L’effetto scenografico di un palazzo dal sipario rotante

La cosa più difficile, per un museo, è convincere la gente di passaggio a varcare e il proprio ingresso principale, per venire a conoscere e fruire dell’arte esposta al suo interno. Perché un conto è spendere una parte del proprio budget per creare campagne pubblicitarie, finalizzate ad attrarre l’attenzione di coloro che comunque, nella maggior parte dei casi, avrebbero visitato l’ultima mostra del proprio campo dello scibile preferito. Tutt’altra cosa, allargare il giro dei propri ospiti occasionali, grazie a una qualità innata che potremmo paragonare all’avvenenza o il fascino di un individuo umano. Questione affrontata, storicamente e tradizionalmente, da molti edifici d’interesse pubblico mediante l’utilizzo di elementi decorativi della facciata, grandi vetrate che lasciano intravedere l’interno, magari persino personaggi incaricati d’attirare l’attenzione dei passanti, trasmettendo a pieni polmoni l’interesse potenziale del quibus collocato all’interno. Ciò detto vuole il caso che nel mondo attuale, molti di questi metodi abbiano ormai perso parte della propria efficacia. Dinnanzi al continuo bombardamento delle immagini, concetti e suoni di un’odierno agglomerato urbano: come potrebbe risultare ancora possibile, dunque, riuscire ad emergere dal maelstrom dell’irrilevanza? L’architetto e designer di fama internazionale Thomas Heatherwick, lavorando assieme ai colleghi della Foster & Partners di Londra per l’ammodernamento di un intero lotto lungo il principale fiume cittadino di Shanghai, ha dimostrato all’inizio del 2019 un differente approccio a questo annoso problema: rendendo il Fosun Art Center stesso, coi suoi tre piani di surreale magnificenza, protagonista indiscusso della sua storia. “Sua” intesa come quella fatta comparire, dinnanzi allo sguardo dei succitati osservatori d’occasione, mediante l’esecuzione ogni due ore di un particolare e inconfondibile spettacolo; quello offerto da una serie di elementi tubolari bronzei, simili a canne di bambù ma anche ai componenti invertiti di un gigantesco organo da chiesa, indotti a ruotare lungo una rotaia tutto attorno all’edificio, durante l’esecuzione a volume perfettamente udibile dalla strada di un qualche tipo di canzone o melodia a tema. Il che ottiene una serie di effetti altamente desiderabili, a partire da quello garantito dall’inclinazione diseguale di una simile cortina, capace di agire in tal senso come una sorta di sipario teatrale o velo degno di un prestigiatore, che ora mostra, ora nasconde, quanto è situato dietro la sua stessa verticale presenza.
L’analogia perseguita, dunque, risulta principalmente essere quella del palcoscenico di una vera e propria rappresentazione, osservato per un tempo superiore ad Uno da coloro che non sembrano aver di meglio da fare, nella speranza spesso ricompensata che qualcosa di Magnifico possa riuscire a palesarsi dinnanzi alle proprie palpebre rigorosamente ed immutabilmente sollevate. Ma c’è anche una ricerca estetica, nei frequenti momenti statici dell’edificio, di voler sembrare un qualcosa di evidentemente ed innegabilmente Cinese, come una corona o il copricapo tradizionale dell’Imperatore Celeste, le cui nappe ricadevano enigmatiche dinnanzi all’inconoscibile viso. Affinché soltanto chi ne fosse realmente degno, in forza di un sincero desiderio di acquisire tale conoscenza, potesse realmente dire di aver conosciuto l’uomo dietro quell’ubiquo paravento…

Ulteriore elemento cromatico è offerto dalla parte interna delle canne d’organo, colorata di un appariscente tonalità vermiglia. Il che contribuisce a donare all’edificio un’aspetto conforme alla passione, tipicamente asiatica, per i colori in grado di creare un maggior contrasto.

Un mistero, ad ogni modo, subito svelato in seguito all’inaugurazione dello scorso gennaio, forse l’evento più atteso nel completo processo di rinnovamento del Bund Financial District, nuovo polo dall’alta permeabilità pedonale lungo il cosiddetto Wàitān (外灘) probabilmente la singola via più importante dell’intera seconda metropoli più vasta al mondo (27 milioni di abitanti). Grosso modo corrispondente alla riva sinistra del fiume Haitan, situata nel punto esatto in cui la zona storica della città lascia il posto ai palazzi iper-futuribili del quartiere degli affari di Pudong, ove ha sede tra le altre cose la Shanghai Tower di 632 metri, il più alto grattacielo al mondo dopo l’inarrivabile Burj di Dubai. Collocazione di raccordo, dunque, tra il mondo che esisteva e quello che ha giusto iniziato a palesarsi, assumendo un ruolo di vera e propria porta di passaggio tra simili visioni contrapposte, assunto con eguale senso di responsabilità dai due studi inglesi coinvolti e la direzione del Fosun Center stesso, parte di un’entità facente parte del grande conglomerato omonimo, attivo in campo farmaceutico ed altrove, con lo scopo di favorire la diffusione della cultura contemporanea dell’arte. Così che le precise proporzioni degli uffici, le torri residenziali ed il museo/centro per le rappresentazioni stesso sono state attentamente calibrate per uniformarsi allo skyline pre-esistente, diventando parte uniforme di una realtà scorrevole ed ininterrotta, mentre i contenuti stessi dei suoi primi mesi di mostre ed esposizioni, secondo quanto raccontato dalla stessa direttrice artistica Wang Jinyuan, sono stati scelti per la loro capacità d’interessare il pubblico in maniera diretta ed immediata, come opere di concezione moderna e forte intento comunicativo. A partire dall’opera d’arte permanente dell’artista giapponese Tatsuo Miyajima, Counter Sky Garden, collocata sul tetto panoramico dell’edificio. Attraverso cui i visitatori, prima di mettersi a guardare lo spettacolo notevole dei grattacieli che si riflettono nel fiume, si troveranno innanzi ad una serie di 300 schermi luminosi al LED integrati nel pavimento stesso, ciascuno contenente una sequenza di cifre dall’1 al 9 (talvolta un conto alla rovescia, certe altre l’esatto opposto) che si ripete infinitamente a un ritmo diverso da quello degli altri. Per evidenziare l’innata soggettività dello scorrere del tempo, secondo quanto annotato ed attentamente tradotto nell’installazione grazie al contributo di altrettanti abitanti della città sottostante.
Dal punto di vista strutturale, nel frattempo, il Fosun Art Center riesce a sembrare molto più grande dei suoi soli tre piani visibili e due sotterranei, grazie alla colorazione dalla notevole tinta riflettente dorata, che s’interrompe solamente in corrispondenza di una singola apertura nella sopra descritta cortina rotante. Da dietro la quale, i visitatori potranno passeggiare lungo l’intero primo piano dell’edificio, anch’esso riservato almeno in parte all’osservazione del panorama. Mentre osservando la struttura dall’esterno verso l’interno, ciò che resterà maggiormente impressa è l’attenzione con cui Heaterwick ed il suo team hanno fatto decorare con linee intrecciate da maestranze ed artigiani locali soltanto la parte inferiore delle “canne” mentre man mano che ci si sposta verso l’alto, esse diventino per lo più lisce e prive di tratti ulteriori di distinzione. Ciò al fine di aumentarne la percezione innata di leggiadrìa, dando un senso quasi evanescente alla struttura, che sembrerà in tal modo fluttuare al di sopra di un’incorporea ed intangibile nube.

Se osservato con il giusto contesto e preparazione culturale, il Fosun Art Center cessa di essere uno sfrenato e futuribile edificio. Arrivando ad incarnare, nella sua stessa composizione estetica, la coerente trasposizione di valori estetici pregressi e privi di una reale data di scadenza.

Thomas Heaterwick, definito nel 2018 dal quotidiano New Yorker “Probabilmente la persona più creativa al mondo” non è del resto nuovo a simili artifici visuali, come esemplificato dalla sua ricca produzione pregressa all’età di “soli” 49 anni. Ovvero quando un architetto o designer che dir si voglia (non c’è nessuna laurea specialistica nel suo CV) generalmente, sta appena iniziando a riconoscere i punti forti del proprio stile. Definizione, quest’ultima, che gli è del resto andata sempre stretta, dati gli evidenti legami del suo metodo col mondo dell’arte, sia questa progettuale piuttosto che formalmente parte delle rilevanti correnti del post-moderno: vedi, tanto per fare qualche esempio, il padiglione dell’Inghilterra allo Shanghai Expo del 2010, composto da infinite “punte” simili agli aculei di un riccio di mare, ciascuna ospitante un singolo seme della banca vegetale degli orti di Kew. O il “calderone” delle Olimpiadi del 2012 di Londra, composta dalla lunga serie di torce trasportate da ciascun tedoforo dei diversi paesi, prima di essere smontata la termine della cerimonia che concluse i giochi e le competizioni sportive.
Ma forse, il Fosun Center ricorda maggiormente, con questo doppio ruolo al tempo stesso dinamico ed immoto, la sua recente e più discussa opera newyorkese di The Vessel, l’inusuale alveare traforato di scale oblique intrecciate l’un l’altra, finalizzata a far incontrare e passeggiare i moderni rappresentanti di una specie umana che fondamentalmente, ad oggi, non sembra più avere molta voglia di mettersi in discussione.
Così come esemplificato dalla sua famosa e sempre rilevante citazione sull’architettura moderna: “La bellezza è per la mente, mentre il comfort, per il fondoschiena (bum: sedere). Ma il mondo è governato dalle nostri menti e non dai nostri sederi.” Fatta eccezione per il caso in cui dovessimo trovarci a sostare su una panchina a bordo strada. Nell’impaziente attesa che uno sfolgorante palazzo ricominci, quanto prima, a danzare.

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