Fondamentale tratto dominante nel carattere degli appartenenti alla tribù Arini, parte della famiglia tassonomica che include la maggior parte delle specie tropicali di “veri” pappagalli, risulta essere un profondo senso dei pericoli e delle ricompense. Per uccelli tanto imponenti e maestosi, il cui complicato ecosistema natìo, le foreste dell’America Meridionale, comporta comunque significativi attacchi da parte dei potenziali predatori, dalla picchiata fatale di un rapace all’agile balzo del giaguaro, sino all’assalto occasionale di scimmie particolarmente affamate o dispettose. Il che ha fatto, di tali volatili caratterizzati da fantasiose armonie rosse, gialle, verdi e blu, la perfetta personificazione piumata della prudenza, rendendo favolosamente rara l’occasione di vederli posati per lunghi periodi durante il giorno, lontano dai propri nidi o fori protettivi nel tronco degli alberi secolari. Fatta eccezione per una singolare, reiterata casistica, talmente diffusa da aver dato i natali negli ultimi anni a una particolare forma di bird watching estremo, capace di portare lo sguardo di tutti coloro che vantano un qualche tipo d’interesse in materia al cospetto di letterali dozzine, se non addirittura centinaia di questi esseri, temporaneamente assembrati a stretto contatto in un singolo luogo dall’evidente quanto palese vulnerabilità: l’affioramento di argilla su un lieve declivio chiamato in lingua spagnola collpa, o un’equivalente assolata radura totalmente priva di nascondigli.
E tutto questo per compiere uno specifico, quanto essenziale gesto: prelevare con le zampe dei piccoli grumi di fango minerale, da trasportare fino ai rami più alti degli alberi vicini. Prima di aprire il becco ricurvo e iniziare, pensierosamente, a trangugiarne quantità significative. Si tratta di geofagia: l’abitudine, in effetti tutt’altro che rara nel mondo animale, consistente nell’assumere come parte della propria dieta del materiale del tutto inerte, con il più vasto ventaglio di possibili finalità. Vedi il caso, nell’universo volatile e anche nel caso di plurimi pappagalli, della costituzione del ventriglio o mulino gastrico, ovvero uno spazio all’interno dell’apparato digerente in cui il bolo alimentare possa essere letteralmente sminuzzato, dall’alta quantità di sassolini e ghiaia derivanti da un così ancestrale istinto. Ciò detto pappagalli come gli Ara possiedono un becco particolarmente affilato ed efficiente, quasi a livello di una vera e propria dentatura, nel preparare al processo digestivo la frutta, i fiori, il nettare e il resto dei materiali vegetali del resto particolarmente teneri, che sono soliti assumere come parte della propria dieta nell’habitat naturale di provenienza (fatta eccezione per alcune tipologie di semi legnosi, che del resto schiantano fragorosamente grazie a una così raffinata arma evolutiva). Il che ha portato, per lungo tempo, gli scienziati ad interrogarsi su quale, in tutta sincerità, potesse essere l’obiettivo perseguito nel corso di questi celebri pranzi a base di terra rossiccia. Tanto che prima di entrare nel merito della questione, possiamo dare spazio all’usuale quanto drammatica premessa. Secondo cui, ancora oggi e nonostante i notevoli progressi compiuti dai metodi d’approfondimento accademico, persiste innegabilmente qualche significativo grado di mistero…
Una creatura quasi esclusivamente vegetariana che incorpora nella propria dieta l’argilla: secondo il consenso delle ultime decadi di studi, doveva esserci un qualche tipo di ragione programmatica per un così palese controsenso, semplicemente imprescindibile per lo stesso essere di così appariscenti e, per il resto, semplici creature. E tale fu ben presto individuata, nella loro propensione a nutrirsi, tra le altre cose, di una certa quantità di bacche e semi pericolosi, ricchi di elementi chimici nocivi per l’uomo quali il tannino, la chinina e tossine di altra malefica natura. Ciò in qualità di effetto collaterale nella costante corsa agli armamenti dei processi evolutivi, al servizio di esseri vegetali il cui principale interesse è che i volatili, una volta consumato il frutto maturo manchino di digerire il fondamentale nucleo riproduttivo al centro di esso, possibilmente sputandolo o defecandolo intero da qualche parte negli umidi recessi della foresta. E poiché simili sostanze vengono, occasionalmente, consumate anche da frange isolate o antiche espressioni della civiltà primitiva umana, provate a indovinare quale sia il nostro rimedio per allontanare i conseguenti mal di stomaco, disfunzioni digestive o conseguenze persino più gravi? Esatto, consumare una certa quantità di argille dall’alta reattività ionica, capaci di legarsi all’interno del nostro tratto digestivo con le suddette tossine, rendendole incapaci di nuocere a chicchessia. Ora nel corse delle osservazioni più recenti e dettagliate, tuttavia, emerse gradualmente il fatto che i pappagalli in questione non fossero effettivamente soliti nutrirsi di preferenza dell’argilla capace di vantare una maggiore efficienza per tale specifica finalità, bensì di un diverso tipo. Senza neanche entrare nel merito di come altri appartenenti all’ordine degli psittaciformi, presso zone geografiche distanti, consumassero cibi altrettanto tossici senza il bisogno di alcun contorno argilloso. Dal che fu preparato il campo a un significativo studio pubblicato dal biologo dell’Università del Texas A&M, Donald Brightsmith, impegnato dal 1999 come capo del Progetto Macao della Riserva Naturale di Tambopata nel Perù orientale, mirato a rivedere gli assunti sin troppo diffusi su una così affascinante contingenza. Verso la cognizione riassumibile, in sostanza, in una singola espressione: far fronte al fabbisogno di metalli nel sangue e in modo particolare il sodio. Lo scienziato ebbe infatti modo di dimostrare finalmente come le parti dei collpa (depositi argillosi) fatti oggetto dell’attenzione di questi uccelli, nonché delle oltre 40 specie diverse che sono solite perseguire lo stesso obiettivo nutrizionale, fossero proprio quelle maggiormente ricche di un così essenziale bio-elemento, particolarmente raro e prezioso in tali zone dell’entroterra sudamericano occidentale, a causa del riciclo continuo delle precipitazioni provenienti dall’Atlantico, mentre i venti umidi del Pacifico vengono bloccati dalle svettanti cime andine. Altro fattore determinante, nella nuova presa di coscienza, fu la maniera in cui il consumo di argilla fosse solito intensificarsi giusto alcuni giorni dopo la nascita dei piccoli all’interno dell’alto nido, nutriti dagli Ara con numerosi piccoli grumi d’argilla proprio al fine di assistere il loro processo di crescita verso il momento topico del primo volo verso il deposito d’argilla più vicino. Raggiunto generalmente da un singolo figlio per ciascun nucleo familiare, con conseguente ed altrettanto inevitabile (anch’essa, misteriosa) morte per incuria, nonché predazione, dei suoi tre o quattro fratelli nel corso di ciascuna stagione.
Lungamente analizzate e proposte come destinazioni turistiche di primo piano, alcune delle collpa più famose tra cui quella di Tambopapa, definita orgogliosamente “la più grande del mondo” sono quindi diventate in epoca moderna mete di un sentiero particolarmente battuto da innumerevoli piedi umani, con tanto di recensioni (comprensibilmente entusiastiche) all’interno dei vasti spazi digitali.
Dando luogo a conseguenze, secondo quanto riportato da studi accessori dello stesso team del Prof. Brightsmith, fortunatamente non troppo significative, su una genìa d’uccelli da sempre capace di metabolizzare il muoversi d’ombre distanti o il vocìo indistinto di (potenzialmente) pericolose creature. Con il rapido e appariscente decollo dell’intera colonia, al primo segnale di un singolo individuo, quasi subito seguìto dal rapido ritorno per completare il pasto, senza alcun problema né soluzione di continuità. Perché ciò che pappagallo vuole, pappagallo saprà conquistarsi, fino all’ultimo gesto preciso del proprio zigodattile artiglio e come vantato del resto da corvi, piccioni ed altri distanti cugini degli ambienti urbani europei. A meno che proprio qui, altri famelici esseri interessati al suo stesso argilloso ambiente, del tutto privi di becco, piume o le macchie mimetiche del nemico-giaguaro, non giungano infine coi propri interessi edilizi, infrastrutturali ed agricoli, alla luce devastante della più antica, ed ardente arma al servizio dell’incosciente collettività.