Si tratta di una notizia tra le più inattese, e al tempo stesso stranamente affascinanti, di questo momento di transizione climatica al termine dell’estate 2019: la lunga carenza di piogge e conseguente siccità nell’entroterra spagnolo, capace di causare non pochi problemi alle attività agricole del paese. Ma anche di far scendere in maniera significativa il livello, per la prima volta in oltre tre decadi, del bacino idrico artificiale di Valdecañas in Estremadura, facendo riemergere dalle acque le pietrose costole della Preistoria.
La remota epoca del Bronzo, fondamentale periodo per lo sviluppo della civiltà umana, costituisce il periodo durante il quale le genti d’Europa iniziarono a collaborare tra loro, trasformando piccoli insediamenti stanziali in capitali di un regno, centri d’interscambio commerciale o mete di pellegrinaggi religiosi. In forza di caratteristiche inerenti, come la posizione strategica o l’importanza delle risorse naturali cui era possibile accedere entro i rilevanti confini, o in alternativa, per il frutto del sudore di molte fronti, collettivamente impegnate in un importante progetto collaborativo. Facente parte nella maggior parte dei casi giunti integri sino a noi, tra tutte le alternative possibili, di un’unica essenziale categoria: la costruzione di dolmen o menhir, cromlech e altri sistemi di pietre artificialmente erette, con finalità o propositi oggi largamente dimenticati. Non altrettanto può dirsi, del resto, la forma esteriore degli stessi, generalmente custoditi come dei veri e propri tesori culturali della nazione, ovvero le uniche vestigia di un periodo antistante a imperiture testimonianze scritte, artistiche o d’altra natura. La marcia inarrestabile della storia e dell’industria tuttavia, sinuosa come il corso di un fiume all’interno di una vasta pianura alluvionale, può talvolta invertire i rapporti d’importanza tra le alterne questioni, facendo anteporre il desiderio di risolvere un problema “immediato”, piuttosto che custodire la memoria “superflua” di coloro che tanta fatica investirono, nell’evidente speranza di non poter essere mai dimenticati. Causando situazioni come quella del celebrato cerchio di pietre situato a circa due ore di distanza in automobile da Madrid dal nome ufficiale di Guadalperal, ma anche chiamato in precedenza la Stonehenge di Spagna. Fino a pochi giorni prima che un decreto del dittatore Francisco Franco, risalente al 1963, inducesse l’attesa chiusura della diga idroelettrica di Valdecañas sul corso del fiume Tajo, presso il comune di Belvis de Monroy, ricoprendo di molti metri d’acqua questa intera regione di primaria importanza archeologica e culturale. Entro cui sorgeva, tra le altre cose, la città romana di Augustobriga, fondata secondo le cronache attorno al terzo secolo d.C, benché fosse stata abitata, secondo recenti studi relativi alla sua metropoli, da quasi mille anni prima. I cui templi e l’antico municipio, oltre ai circa 2.000 abitanti rimasti qui oltre il Medioevo della ribattezzata Talavera la Vieja, furono premurosamente spostati prima dell’inondazione indotta, mettendo in salvo tutto ciò che veniva ritenuto sufficientemente importante. Ma rimuovere qualcosa di semplice e primordiale come un cerchio di pietre dal suo luogo avìto d’appartenenza significa, essenzialmente, distruggerlo. Perché in quale modo, persino la più accurata scansione tridimensionale al laser potrebbe mai garantire l’equivalenza di un contesto ulteriore, completa di elementi paesaggistici accessori e di contesto…
Così il cromlech (dal termine gallese composito che significa letteralmente “cerchio di pietre”) vecchio di oltre 7.000 anni venne lasciato esattamente dov’era, con buona pace dell’archeologo tedesco Hugo Obermaier, che tra il 1925 e il 1927 aveva fatto oggetto di approfonditi studi il sito, avendo cura di trasferirne su accurati disegni anche le più minute caratteristiche, prima di raccogliere e preservare l’alto numero di manufatti in terracotta e altri utensili rinvenuti nei pressi, prontamente inclusi nella sua prestigiosa dote per i musei stranieri del paese straniero di provenienza. Dopo tutto, si trattava di solide pietre in granito, e che cosa avrebbe mai potuto succedergli, anche a generazioni di distanza? L’accurata opera lasciata in eredità dallo scienziato ci permette, ad ogni modo, d’intuire alcuni possibili utilizzi di un così eccezionale monumento: potenziale osservatorio solare, concepito per suggerire il moto degli astri nel cielo notturno come altri luoghi simili rinvenuti nel resto del mondo, il cerchio di Guadalperal era anche e soprattutto un sito funebre, coperto da un alto tumulo di terra e pietre che oggi non esiste più. Costituito da uno spazio ovale dal diametro massimo di 5 metri, delimitato da 13 ortostati (pietre erette) di cui 4 andati purtroppo perduti, esso si trovava quindi in una camera completamente sepolta, a cui era possibile accedere attraverso un singolo esteso corridoio di ben 21 metri. A termine del quale ci si sarebbe trovati di fronte ad una singola stele guardiana, con sopra incisa la rappresentazione sinuoseggiante di quello che per lungo tempo fu ritenuto essere un gigantesco serpente. Se non che osservando a lungo i disegni di Obermaier e recandosi sul posto a seguito della recente riemersione verso gli ultimi giorni di agosto, il presidente dell’Associazione culturale Roots of Peraleda Ángel Castaño ha elaborato negli anni una rilevante ipotesi, difficile da confermare o smentire, che potrebbe contribuire in modo significativo a incrementare la rilevanza scientifica di questo luogo.
Tutto parte da una singolare, quanto improbabile coincidenza: la maniera in cui le curvilinee spire del succitato disegno “rettile” sembrano assomigliare, in maniera innegabile, all’effettivo corso del fiume Tajo attraverso le pianure d’Estremadura, per come avrebbe potuto presentarsi letterali migliaia di anni fa. Con qualche comprensibile inesattezza ed alcune deviazioni, comunque situate negli spazi in cui l’assenza di un letto geologicamente solido e definito avrebbe potuto consentire cambiamenti successivi di una simile entità. Una teoria meno improbabile di quanto saremmo istintivamente portati a pensare, benché le coincidenze innegabilmente esistano, e che potrebbe fare di questo luogo l’origine di una delle più antiche mappe ad essere mai state tracciate da mano umana. Ciò detto, nessun studio accademico è (ancora) stato redatto sulla faccenda, relegandola quindi al vasto e variopinto mondo delle semplici teorie. Visione che, comunque, se accettata potrebbe contribuire in modo significativo alla salvaguardia del dolmen di Guadalperal…
Si tratta in effetti di una letterale corsa contro il tempo, che potrebbe o meno portare a qualcosa, quella iniziata sul portale Change.org per la raccolta di 50.000 firme (al momento in cui scrivo, se ne contano quasi 40.000) per indurre le autorità locali a fare qualcosa, qualsiasi cosa, col fine di mettere in salvo le antiche pietre granitiche, ormai diventate porose e in diversi casi, prossime allo sgretolamento. L’importanza turistica del bacino di Valdecañas è del resto evidente ormai da generazioni, con il prestigio della vicina isola omonima, luogo di villeggiatura con tanto di un completo percorso da golf, campi da tennis, piscine ed altre simili amenità. Per non parlare del percorso archeologico della vicina e “tratta in salvo” Talavera la Vieja, che proprio in questo ancestrale cerchio pietroso potrebbe trovare l’antefatto ben visibile, e chiaramente innegabile, delle genti che qui transitavano, ancor prima di essere conquistate dal passaggio delle indistruttibili strade romane.
Se soltanto la memoria di tutto questo potesse venire anteposta, per una volta ancora, alla continuativa produzione di energia idroelettrica in Estremadura. Che in un singolo momento preciso della storia moderna, finì per sovrascrivere quanto precedentemente acquisito, nella speranza di un oggi e un domani più prosperi dal punto di vista economico. Però al tempo stesso, privi di tesori capaci di attraversare le Ere.