Germania: la patria dei veicoli creati per un singolo, specifico obiettivo, prodotti in egual misura dell’ingegno di una squadra e il bisogno, simile all’evoluzione di esseri viventi, di rispondere allo scopo predeterminato. Ma quanta irritazione e quanto odio, attraverso lunghe decadi d’insopportabile presenza, dev’essersi saputa guadagnare un’imponente ciminiera, per giungere a dar forma al proprio intento con braccia idrauliche, ganasce seghettate ed una ruota ben oliata sopra cui avanzare, sopra il bilico di quel bordo alto 160 metri e così ingannevolmente Sottile… L’orlo superiore del cestino pieno di ottime speranze, acceso per la prima volta nel lontano 1987 e quindi spento, imprevedibilmente, dopo appena 13 mesi d’impiego causa ordine del Tribunale Amministrativo Federale. Per raggiungere un po’ in ritardo le conseguenze più visibili e liberatorie di una simile condanna, implicita ed inevitabile, giusto verso l’inizio dell’agosto 2019. Simbolo, questa centrale un tempo all’avanguardia di Mülheim-Kärlich (terra di Renania-Palatinato, in provincia di Coblenza) del fondamentale ripensamento programmatico di un’intera nazione, nei confronti di quel tipo di energia considerata a lungo come la più pulita, sicura, efficiente e “inesauribile” (ma davvero!) Pur essendo costata, nella fase originale della sua messa in opera, la cifra non indifferente di 7 miliardi di marchi tedeschi, grosso modo equivalenti a 3,5 miliardi di euro. Ma sapete a cosa non può essere attribuito un prezzo? Già, la vita e la sicurezza delle persone. Soprattutto quelle che si trovano all’ombra del vapore frutto di tante e tali barre d’uranio, sufficienti a produrre il quantitativo interessante di 1302 MW ed una volta che si è fatto notare nuovamente come, proprio sotto le sue fondamenta, scorresse il pontenziale magma di un antico vulcano. EPPURE, cosa difficile da trascurare, le norme costruttive anti-sismiche imposte da contratto al consorzio dei finanziatori ed alla RWE AG, principale compagnia energetica della Renania, non sono state pienamente rispettate. Tanto che l’unica direzione in cui era possibile dirigersi era quella di partenza. Per tornare, nuovamente, laboriosamente, al “prato verde” e un cumulo rimosso di grige macerie.
Ora demolire edifici di questa dimensione, svettanti verso il cielo ancor più in alto della cattedrale di Colonia, è già di norma operazione alquanto lunga & complicata. Ma basterà aggiungere all’equazione la presenza di molte tonnellate di materiale radioattivo da smaltire e la problematica vicinanza a infrastrutture di peso, come la vicina linea ferroviaria e stradale K44 che costeggia il fiume dei Nibelunghi, per rendersi conto di trovarsi di fronte ad un’impresa, se possibile, ancor più monumentale ed epica dell’ambizione che ne aveva fatto gettare le fondamenta oltre quattro, significative decadi fa. Tanto che tra tutte le possibili modalità possibili, sarebbe stata scelta la più insolita: iniziare la scalata all’incontrario, per questa volta soltanto, partendo dall’alto…
Difficile negarlo: esistevano diverse valide ragioni per non far ricorso, nel caso della centrale di Mülheim-Kärlich, alla soluzione classica dell’implosione dietro piazzamento strategico di esplosivi. Prima tra tutte la già citata vicinanza ad opere da preservare, ma anche il desiderio di evitare ulteriori proteste al sollevamento di una nube di detriti, potenzialmente nocivi alla salute, in questo sito posto immediatamente al di fuori dei confini della città.
Ecco dunque palesarsi l’unico possibile approccio alternativo, della distruzione sistematica mediante l’utilizzo di veicoli a motore, ovvero i vecchi e sicuri metodi “di una volta”. E sia chiaro che si fa per dire, vista l’implementazione in-situ del cosiddetto Spezialbagger (letteralmente: scavatore-speciale) così evidentemente frutto di una serie di soluzioni progettuali assai precise, mirate a creare la creatura meccanica perfetta per un contesto estremo d’impiego. Quello finalizzato, per l’appunto, all’accorciamento della ciminiera principale per l’emissione del vapore da parte della centrale, dagli originali 160 metri fino a più gestibili 80, dopo averne spezzettato letteralmente la cima un singolo blocco alla volta fino al punto in cui la forma paraboloide della struttura, troppo inclinata, gli avrebbe impedito di proseguire. E così nei video che ne documentano le attività, la creatura avanza e morde, avanza e morde, come la larva di un lepidottero sovradimensionato sulla deliziosa foglia della propria gioventù. In attesa di una metamorfosi che noi sappiamo bene, non potrà trovare conclusione risolutiva di nessun tipo. E meno male… Direi? L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno nei cieli d’Europa è un mostro di metallo con cesoie idrauliche al posto delle zampe! Manifestazione anacronistica del drago delle saghe, tanto efficacemente messe in musica da Richard Wagner per i teatri di oltre due secoli fa. Ma piuttosto, assai meglio, di un innovativo e funzionale metodo per accorciare quelle stesse ciminiere nucleari che tutt’ora, contrariamente al desiderio di ciascuno, dolorosamente ingombrano le circostanze paesaggistiche vigenti.
Una volta completato l’accorciamento della struttura superiore si è passati quindi alla fase preparatoria finale, della rimozione mediante l’impiego di una coppia scavatori da terra telecomandati con braccio extra-lungo di una serie di grandi tasselli nella parte inferiore della stessa, scelti ad arte affinché durante il crollo, finisse per afflosciarsi senza causare danni involontari al paesaggio urbano circostante. Quindi lo scorso 9 agosto, alla presenza di un vasto pubblico e diversi rappresentanti delle autorità civili, si è passati alla demolizione degli ultimi piloni di sostegno (possiamo presumere mediante l’impiego di piccole cariche a controllo remoto) operazione a seguito della quale l’intero castello di carte è precipitato rovinosamente a terra, lasciando finalmente vedere il ritaglio di cielo che si nascondeva dietro la sua sagoma imponente.
Dunque, un gran successo. Circa un miliardo di euro speso fino ad oggi e vari anni ancora da percorrere, prima che si possa ritornare all’ideale spazio libero che qui esisteva, prima della costruzione non propriamente oculata di un così ingombrante monumento all’inutilità. Con le barre di uranio in magazzino che hanno già trovato collocazione presso un sito di smaltimento a Cap de la Hague in Francia, mentre le turbine sono state date in concessione a un azienda egiziana. E per quanto concerne il materiale più pericoloso all’interno del reattore, un problema ancora da risolvere, si è già pensato alla vecchia miniera di ferro dismessa di Schacht Konrad a Salzgitter in Bassa Sassonia. Diversi passi di un’operazione complessa, accompagnata ad ogni pié sospinto da comprensibili, enfatiche proteste degli abitanti locali.
Perché alla fine, questa è la realtà dei fatti così lungamente (e forse volutamente) trascurata dall’opinione pubblica: che l’energia nucleare risulta essere il metodo migliore e più efficiente tra quelli che abbiamo a disposizione NELLA MAGGIOR PARTE dei casi. Mentre nel momento stesso in cui qualcosa finisce per andare nel verso sbagliato, il tipo di problematiche a cui ci si trova a far fronte finiscono per controbilanciare diverse decadi di potenziali guadagni. Dal che deriva come la scelta fieramente annunciata dalla Merkel sull’onda emotiva del disastro di Fukushima del 2011, di una Germania che iniziava il lungo ed ancora in-fieri percorso di dismissione delle sue 17 centrali nucleari, non sia soltanto un potenziale regalo nei confronti delle prossime generazioni. Ma anche la scelta più ragionevolmente cauta in un clima economico come quello corrente, che ancora non accenna a esaurire il suo potenziale radioattivamente malsano.