Di certo avrete già sentito il detto universalmente valido: “Sei quello che mangi”. Ma difficilmente avreste mai pensato di associarlo, in senso tanto letterale, a un piatto d’insalata… Se voi foste, in questo preciso momento, sotto il tetto umido della giungla della Malesia, spostereste a un certo punto il vostro sguardo verso l’alto. Soltanto per scorgere, come un lieve movimento ai margini del campo visivo, un piccolo corpuscolo marrone che precipita verso il terreno. Forse un seme, forse frass, tipica deiezione degli insetti erbivori, costituita dalle foglie masticate e semi-digerite all’interno di quel piccolo condotto digerente? Oppure lo speciale recipiente, come si trattasse di una capsula spaziale, di colui che giunto al culmine di un tale stratum, non può fare a meno di dimenticare ciò che è stato responsabile per la sua crescita iniziale: il duro, distante, quanto mai spietato suolo. Phyllium giganteum è il nome scientifico di quell’inusitata creatura, considerata tra le maggiormente rappresentative di un’intero ordine di fantasmi, che solo in pochi hanno provato l’emozione di vedere, all’interno dello specifico habitat di provenienza. Per lo meno, riconoscendola per ciò che veramente è: già! Stiamo parlando, dopo tutto, di un’artropode dalla lunghezza di 11-13 cm (se di sesso femminile) e largo fino a 6, nel punto piatto del suo addome frastagliato. Seghettato, dentellato, addirittura morsicato all’apparenza, per sembrare esattamente quel che maggiormente può servire a esonerarlo dal pericolo dei predatori: figlio della foglia, e foglia prima di ogni cosa. Segno sopra il foglio, di una pagina che può passare inosservata.
Naturalmente, per il più grande insetto foglia al mondo, non c’è una singola ragione al mondo per cui i propri figli non dovrebbero nascere già dotati della sua unica arma e straordinaria strategia di difesa, il mimetismo. Eppur non sempre, ciò che è conveniente risulta essere anche possibile, ragion per cui i piccoli nati dall’incontro possibile, ma non obbligatorio tra i due sessi (molti fasmidi praticano la partenogenesi facoltativa, ovvero l’autoclonazione femminile) vengono letteralmente espulsi in maniera relativamente infrequente, circa ogni 3-4 giorni, ma continua per l’intero anno. Finché al termine di un simile periodo, sotto l’albero di acacia o di melone che li ospita, si accumulano fino 400 di queste letterali pillole della vita, del tutto simili alla forma potenziale di un futuro arbusto equivalente. Almeno fino a che… Cadendo nella trappola creata dall’evoluzione, qualche inconsapevole formica non passi casualmente da quelle parti, decidendo subito di aggiungere simili oggetti alla dispensa della sua colonia. Ed è proprio allora, in mezzo all’esultanza delle moltitudini, che inizia il più importante tra i capitoli di questa storia. Poiché per 4-6 mesi, totalmente impervio ad ogni tentativo di violarne il guscio, l’uovo d’insetto foglia rimarrà sopìto nella più profonda delle stanze sotterranee. Finché un giorno prefissato, aprendo dall’interno la speciale botola biologica (opercolo) di un tale carro armato, farà proprio zampettante ingresso nel consorzio dei viventi. Con l’aspetto totalmente indistinguibile… Non certo dalla madre.
Oppur dall’eventuale padre, rispetto cui risulta, d’altra parte, avere meno di un centesimo di stazza. Bensì l’imenottero padrone di quel mondo, mirmecologico percorritore delle oscure sale: la formica. Davvero conveniente, nevvero?
Non c’è un grammo di malizia, d’altra parte, nell’inganno maggiore che viene perpetrato nelle prime ore o giorni della vita del P. giganteum, mentre quest’ultimo percorre, non visto e indisturbato, i confini più remoti dell’inconsapevole micro-mondo. Egli non è parassita, ne tanto meno carnivoro, bensì un visitatore di passaggio, in cerca del coraggio necessario a irrompere, con tracotanza, verso i pericolosi strati inferiori del sottobosco. Poiché è quello che segue, sostanzialmente, nella vita di una foglia deambulante, il momento più rischioso della propria vita, in cui sfruttando un mimetismo ancora imperfetto, dovrà vivere d’avanzi fino al raggiungimento della prima muta. Quel processo liberatorio ed estatico, durante cui dovrà riuscire a liberarsi del proprio stesso esoscheletro, lasciando il posto ad una forma sottostante che potrebbe rivelarsi, agli occhi di eventuali osservatori, come straordinaria ed inaspettata. E così via a seguire, per le successive 6 mute nel giro di ulteriori 6 mesi, entro i quali continuerà a cambiare, diventando sempre più verde e nel contempo, simile alla foglia da cui prende il nome. Un’illusione, questa, portata fino alle sue più estreme conseguenze, con tanto di venature sul dorso, margini ingialliti per l’effetto dell’autunno e addirittura il segno d’evidenti morsicature, apportate potenzialmente dai membri della sua stessa specie. Con un effetto talmente convincente, nel suo complesso, che Patrick Lee della California Academy of Sciences, responsabile di uno dei siti di allevamento in cattività di maggior importanza di queste creature, narra di come occorra spesso mantenere gli esemplari adulti in spazi attentamente separati, pena il letterale cannibalismo “accidentale” dei propri simili e compagni di esistenza sventurata. Prima che ciò possa anche soltanto rischiare di avvenire tuttavia, in natura, l’insetto foglia dovrà prima guadagnare nuovamente la cima dell’albero. Il che richiede un approccio, per così dire, particolare, visto e considerato come le foglie, nella maggior parte dei casi almeno, non siano in grado di camminare facendo esclusivo affidamento sulle proprie capacità inerenti. Ecco allora l’intrigante recita, perfezionata dall’insetto lungo il corso d’incalcolabili generazioni: come una danza oscillante, simile a quella delle mantidi ma ancor più lenta e ripetitiva, mirante a riprodurre in modo istantaneamente riconoscibile l’effetto tipico di un oggetto piatto e leggero, trasportato innanzi dal vento. Due passi avanti ed uno indietro, quattro in un senso e due nell’altro lungo il senso della ruvida corteccia verticale. Certo: riesce facile immaginare infiniti metodi maggiormente efficienti per portare a termine quel tipo di spostamenti. Ma di tutto ciò, al Phyllium, non importa nulla: dopo tutto una volta raggiunto un luogo sufficientemente elevato, egli cesserà del tutto di muoversi, restando virtualmente immobile per il resto della propria esistenza di adulto. Facendo esclusivo affidamento sulla vista piuttosto efficiente (le antenne, invece, sono relativamente corte) al fine di gettarsi a terra qualora stesse rischiando d’essere scoperto. Ma si tratta di un’eventualità rara.
Non più di 7 mesi, trascorsi a brucare agevolmente il corpo della pianta, con effetti di natura ecologica non propriamente benigna. E senza che nessuno, a meno d’incidenti “fortunati” possa anche soltanto sognare di trovarlo sulla punta del proprio becco, bocca o scimmiesca mano in cerca di un rapido snack dal ricco contenuto di proteine.
Creature che nel tentativo di passare inosservate, alla fine, finiscono per diventare tra le più apprezzate e stimate dell’intero consorzio globale. Per lo meno, dal nostro punto di vista umano, d’individui curiosi e attenti al particolare, ancor più di quanto la natura, in se stessa, avrebbe mai potuto pensare di prevedere. Oggi apprezzato per il proprio aspetto stravagante e catturato, a tal fine, in copiose quantità da inserire in molti dei terrari alla ricerca di un “pezzo forte” eventualmente capace di dare i natali a una lunga e ininterrotta dinastia, questo membro dell’ordine altamente mimetico dei Phasmatodea (termine la cui origine etimologica, ritengo, sia fin troppo chiara) si trova in una posizione al tempo stesso inviabile, nonché innegabilmente problematica.
Ciononostante, il prelievo per la vendita di questi insetti è ancora ben lontano dal poter porre ostacoli alla loro continuativa esistenza tra le tenebre selettive delle giungle d’Oriente. Semplicemente troppo prolifico risulta essere nel suo ciclo vitale, come del resto, tanti altri appartenenti allo stesso universo sotto-dimensionato. Benché proprio un suo lontano cugino, l’insetto stecco dell’isola di Howe (Dryococelus australis) risulti l’involontario protagonista di uno dei più eclatanti casi di rischio critico d’estinzione tra gli artropodi (vedi precedente articolo). E non bisognerebbe mai sottovalutare i danni che possono provenire, talvolta, dalle infinite generazioni di un illimitato desiderio di Possedere…