I due villaggi iraniani scavati nel tufo di un antico vulcano

Vivere all’interno di una grotta presentava, per l’uomo primitivo, alcuni significativi vantaggi: protezione dalla pioggia, dal freddo ed altri tipi d’intemperie. Un luogo sicuro in cui custodire il cibo. La certezza di non essere aggredito nottetempo dai predatori e così via a seguire. Caso vuole che ancora in epoca medievale, tuttavia, ci fosse più di un’ottima ragione per scegliere un simile stile di vita; la maggiore delle quali, senza il benché minimo dubbio, era l’opportunità di soggiornare via dagli occhi e dal pericolo implicato da determinate circostanze. Vedi quella, certamente problematica, di un’intero paese appeso al filo di un trattato di pace stipulato con il vecchio Genghis Khan. Secondo lo storico Juzjani, firmato con le più ottime intenzioni dallo shah persiano Ala ad-Din Muhammad II, se non che la fame di conquiste e di saccheggi del popolo mongolo l’avrebbe inevitabilmente portato, nel 1219, in rotta di conflitto con l’impero di Khwarezmia, principale dinastia sunnita di origine mamelucca, centrata grossomodo sull’odierna provincia dell’Azerbaigian Orientale. Le cui genti di un contesto rurale, ancor prima dell’esercito e gli abitanti delle grandi città, avrebbero ben presto risentito delle circostanze di dover nutrire, loro malgrado, le sconfinate orde intente a condurre una campagna militare sulla loro stessa terra natìa. Un contesto in grado di giustificare, certamente, il gesto estremo delle genti di Hilevar, villaggio situato a circa 40 Km dalla capitale Tabriz, che alle prime avvisaglie del pericolo, demolirono ogni struttura a livello della strada, trasferendosi completamente nelle caverne sotterranee, residui geologiche di precedenti eruzioni del massiccio stratovulcano di Sahand. Ma vuole il caso che un segreto dura solo quanto la capacità collettiva di mantenerlo, così che i saccheggiatori, a un certo quanto indefinito punto della storia, avrebbero costretto i contadini a ritirarsi ancor più in alto sopra le pendici di una terra tanto impercorribile, ove i loro fidi cavalli non avrebbero mai potuto galoppare. Portandoli a riscoprire ed insediarsi in un complesso sotterraneo d’epoca preistorica, destinato a ritornare noto, dopo il termine di quel conflitto, con il nome di Kandovan.
Ora Kandovan significa, in lingua farsi, “alveare” e non certo difficile capire la scelta di una simile metafora. Dato l’aspetto assolutamente unico di questo centro abitato, oggi un’attrazione turistica di peso per la regione di Osku, concettualmente non dissimile dalla terra mistica di una qualche comunità d’elfi o nani dei racconti fantastici contemporanei: con letterali centinaia di persone (alcune guide affermano siano più di 600) ormai da molte generazioni abituate a vivere all’interno delle naturali strutture rocciose frutto, in egual misura, di eruzioni laviche e l’implacabile processo scultoreo degli elementi. Chiamate, per l’appunto, camini delle fate o per antonomasia Hodoo…

Il nome di Hilevar deriva da un’espressione contratta che parrebbe significare “villaggio furbo” per la maniera in cui esso avrebbe dovuto passare inosservato da parte d’eventuali intenzionati. Un destino che, purtroppo, sarebbe venuto meno nel momento estremo della verità.

I due villaggi di Hilevar e Kandovan potrebbero in effetti ricordare, nel loro aspetto e funzionalità complessivi, taluni insediamenti trogloditi tipici della regione turca confinante della Cappadocia, benché nel caso del secondo il fatto stesso di essere ancora abitato risulti essere una caratteristica decisamente fuori dal comune. Qualità, quest’ultima, senz’altro derivante dal livello di comfort ed usabilità dei suddetti rifugi, capaci di garantire una qualità di vita del tutto comparabile a quella di moderne abitazioni, fatta eccezione per alcuni aspetti di assoluta “trascurabile” entità. Il primo aspetto notevole, in tal senso, dei camini delle fate o hodoo (chiamati localmente kvan) risulta essere proprio la loro forma a punta, conseguenza dell’antica suddivisione stratigrafica tra lava riolitica solidificata e pietra più friabile di tufo, lasciata scoperta dal defluire di un antico bacino idrico e successivamente erosa dalla pioggia e dal vento. Capace di permettergli, essenzialmente, d’essere svuotati dall’opera di esperti scalpellini, non priva di caratteristiche decisamente utili quali finestre o (letterali, questa volta) camini. Lo spessore esterno di un simile materiale, inoltre, risulta essere generalmente sufficiente a garantire un’isolamento termico davvero invidiabile, particolarmente utile in una terra dal clima tanto imprevedibile come l’Azerbagian Orientale. La tipica abitazione di Kandovan presenta, dunque, esattamente tre ambienti: un ingresso o foyer, seguito da una zona living ed ancor più in profondità, la stanza da letto, dal soffitto in genere più basso e il pavimento ricoperto da un folto tappeto del genere kilim. L’accesso, nel frattempo, viene garantito da lunghe scale ricavate nella roccia, al termine delle quali sono situate delle porte in legno non più alte 1,50/70 cm. In taluni casi, le singole unità abitative possono essere comunicanti tra di loro mediante l’impiego di rampe infisse nel fianco lato di ciascun cono di pietra, benché non sia presente alcun tipo di tunnel sotterraneo comunicante. Nelle case di maggior pregio, è presente persino una balconata, infissa direttamente negli strati esterni del tufo di ciascun hodoo.
Per quanto concerne i bagni, invece, la questione tende a farsi decisamente più complicata: essendo privo di un sistema fognario moderno, il villaggio di Kandovan si affida a una serie di strutture condivise tra più famiglie, ciascuna suddivisa su due piani e concepita essenzialmente come un’antica latrina. Benché sia ragionevole pensare che oggi, dato il continuativo utilizzo di tali anacronismi funzionali, i rispettivi livelli inferiori siano stati trasformato in un gabinetto chimico, piuttosto che l’antico cumulo di composta per concimare i campi. Per quanto concerne invece l’irrigazione di questi ultimi, così come l’acqua da bere, questa intera regione non ha mai presentato problemi particolari. Causa la presenza d’ingenti fiumi e torrenti, frutto delle frequenti precipitazioni, che s’irradiano dai laghi montani nei dintorni del Sahand.

Oltre la porta di un mondo potenzialmente inesplorato, forme familiari e un lenzuolo matrimoniale a quadri: sarebbe stato in effetti davvero poco ospitale, costringere il visitatore a dormire direttamente sul tappeto.

Allo stato attuale dei fatti, dunque, il popolo di Kandovan continua a praticare le antiche usanze e vivere in totale ed apparente distacco da molte delle comodità del mondo moderno, preferendo ad esse i ritmi di un approccio all’esistenza ormai eccezionalmente distintivo, per lo più dimenticato. Ciononostante, un certo accrescimento del benessere collettivo è stato concesso in epoca contemporanea dall’alta visibilità turistica di questo luogo, portando anche alla costruzione di un vero e proprio hotel, scavato anch’esso nella roccia, oltre a negozi di souvenir, ristoranti e le altre “trappole” tipiche dei luoghi che sono al tempo stesso costantemente abitati, e stagionalmente visitate dalle nuove orde dei mongoli invasori.
Ma per quanto ci è dato comprendere, non è (ancora) il turismo ad aver rovinato in alcun modo un tale baluardo d’epoche distanti. Bensì, almeno in potenza, la comprensibile necessità degli abitanti di disporre di ulteriori spazi vitali, per le provviste, gli animali e le altre ingombranti derivazioni di un benessere economico precedentemente insperato; portando alla costruzione, tutt’altro che attraente, di una “nuova area” del villaggio, dotata di edifici squadrati e rustici, che ben poco si confondono con la fluida architettura naturale degli antichi quartieri. Perché come si dice: un’usanza conservata e la ricchezza più preziosa che un paese possa possedere… Ma nulla può realmente rimanere immutato, attraverso il transito delle infinite generazioni. Ed anche tale aspetto, in ultima analisi, costituisce parte del tenore autentico di un luogo come il villaggio, tutt’ora abitato per ciascun singolo mese dell’anno, di Kandovan.

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