La famosa intagliatrice del legno Gwen Mary Raverat, nipote tra le altre cose di Charles Darwin in persona, dopo essere diventata la più stimata donna membra della Società britannica dedicata a quel mestiere scrisse un lungo testo autobiografico, intitolato Period Piece, dedicato alla propria gioventù trascorsa verso la fine del XIX secolo presso la città di Cambridge, sito storico della famosa Università. Pubblicato qualche anno dopo il termine della seconda guerra mondiale, il testo rappresenta forse una delle più vivide nonché recenti narrazioni del vivere vittoriano e quella società capace di attribuire il massimo valore, tra tutti gli aspetti della vita, alla decenza ed al cosiddetto decoro, un modo di vivere ed interpretare la natura che fosse in ogni circostanza privo d’implicazioni nascoste o presunti doppi sensi. Esempio di cui, risulta essere, la particolare pratica descritta nel racconto e portata avanti da sua zia Etty, che era solita verso la fine dell’autunno attrezzarsi di cestino e bastone appuntito, poco prima di avventurarsi nell’ambiente campagnolo circostante la sua residenza in periferia. Ella quindi, aspirando a pieni polmoni l’aria della foresta, faceva il possibile per seguire il proprio naso ed istinto, prima d’infilzare, uno dopo l’altro, un particolare tipo di funghi maleodoranti. Fatto ritorno al termine di ciascuna escursione presso le proprie stanze,si affrettava a poi a bruciarli tutti quanti, affinché nessuna “timida fanciulla” potesse vederli con i propri occhi e restarne, in qualche modo, turbata.
Così efficacemente ed umoristicamente narrati nel nuovo video del naturalista di YouTube “Ze Frank” i funghi appartenenti alla famiglia delle Phallaceae possiedono almeno una mezza dozzina di caratteristiche capaci di renderli unici al mondo, nonché un aspetto (in taluni casi) che sembrerebbe ricordare alquanto da vicino l’organo genitale maschile. Ed è perciò del tutto prevedibile che, attraverso i secoli e nelle molte culture in qualche modo adiacenti alla loro distribuzione cosmopolita, sia proprio l’apparenza, a dominar la percezione che di essi è stata tramandata. Considerati proprio per questo dei potenti afrodisiaci in Cina, ingredienti preziosi per i filtri d’amore nigeriani e addirittura un dono degli Dei presso l’arcipelago delle Hawaii, in qualche maniera capaci d’indurre l’orgasmo femminile ogni qualvolta vengano (accidentalmente?) annusati, tali esseri falliformi sono in realtà una creazione ben precisa dell’evoluzione, costruita essenzialmente attorno ad una singola, primaria caratteristica: l’incapacità di liberare nel vento le proprie spore, semplicemente troppo grosse, e pesanti, perché possano esserne trasportate. Per comprendere a pieno le implicazioni di un simile distinguo, dunque, sarà a questo punto opportuno ribadire quanto qualche volta, per le ragioni più diverse, potremmo forse tendere a dimenticare: il fatto che quanto noi siamo soliti chiamare “fungo” in realtà, sia soltanto il corpo fruttifero, o riproduttivo, di quanto in realtà vegeta ben al di sotto del livello del terreno, al sicuro da sguardi e fauci indiscrete. Dal che consegue come la necessità di fare affidamento, alla stessa maniera degli a noi più familiari e affini fiori, sull’aiuto degli insetti per “impollinare” luoghi distanti (uso il termine in senso lato, vista la mancanza del bisogno di un/una partner riproduttiva) sia alla base di una serie di distinzioni morfologiche tutt’altro che indifferenti. La prima delle quali, come esemplificato dal nome anglofono di stinkhorn, ovvero letteralmente “corno del fetore”, risulta essere la capacità di ricoprirsi di un particolare muco appiccicoso e maleodorante, chiamato in termini scientifici la gleba. Il cui odore è stato descritto alternativamente come un melange di cadavere o sterco, nient’altro che il tesoro d’ogni mosca, scarabeo, oppur altro volatore dell’insettile circostanza…
Ma ciò che colpisce maggiormente la fantasia, forse ancor più di questo, risulta essere la straordinaria varietà di forme e caratteristiche dimostrate da questi funghi, così efficacemente messa in mostra nel video di Ze Frank. A partire dall’esempio più comune in Europa ed Italia, l’efficacemente denominato Phallus impudicus in latino oggetto del racconto di Raverat, da noi soprannominato satirione per l’evidente affinità penile. Famoso anche, in determinati periodi del suo rapido affioramento che in genere non dura più di una notte o due, con la noméa di “uovo di strega” per la distintiva caratteristica di svilupparsi a partire da una sacca di forma ellissoidale che ha nome di volva, da cui scaturisce per l’appunto il gambo ed a seguire, l’affusolato pileo (cappello). E potrebbe a tal proposito sembrare assurdo, benché ciò succeda realmente, che in talune ricette dei paesi circostanti l’Inghilterra una simile creazione vegetativa venga effettivamente colta e cucinata, nonostante l’orribile odore, vantando un gusto a quanto pare stranamente “simile alla nocciola”. Tale forma relativamente familiare, d’altra parte, non è che un singolo esempio della straordinaria varietà esibita dai funghi appartenenti alla famiglia delle Phallaceae, tra cui figura ad esempio in ambiente altrettanto europeo il Mutinus caninus, la cui forma ancor più affusolata e longiforme finisce per ricordare l’organo sessuale, per l’appunto, di un cane. Ma le cose iniziano a farsi veramente interessanti con il Phallus indusiatus, appartenente invece ai climi per lo più tropicali (Africa ed Asia) in cui la testa del “fallo” è solita, nel momento all’apice della fioritura, liberare una sorta di rete discendente e candida considerata simile al velo di una sposa o in Giappone il tradizionale cappello velato kinugasa (da cui kinugasa-take) in grado di contribuire con enfasi all’osceno spettacolo olfattivo del fungo, considerato ancora una volta un potente afrodisiaco, spesso utilizzato nella medicina tradizionale. Mentre il Clathrus ruber o C. cancellatus, sorprendentemente comune nei paesi nordici, viene soprannominato “cuore di strega” data la forma simile a un icosaedro troncato, dove la somiglianza fallica sembrerebbe aver lasciato il posto ad una rappresentazione uscita in modo particolarmente diretto dall’empireo delle forme e delle idee direttamente dai testi filosofici del buon vecchio Platone. Neppur tale mistica occorrenza, tuttavia, capace di rivaleggiare per stranezza dinnanzi all’aspetto dell’australiano Aseroe rubra o fungo-attinia, così volgarmente definito per l’evidente somiglianza all’omonimo animale marino, ovvero il pomodoro o cetriolo di mare, coi suoi tentacoli a raggiera che s’irradiano da un punto centrale, che in questo particolare caso non nasconde alcuna bocca spalancata e pronta a ingurgitare le sue prede. Benché sarebbe alquanto comprensibile, e difficile da ridicolizzare, l’istintiva presunzione dell’esatto contrario!
Molte forme e molti aspetti, nell’evidente riconferma di quanto forse, in linea di principio, avevamo lungamente sospettato: che alla Natura non importa affatto di quello che le sue creazioni, possano in qualche vagheggiante modo giungere a suggestionare. Percorrendo con la sua creatività, piuttosto, gli alterni sentieri della funzione che domina la forma. Per tutto quello che in tanti diversi casi, l’una o l’altra escrescenza di un essere vegetativo, possa riuscire a creare.
Capaci, grazie alla loro unicità ecologica, di occupare nicchie precluse agli altri funghi produttori di spore aeree, come le foreste di bambù, le isole di terra tra la lava hawaiana, o le circostanze innaturali di un ambiente urbano, gli stinkhorn appaiono generalmente con rapidità in apparenza mostruosa, riempiendo un intero recesso o giardino nel giro di una singola notte, una volta che il micelio sottostante ha dato inizio ad un ciclo riproduttivo. Spesso malvisti per il proprio odore fetido, benché l’eccezionale pudicità dei vittoriani sia ormai soltanto un distante ricordo, questi funghi dovrebbero tuttavia essere lasciati stare: primo, perché quasi impossibili da eradicare prima del tempo, data la rapida propagazione del loro corpo sotterraneo. E secondo, poiché parti fondamentali di un ciclo ambientale che possa dirsi in pieno stato di salute, capaci d’offrire nutrimento ed occasioni riproduttive a numerose specie d’insetti. Molte delle quali di natura benefica ed irrinunciabile, persino per noi. Ragion per cui, in definitiva, la domanda che dovremmo porci è quella che in tante occasioni, ha costituito il filo conduttore della stessa società umana: è possibile che ciò che è brutto, non debba necessariamente essere anche cattivo? O in altri termini, siamo pronti ad accettare il Diavolo quando le sue intenzioni non risultano essere, in alcun modo, malvagie? La zia Etty avrebbe avuto, in merito, un’idea estremamente precisa. Ma i tempi cambiano e con essi, le insistenti, sempre umane persuasioni…