Permane una fondamentale dissonanza nella mitologica questione di Dedalo e suo figlio Icaro, creatori involontari della propria stessa prigione. Poiché se resta vero che il minoico labirinto fosse stato frutto di un così avanzato ingegno costruttivo, mediante considerazioni relative a renderlo impervio a qualsivoglia aspirazione di fuga, come è mai possibile che proprio loro, non avessero perfettamente impresso nella mente quell’unico sentiero che alla fin dei conti, doveva pur esistere tra tali intersecantisi sentieri? Perché mai fare ricorso a quella tecnica decisamente meno familiare di costruirsi ali di cera, con il rischio che la proverbiale hubris (dannata, orrenda tracotanza!) potesse porre una modifica sui piani di volo, con le tristi conseguenze che fin troppo bene conosciamo. Tanto che se avessimo il curioso desiderio di spostare la vicenda ai giorni nostri, probabilmente tale situazione non avrebbe modo di ripetersi: poiché la coppia, è assai probabile, prenderebbe l’ascensore.
Non è facile descrivere l’effetto fuori contesto della svettante Maze Tower di Al Rostamani, dal nome del conglomerato aziendale multi-settore che ne è stato il committente verso l’inizio degli anni 2010. Poiché essa costituisce, molto probabilmente, la più chiara risultanza del bisogno di attirare l’attenzione tramite il disegno di un diverso luogo abitativo, tra i confini di un agglomerato urbano celebre nello specifico per la natura appariscente dei propri edifici. Congiunzione zigzagante alta 210 metri (per 56 piani) di elementi verticali e balconate, evidenziate nelle ore notturne da svariati chilometri di strisce al LED cangianti, capaci d’inscenare i più bizzarri e variopinti spettacoli a vantaggio degli spettatori che percorrono la sottostante Sheikh Zayed Road. Congiuntura impreziosita invece, nelle ore appartenenti all’infuocato assassino astrale del primo Aviatore, dall’aspetto sobrio e quasi scultoreo di una facciata ricoperta interamente in pregiatissimo marmo Verde Bahia importato direttamente dal Brasile, con doppia finitura contrastante opaca e lucida, capace di riflettere la luce tendendo al bianco. Un tema, questo, che continua negli spaziosi interni adibiti sia a scopo commerciale che abitativo, con ingressi separati sin dagli spazi del parcheggio sotterraneo, attraverso cui si accede ad un maestoso susseguirsi di pavimenti e pareti in pietra naturale, con pietra lavica, ardesia, granito color dell’argento, marmo bianco siberiano… Il tutto nell’esibizione di un’indolente opulenza che proprio qui, nel volto urbano degli Emirati, si è da tempo trasformata nella norma di un linguaggio straordinariamente riconoscibile e in qualche modo appropriato. Fino all’accesso sulla vetta, nascosta da un gigantesco disco circolare con innovativi sistemi di proiezione video, ad un piccolo giardino, le cui siepi perpendicolari l’una all’altra appaiono disposte col preciso scopo, tematicamente rilevante, di portare a perdersi tra i loro rami. Un piccolo labirinto (orizzontale, tradizionale) sopra quello grande (verticale, futuribile) che si richiama al particolare modo di vedere le cose di colui che su richiesta delle due compagnie creatrici, lo studio d’architetti tedesco Planquadrat e quello degli ingegneri arabi della DAR Consult, fu chiamato per donare il proprio tocco personale alla particolare realizzazione di quella insolita idea di partenza. Forse l’erede maggiormente rilevante, professionale piuttosto che genetico, di quel geniale progettista venuto a estrinsecarsi sull’isola di Creta di tanti secoli fa…
Potrebbe risultare in effetti sorprendente che nel mondo moderno possa esistere, con tutte le implicazioni che ciò comporta, una figura professionale specializzata nella creazione ed il perfezionamento ulteriore del concetto dei labirinti. Ed in effetti non c’è molto di ordinario nella vita e nell’opera di Adrian Fisher (classe 1951) creativo britannico cui viene riconosciuta, tra le altre cose, l’invenzione completamente originale del concetto del Mirror Maze Adventure: esperienza facente parte di svariati Luna Park correntemente operativi, attraverso cui il visitatore viene spinto a perdersi in un sentiero di specchi contrapposti l’un l’altro, capaci di replicare infinitamente un paesaggio totalmente differente per ciascuna stanza del proprio incedere incerto. Ed a partire da una simile idea, che possiamo presumere brevettata, colui capace di trasformarsi nel letterale sovrano di un impero internazionale, con all’attivo oltre mezzo centinaio di strutture nei diversi continenti, create rispondendo alle specifiche esigenze di altrettanti creatori architettonici d’edifici, giardini ed altre simili amenità. Tra cui meritano certamente di essere citati per importanza quello del castello di Alnwick mostrato nei film di Harry Potter, il gigantesco mega-dedalo nel mais di Sterling, Massachussets o l’intrigante groviglio di siepi Kimnyung dell’isola di Jeju, Corea del Sud. Anche in Italia, nel frattempo, figura una sua creazione: nel parco giardino Sigurtà, poco fuori Verona. Tutti scalini altrettanto validi, in un certo senso, verso l’ottenimento del suo record forse più innovativo ed appariscente. Quello conseguito, per l’appunto, proprio con la torre Rostamani di Dubai, relativo al “più grande labirinto verticale del mondo”… E c’è da chiedersi, in effetti, chi potrai mai sognarsi di superarlo.
Ora è importante notare come in inglese, terra d’origine di una simile figura, esistano due diversi termini per riferirsi ad una così pervasiva curiosità architettonica, ciascuno adatto ad uno specifico contesto benché vengano tradotti allo stesso modo. Labyrinth, parola derivante dal toponimo greco λαβύρινθος riferito al primo di questi edifici costruito per rinchiudere il figlio mostruoso del crudele re Minosse, risulta essere il più letterale benché implichi qualcosa di estremamente specifico e sostanzialmente inatteso: un singolo possibile sentiero, senza molti angoli ciechi, che vada dall’ingresso fino all’unica via di fuga, in questo caso corrispondente al piano terra/foyer dell’edificio. Per quanto concerne invece l’alternativa lessicale di maze, quella scelta nel caso della torre in questione, appare implicita la presenza di un letterale rompicapo o intento di confondere il visitatore, finalizzato a donare il senso soddisfacente di una faticosa ancorché lunga risoluzione. Così che il concetto di labyrinth implica la metafora di un viaggio di scoperta interiore, oltre a connotazioni magiche e in qualche modo sovrannaturali. Mentre maze è più che altro una sfida contro se stessi in una partita a scacchi che l’architetto dovrà infine perdere ogni volta, affinché i suoi prigionieri possano venire liberati. Appare perciò in qualche modo estremamente significativo che chiamato per costruire uno dei secondi, l’esperto Fisher abbia piuttosto scelto di disegnare il primo. Rinnovando quello che potrebbe definirsi il suo più rilevante lascito programmatico nei confronti della società moderna.
Perciò non è difficile immaginare, come fin troppo spesso capita a Dubai, il raduno di un gruppo di base jumpers sulla cima di un così stranamente significativo edificio, paracadute sulla schiena ed asticella da selfie in mano, al posto dell’antico rocchetto di filo di Arianna chiamato nelle lingue di derivazione germanica clew, da cui il moderno termine clue, riferito all’indizio che potrebbe, spesse volte, permetterti di uscire dalla palude. A meno che tu non scelga, come il troppo “precipitoso” (in più di un senso) figlio d’Arte e d’Ali costruite artificialmente, di percorrere la strada che si sviluppa in senso perpendicolare a quello che tendevamo a dare per scontato.
Perché nessuno deve realmente mettersi alla prova bruciando leggiadra cera, a meno che non desideri la soddisfazione che ne deriva. Ed è importante notare che qualche volta, la scelta più difficile sia proprio quella di riuscire a distinguersi, in un mare di convenzioni che, tanto spesso, appaiono scolpite nella pietra.