità di accoppiarsi più volte l’anno tra marzo e settembre, fino a un massimo di tre volte da tre/quattro uova ciascuna. Il più delle volte deposte, come precedentemente accennato, all’interno di nidi che erano originariamente appartenuti a un furnaride comune (Phacellodomus rufifrons) o acchiappamosche gran kiskadee (Pitangus sulphuratus). Detto questo non è tuttavia inaudito che una coppia di turpial decida invece di costruirsi un proprio nido, generalmente posizionato sui rami più alti di un albero o persino la sommità di un cactus, le cui spine contribuiscano a interdire eventuali aggressioni da parte dei predatori.
Possibile che debba sempre trattarsi, in ultima analisi, dei più furbi e non chi merita davvero ricompense? Lo stesso Thomas Jefferson viene riportato essere stato, tra tutti, il maggior detrattore della scelta dell’aquila di mare testabianca (Myliobatis aquila) come simbolo degli Stati Uniti, data la sua natura “Furtiva, meschina e degna di poca fiducia” essendo stato invece il promotore del tacchino comune (Meleagris gallopavo) dalle piume splendide e il contegno niente meno che regale. Così come in Venezuela, a quanto pare, l’istinto spietato dettato dalla natura a questo uccisore di pulcini sembrerebbe essere stato messo in secondo piano rispetto alla sua innata grazia, apparente candore ed innocenza nelle più svariate circostanze. Eppure resta innegabile, a conti fatti, il favore fatto indirettamente da questo inconsapevole volatile agli ormai stanchi sottoposti di Jiménez: poiché fu proprio, così narra la leggenda, l’assurda e crudele prigionia di Aveledo Hostos a far traboccare la goccia dal proverbiale vaso, accendendo la miccia di quelle proteste che avrebbero portato alla liberazione del paese.
Faccenda certamente non facile da quantificare o in qualsivoglia modo confermare, benché la cinguettante presenza di questo grazioso assassino dei cieli, a conti fatti, e la sua importanza per la cultura locale, restino delle costanti difficili da screditare. E il Venezuela sia oggi un paese libero, con il suo inno ritrovato, la bandiera linda e un degno simbolo del proprio dramma ormai trascorso, nominato da quel giorno, solo ed unico, splendente uccello nazionale.