Per secoli, per secoli, la duna si è spostata con il vento. senza mai smarrire il senso della sua esistenza separata dalle circostanze, nel secchissimo paesaggio dell’Atacama. Sabbiosa, come le altre, priva di rugiada, come le altre, eppure coronata da un diverso tipo di elemento: grigio ed intricato, sovrapposto a strati, con i rami pronti a sollevarsi verso il cielo (nell’improbabile ma inevitabile rovescio pluriennale) per dar luogo all’apertura di quei fiori che ben pochi, tra i botanici e gli amanti di simili atipici recessi, potranno mai affermare di aver visto. Ed ogni volta che la duna ricostituiva la sua forma altrove, quelle piante la seguivano, indefesse. Poiché non v’è nulla che costringe una Tillandsia, che sia del genere landbeckii oppur marconae, in un particolare luogo, men che meno il suo ancoraggio sull’inamovibile sotto-struttura della nostra Terra. Altrimenti come mai potrebbe, tale essere foglioso, spostarsi per seguire l’unica sostanza da cui può dipendere la sua esistenza?
Perché del resto, come ci racconta l’atipico naturalista, YouTuber e italo-americano di Chicago “Crime Pays but Botany Doesn’t” per le due specie vegetali da lui incontrate durante l’ultimo video girato presso uno dei luoghi maggiormente inospitali e disabitati dell’intera America meridionale, non sussiste alcun tipo di rugiada o umidità del limpido mattino. Bensì soltanto un tipo di possibile essenziale idratazione, quella trasportata dalle coste del Pacifico attraverso il sistema della Camanchaca, gruppo di nubi stratificate, frutto della convezione aerea generata dalla corrente di Humboldt. Che una volta trasportate verso l’entroterra, si disperdono ed iniziano a precipitare verso il suolo, rendendo tenui e indistinguibili i contorni delle cose. Ed è allora, ogni giorno dopo il tramonto e fino a poche ore prima dell’atteso sorgere del sole, che le foglie all’apparenza secche aprono i nascosti pori (stoma) attorno ai quali la specifica struttura dei tricomi, peli simili ad ombrelli, riusciranno a far dirigere fino all’ultima residua goccia di condensa. Si tratta di una storia poco nota, benché la leggenda di queste piante, parenti meno celebri del gustoso ananas (A. comosus, stessa famiglia delle Bromeliacee) sia spesso ripetuta, all’interno di segmenti botanici su Internet nonché durante numerosi programmi televisivi. Ove al fine colpire lo spirito di meraviglia della collettività, generalmente, si usano le sue caratteristiche capacità di assorbire, ed in qualche modo depurare l’aria, dal fumo delle sigarette, lo smog e addirittura (riuscite a crederci?) i cattivi odori. Ma le tillandsie, secondo la classificazione originariamente intitolata dallo stesso Linneo al collega e predecessore botanico svedese Dr. Elias Tillandz, possiedono molte nature e aspetti contrastanti, come ampiamente esemplificato dalle 650 specie oggi riconosciute. Molte delle quali sono solite crescere a cavallo dei rami di alti arbusti dove i propri semi aerei erano giunti grazie al vento, aggrappandosi ad esse mediante la funzione ampiamente modificata delle rispettive radici, benché siano altrettanto in grado di trovare nutrimento se attaccate a rocce, asfalto o pali della luce.
Perché epifita, ovvero “[ciò che] cresce sopra le altre piante” non significa per forza parassita. Ed una volta che fai a meno di una base solida per dare spazio al tuo presente vivere o crear te stesso, cosa può fermarti, dal chiamare casa un qualsivoglia luogo? Persino dove nessun altro essere, nel vasto consorzio della natura, potrebbe mai affermare di trovarsi a suo agio…
L’effettiva maniera in cui le tillandsie del deserto dell’Atacama riescano a sopravvivere è stato fatto oggetto di numerosi studi scientifici, tra cui uno degli ultimi è quello di Westbeld et al. del 2009 “Fog deposition to a Tillandsia carpet […]” nel quale, misurando tramite specifici strumenti l’accumulo di umidità sui pendii ovest delle dune del territorio, si è giunti al numero di appena 25 litri deposti annualmente per metro quadro dal passaggio reiterato della Camanchaca, fatta eccezione per gli anni in cui l’eccezionale convergenza metaforica dei pianeti meteorologici (tanto raro è un simile fenomeno) ha permesso il verificarsi di uno scroscio rapido, ma vivificatore della pioggia tanto lungamente attesa. Detto questo e in modo indipendente dallo stato del clima, come ampiamente narrato dal nostro scienziato di Chicago, c’è ben poco che possa fermare simili piante, addirittura in luoghi tanto estremi, dal riuscire a prosperare indefesse. Come testimoniato all’inverso dallo stato ormai pietoso di un’antica colonia di Eriosyce krainziana, mostrata all’interno del suo video come vittima di una serie di anni troppo secchi e quindi ahimé, sfortunati. Mentre c’è molto poco, nel suo ambiente naturale, che possa minacciare la sopravvivenza di una tillandsia, fatta eccezione per il fuoco e forse qualche volta l’inquinamento, eventualità comunque nota persino in simili recessi, questione pienamente dimostrata dall’inquadratura nelle primissime battute di alcuni sacchi di spazzatura abbandonati chissà da chi e quando. Situazione che del resto cambia, ogni qualvolta si decida di spostare simili esseri al di fuori del loro ambiente, portandoli all’interno di una casa presso climi maggiormente rigidi l’inverno. Nella sua accezione non selvatica, del resto, queste piante vanno irrigate soltanto di rado, ma sempre mediante metodologie d’impatto e che bagnino l’intero corpo, invece che l’eventuale (ed inutile) vaso sottostante. Ovvero l’immersione in una bacinella, oppure il posizionamento sotto un rubinetto aperto, o ancora l’impiego di un semplice nebulizzatore, affinché la superficie di quei rami contorti possa adeguatamente assorbire, mediante l’impiego dei suddetti tricomi, l’umidità necessaria al suo organismo. Altrettanto importante, del resto, risulta essere la loro stessa disposizione: ogni qualvolta a simili piante viene infatti impedito il contatto diretto con l’aria, ad esempio lasciandole appoggiate ad un muro, esse soffrono e tendono a seccarsi. Poiché soltanto l’aria stessa può riuscire a garantirgli, da qualsiasi lato ci si metta ad affrontare la faccenda, di resistere tranquillamente alle diverse peripezie dell’esistenza.
Ulteriore caso in cui le tillandsie sovvertono le aspettative date per scontate in ambito vegetale è dunque il loro approccio alla riproduzione, che vede l’impiego diretto dei semi, una rete intricata e aerodinamica quanto la candida chioma del dente di leone (Taraxacum officinale) trovare un impiego diretto nei contesti artificiali ben poche volte, a vantaggio della semplice separazione e disposizione delle talee (frammenti indipendenti e in grado di crescere a distanza). Tutto questo riflettendo, d’altra parte, lo stesso processo impiegato in natura, che permette a un singolo esemplare di pianta di perpetrar se stesso, anche attraverso una quantità virtualmente illimitata di generazioni, a patto di poter contare sull’opportuna impollinazione da parte di falene, uccelli e qualche volta, pipistrelli. Ma nel caso delle rappresentanti di categoria sperdute nel mezzo di una terra di nessuno come l’Atacama, soltanto insetti resistenti come le formiche possono occuparsi di spostare simili frammenti vivificatori. Perpetrando, e ulteriormente garantendo, lo spostarsi generazionale della pianta dal versante di una duna a quello successivo. Finché a seguito dell’inattesa, sempre sorprendente fioritura, essa possa finalmente diventare secca per davvero, nella cognizione di aver fatto tutto il necessario per dar seguito alla propria dinastia indivisa.
Che la natura riesca ad adattarsi, mediante la funzione dell’evoluzione, a luoghi tanto estremi non è dunque un concetto capace di suscitare alcun duraturo senso di sorpresa nella collettività moderna. Benché poter vedere, con i propri occhi su Internet, la maniera in cui tali piante si sviluppano nel proprio ambiente naturale sia senz’altro un’occasione rara: con foglie sempre più piccole e grigiastre, mentre i tricomi che catturano l’umidità perdono la loro naturale disposizione pilifera, disponendosi in maniera simile alle scaglie di un rettile, immobile soltanto in quanto ciò può garantirgli maggior propositi di giungere incolume al fondamentale incontro con un partner riproduttivo.
Tali piante, dunque, non potranno rotolare lungo le sconfinate praterie dell’America Settentrionale, come fatto da un altro celebre tipo di creatura vegetale priva di radici (gen. Salsola) ma nelle condizioni giuste, costruiscono una torre a forma di spirale che ricorda, in modo estremamente ragionevole, il ciuffo soprastante l’ananas che amiamo avere sulla tavola. Ogni qualvolta l’occasione si presenta lungo i casi alterni della vita e se soltanto, per qualche migliaio di anni a questa parte, assieme alla nebbia si è potuto fare affidamento sulla pioggia offerta in dono dalle circostanze dell’Universo. Perché del resto, finché si è vivi può resistere la speranza. Ed ogni presupposto eventuale di umida, invincibile sussistenza.