La notevole complessità logistica del primo poster della storia

Il silenzio cala tra i restauratori del museo Metropolitan di New York, mentre l’ultimo dei 36 grandi fogli di carta dall’età incerta finisce di essere affiancato agli altri sul freddo pavimento della sala: 192 xilografie in totale, per un’estensione complessiva di circa 3 x 3,5 metri. Molto lentamente, ciascuno dei presenti viene a patto con l’idea surreale, persino impossibile, che la propria istituzione possa aver tenuto sotto chiave e rigorosamente lontano dallo sguardo dei visitatori, per molti e troppi anni, uno degli oggetti più notevoli della sua intera collezione: una copia in stato ragionevolmente buono di conservazione dell’Arco Trionfale di Massimiliano I d’Austria, “costruito” o per meglio dire inciso sopra il legno, e quindi trasferito con l’inchiostro, sotto la direzione di nientemeno che Albrecht Dürer, forse il più importante pittore, comunicatore ed inventore dell’intera Germania rinascimentale. Con un sorriso incredulo, l’archivista capo porta pensierosamente la sua mano destra sotto il mento. Quindi afferma sottovoce, contemplando gli strappi, i buchi e i graffi sopra il preziosissimo reperto: “A questo punto c’è soltanto una persona che potrà aiutarci…”
É strano ritornare con la mente a un mondo che nei fatti risultava essere, per un buon 99,8% della sua popolazione umana, del tutto privo di libri. Fuori dalle case dei potenti e le strutture ecclesiastiche, o i magazzini dei mercanti maggiormente facoltosi, dove la parola scritta risultava poco più che un mito, al di fuori del suo impiego maggiormente pratico e immanente: calendari scritti a mano, appunti di cucina, qualche breve cronaca familiare. Eppure proprio questa era la situazione all’inizio del XV secolo in Europa, quando ancora e nonostante i significativi progressi compiuti nella creazione e diffusione di una cultura in grado di espandersi verso l’ampio ventaglio dei possibili status sociali, il semplice gesto necessario di copiare un intero testo, parola dopo singola parola, continuava a richiedere un dispendio d’energie e di tempo pari, o superiore, a quello per costruire una cappella in legno per scontare l’intero cursus dei propri peccati terreno. Immaginate perciò adesso, al volgere di un tale secolo, l’effetto che potrebbe aver avuto l’invenzione di un certo Johannes Gensfleisch della corte di Gutenberg, non lontano da Magonza, capace di tradurre in un processo industriale riproducibile l’arte fino a quel momento per lo più teorica della pressa da stampa. Metodo che avrebbe reso, nel giro di poche decadi, l’apprendimento della verbo scritto non più solo uno strumento per semplificarsi le giornate, bensì la porta per accedere a diverse vette di una saggezza per la prima volta democratica, ovvero in grado di trascendere mere considerazioni sulla propria schiatta o dotazione finanziaria.
Ed è perciò questo lo scenario all’interno del quale, esattamente 8 anni dopo il fatidico 1500, l’arciduca d’Austria nonché unico erede del ramo principale della grande dinastia degli Asburgo, sarebbe salito al trono del Sacro Romano Impero, succedendo infine a suo padre, Federico III. E tutti avevano già concordato, fin dalla sua giovane età, sul fatto che Massimiliano I d’Austria, anche detto il Wunderkind (letteralmente, bambino prodigio) non poteva essere più diverso dal suo insigne genitore: orgoglioso dove il primo era modesto, enfatico piuttosto che sobrio, amante dei duelli, le grandi battaglie storiche, la vita semi-mitica dei condottieri. Fino al matrimonio con l’amata moglie Maria, figlia del duca di Borgogna, che perendo sfortunatamente nel 1482 per un incidente d’equitazione, l’avrebbe lasciato con due figli e il dominio frammentato che era stato del padre di lei, arduo da gestire senza la esserne l’Imperatore, di nome, nell’immagine e nei fatti. Una terra che sopra ogni altra cosa, languiva in significative difficoltà economiche, situazione che avrebbe continuato a sussistere anche in seguito, dopo l’accesso alla carica concessagli per convenzione ereditaria di supremo sire dei Romani. In quale modo, dunque, un uomo simile avrebbe potuto ritrovare quel prestigio che era stato, in origine, associato a simili figure sopra i margini del foglio sopra cui tracciamo la linea segmentata della storia?

Ci sono ben poche creazioni, nel primo secolo della stampa, che possano rivaleggiare con l’uso di quel mezzo fatto da Dürer, forse il miglior traduttore degli approcci pittorici nel mondo nuovo delle presse incise e quindi imbevute d’inchiostro ed ogni volta che un’istituzione di prestigio, come in questo caso l’Istituto d’Arte di Minneapolis, si approccia ad uno dei suoi lavori, è difficile contare i superlativi.

Una domanda verso cui egli era destinato a rispondere, come oggi ben sappiamo, in un modo che potremmo definire “virtuale”. Ovvero quello che i suoi ispiratori avevano fatto costruire con il candido marmo, egli l’avrebbe fatto riprodurre sulla carta, superando gli stringenti limiti dell’architettura soggetta al peso dei suoi stessi ponderosi componenti materiali. Era dunque il 1512 quando l’imperatore Massimiliano, durante una sua visita presso la città di Norimberga, ebbe modo di conoscere Albrecht Dürer, già artista di larga fama grazie ai suoi dipinti, ma soprattutto la capacità notevole di trasferire le sue immagini migliori sopra matrici di legno legno, e imbevendo quest’ultimo con dell’inchiostro, riprodurle in quantità spropositate. Metodo ed iniziativa senz’altro non inusitati all’epoca, eppur qui messi in pratica, per la prima volta, con una maestria e il controllo dei chiaroscuri, della composizione e della prospettiva totalmente ignoti a una categoria professionale tanto nuova e pionieristica. E fu per questo proprio allora, a quanto possiamo immaginare, che il notoriamente volubile Imperatore concepì la propria idea più totalmente priva di precedenti: far costruire un arco di Trionfo sul modello dell’Antica Roma, eppure totalmente diverso da qualsiasi altro il mondo avesse avuto l’occasione di vedere prima di allora. Ovvero che fosse costruito in nient’altro che inchiostro, e carta. Ciò s’inseriva essenzialmente nella logica di un nuovo stile di propaganda, da lui già largamente intrapreso attraverso la stesura di non uno bensì DUE poemi sulle vicende pregresse della propria vita, da stampare in grande quantità e venir distribuiti presso i più importanti potentati d’Europa. Ma c’era un potenziale totalmente inesplorato, nel concepire un diverso tipo di stampa, per la prima volta componibile e dalle dimensioni per così dire monumentali, che gli artisti di ciascuna provincia avrebbero potuto colorare localmente, prima di attaccarla doverosamente alla parete dei propri municipi o basiliche locali, piuttosto che all’interno delle grandi sale dei loro signori.
L’Arco Trionfale di Massimiliano costituisce quindi ad oggi, una delle finestre maggiormente efficaci sulla coscienza artistica di un uomo e la sua intera epoca, profondamente ispirata dall’ammirazione per le cose magnifiche ed antiche. Come illustrato dalla figura di una tale impossibilità architettonica, suddivisa in tre parti, di cui quella centrale dedicata all’ascendenza ereditaria dell’Imperatore, fino a Clodoveo I re dei Franchi e le tre personificazioni geografiche di Francia, Sicambria e Troia. Attorno alle quali si dipanano scene straordinariamente dettagliate di grandi battaglie, episodi della vita del sovrano e dei suoi più celebri predecessori. Il tutto arricchito dalla più variegata e favolosa composizione dei loro stemmi araldici, a più riprese circondata dalle stesse bestie mitologiche facenti parte dei diversi blasoni e sormontato da un’alta cupola con l’iscrizione: ” Questo Arco d’onore coi suoi molti ritratti ha lo scopo d’onorare il Grande Imperatore Eletto della Cristianità, supremo principe […] in memoria del suo notevole regno, la sua gentilezza, la generosità e le conquiste.”

Il British, come tanto spesso capita situato all’apice di questa specifica nicchia del collezionismo museale, ha più volte spostato e restaurato la propria preziosa copia della prima tiratura dell’Arco di Massimiliano, impiegando ogni volta approcci e metodi dalla maggiore precisione procedurale.

Dell’Arco sarebbero state stampate in prima battuta ben 700 copie tra il 1517-18, prima parte di una collaborazione decennale tra l’artista e il sovrano nonché l’unica ad essere completata durante la vita di quest’ultimo, a differenza delle altre due altre opere sovradimensionate commissionate (il suo Grande Triumphwagen, o Carro del Trionfo e l’intera Triumphzug, processione in 130 stampe di una sua fantasiosa vittoria sul modello degli Antichi Romani). Eppure anche in così relativamente grande numero, quella del Metropolitan di New York appare niente meno che eccezionale, data la presenza di alcune correzioni delle parti scritte che bastano a identificarla come una delle poche versioni “di lavoro” giunte integre fino alla nostra epoca distante.
Ragion per cui nel video esplicativo della recente, complicata opera di restauro, viene mostrata la partecipazione la progetto di una figura altamente specializzata come quella di Rachel Mustalish, una delle maggiori restauratrici di quel materiale estremamente vulnerabile, persino evanescente che può giungere talvolta ad essere la carta. Ed è assolutamente affascinante osservare con quale precisione millimetrica ella inizia le abluzioni di fogli tanto preziosi, in speciali soluzioni chimiche finalizzate a rafforzarne le molecole ormai stanche e disidratate di cellulosa. Così come in altri casi, era stato fatto per copie altrettanto delicate di un qualcosa di talmente facile da scomporre nei suoi singoli elementi e mettere all’interno di un magazzino, preservandolo per la posterità futura. Ma ha davvero senso, in fin dei conti, rinunciare ad ammirare quello che è venuto prima, soltanto affinché resti immutabile quello che era? In un’epoca come la nostra, nel corso della quale la parola stampata su carta sembra prossima a tornare nuovamente, per i nuovi avanzamenti della tecnica, un lusso per pochi. Laddove appare veramente troppo semplice, in maniera addirittura preoccupante, “restaurare” ciò che ormai appartiene, unicamente, all’universo Digitale…

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