Vi siete mai davvero interrogati su quale possa essere l’effettivo numero (non biblico) della Bestia? Creatura sanguinaria sputafuoco, il cui aspetto rettiliano relativamente dato per scontato tanto spesso non coincide col suo principale tratto distintivo: la quantità di zampe a disposizione. Quattro più le ali (nel qual caso siamo innanzi al “drago” dei bestiari medievali) piuttosto che due, nella versione più naturalistica e razionale, creata su interpretazione analoga a quella di uno pterodattilo della preistoria. Ma esiste pure il caso di un’asiatica versione, spesso molto saggia e non del tutto priva di benevolenza, la cui propensione ad abitare solamente in cielo porta ad essere del tutto priva di appendici deambulatorie, fatta l’eccezione per due grandi artigli. Il drago cinese o giapponese (stesso carattere 龍, due pronunce: Lóng, Ryu) cui massima espressione del mondo umano, tanto spesso, appaiono essere creature oblunghe che si aggirano nei boschi: scagliosi, linguacciuti e veleniferi serpenti. Oppure perché no, la lor versione artropode del centopiedi vietnamita (Scolopendra subspinipes) non più corto e assai diffuso nell’intero Estremo Oriente. Dopo tutto, nessuna zampa è come averne 666, nevvero?
Bestie che, a differenza dei lor simili sopra le nubi, ben conoscono il segreto della sopravvivenza: nascondersi e tentare di passare inosservate; sotto i rami, sotto siepi e all’ombra delle rocce millenarie. Dallo sguardo di coloro che, sopra ogni altro, riescono a costituire i loro massimi nemici. Becco al posto della spada ed ali aperte come scudi, zampe acuminate rosse come il sangue che non temono di far sgorgare: uccelli d’argento vestuti, Eroi del popolo e della superstizione. Non c’è davvero alcunché di strano, dunque, se ogni popolo sia pronto a riconoscere l’aspetto di un guerriero. Vestendosi e imitando i suoi colori, specie se riconoscibili, sopra ogni altro, per la vivida presenza nello spettro del possibile apparente. Come il corvo tutto nero all’Inghilterra puritana, o il fagiano variopinto al condottiero dell’Italia rinascimentale, così è la gazza, per chi abita sull’isola che aveva un tempo il nome di Formosa ed oggi tutti chiamano, per ricerca di un’analogia fonetica, la nazione indipendente di Taiwan. E sia chiaro che non sto chiamando alla memoria, con quest’ultima particolare affermazione, l’etnia cinese giunta fino a queste coste al termine dell’ultima guerra civile, seguendo il gotha del partito in armi qui esiliato esattamente 70 anni fa. Bensì del popolo aborigeno, il cui nome è Tsou, i cui membri s’insediarono assai prima: tra il XV ed il XVI secolo in prossimità del lago isolano di Riye. I cui costumi tradizionali, tanto stranamente simili a quelli degli “indiani” d’America, erano soliti includere copricapi con le piume prelevate, per l’appunto, dalla lunga coda del loro salvatore divino: la “signora della montagna” (臺灣藍鵲) anche nota come Urocissa caerulea, simile nell’aspetto all’uccello usato nell’opera di Rossini, più o meno quanto può esserlo un supereroe, alla sobria e ragionevole uniforme della polizia contemporanea. Il cui disegno bianco e nero sotto le ali, assieme alle zampe rosse vermiglie che si diceva fossero la conseguenza del fuoco rubato dai cieli, per salvare gli umani da un grande diluvio, crea un contrasto con le piume di un azzurro sfumato che risulta in grado di sfidare l’immaginazione…
Chi si approccia per la prima volta a quel testo topico che seppe essere, per la biologia del XIX secolo e tutta quella successiva, l’Origine della Specie di Charles Darwin, tanto spesso dimentica come una simile vastità di conoscenza sulle infinite varietà e forme di vita non potesse semplicemente essere soltanto il frutto dei viaggi compiuti dal suo autore. Bensì una diretta risultanza della vastità e coesione di un impero entro il quale, per usare un luogo comune “Non tramontava mai il sole”. Così l’Inghilterra vittoriana, assieme alle alterazioni causate nella struttura sociale di numerose culture un tempo indipendenti, seppe conseguire per il bene collettivo un profondo e significativo avanzamento degli studi naturali, particolarmente grazie alla maniera in cui veniva ricompensato chiunque, ed in qualsiasi modo, riuscisse ad accrescere la sempre più ricca collezione dei musei londinesi. Persone come Robert Swinhoe (1836-1877) diplomatico, militare e console di Formosa per professione una volta raggiunto l’apice della carriera, che durante il suo servizio seppe sviluppare anche una passione duratura per la biologia. Tanto che ben 15 tra mammiferi ed uccelli, oltre a 4 rettili, oggi portano il suo nome di scopritore… Ma NON questo. La gazza da lui conosciuta grazie alle testimonianze dei nativi, quindi catturata e messa sotto formalina, che avrebbe presentato in tarda età, una tornato in patria causa della sua salute cagionevole, a niente meno che il pittore d’animali e e membro della corte John Gould. Tramite il quale, come progressione inevitabile, sarebbe entrata a far parte del grande repertorio della tassonomia moderna, ma con il semplice nome del suo paese di provenienza.
Detto ciò non c’è davvero niente di ordinario in quella che oggi chiamano la gazza di Taiwan, abbastanza comune da costituire una visione familiare attorno ai cassonetti e alle discariche del consorzio umano. Creatura onnivora e non certo timida, capace di attaccare e uccidere qualsiasi artropode corazzato o serpente di grandezza ragionevole, per mangiare o per difendere la sua beneamata prole. Fino ad otto piccoli generalmente, diretta risultanza di una stagione d’accoppiamenti che va da maggio a giugno, durante la quale i gruppi gregari degli uccelli si dividono in coppie riproduttive, prima di organizzarsi nella creazione di solidi nidi a forma di bacinella situati sui rami mediani degli alberi. Segnale molto noto agli abitanti dell’isola, come inizio di un calvario a cadenza annuale, causa la tendenza (fin troppo nota anche in terra d’Australia) degli uccelli appartenenti al genere Urocissa d’attaccare con ferocia chiunque faccia il proprio ingresso accidentale nel proprio territorio. Il che include pedoni, ciclisti, motociclisti e chi più ne immagina… Arrivando a costituire un problema significativo per l’essenziale movimento quotidiano del pendolarismo urbano.
Ciò detto, pressoché nessuno a Taiwan farebbe nulla per infastidire questi uccelli, oggi un importante simbolo nazionale protetto dalle norme civili e celebrato, in vari modi, dalla cultura locale. Da quando nel 2007 venne nominato in via quasi-ufficiale come uccello simbolo del paese, iniziando per questo a figurare anche nel campo della comunicazione pubblica, con iniziative come la livrea a lui ispirata di un Airbus della China Airlines e la scelta del secondo nome per l’AIDC T-5 Brave Eagle, un jet a reazione per l’addestramento militare destinato ad entrare in servizio entro il prossimo anno.
Intoccabili e magnifici, gli uccelli variopinti dei paesi esotici ricordano agli umani quanto possa essere imprevedibile o talvolta sorprendente la natura. Benché pochi si ricordano, per scelta o propensione, come per ciascun terribile mostro immaginario esista, nei fatti tangibili, almeno una creatura in grado di sconfiggerne l’immagine residua impressa nella nostra volubile, transitoria memoria.
Esiste almeno un secondo caso significativo a tal proposito, nella stessa mitologia pregressa dell’isola di Taiwan: quello di cui si narra per spiegare l’origine nome della cittadina di Yīnggē, termine riferito normalmente alla famiglia passeriforme degli orioli. Di cui pare che almeno un gigantesco esponente, incredibilmente simile al Roc delle Mille e una Notte, avesse attaccato nel XVII secolo le truppe del re dei pirati Koxinga, prima che le cannonate della sue giunche riuscissero a mutilarne la mandibola e trasformarlo in pietra. Costituendo la svettante roccia che tuttora sovrasta un tale insediamento, a perenne memoria per tutti coloro che alzano lo sguardo di chi sia, realmente, l’unico padrone non-pennuto dei cieli.