Sono una trottola, sono una nuvola. Sono la tazza nella giostra del Luna Park. Wuum-WUUM, chi si ferma è perduto! Fate largo al toro dentro il suo recinto! Nessuno tra gli esseri umani può sfuggire, per quanto possa insistere nel desiderarlo, dall’onnipresente regola dei tre. Il terzo giorno, il terzo livello, il terzo luogo. Nel suo influente saggio del 1989, il sociologo americano Ray Oldenburg parlò a lungo dell’importanza di uno spazio che non fosse casa né lavoro, ove coltivare i propri interessi lontano dalla convenzione e al tempo stesso, saldamente collocati al centro esatto della società civile. Ma un simile concetto, come infinitamente reiterato all’inizio degli anni 2000 durante una lunga e pervasiva campagna pubblicitaria della Sony per la sua console Playstation 2, non può limitarsi unicamente al pavimento della biblioteca, la piazza urbana, il parco pubblico o il baretto dello sport. Diventando, nei tempi moderni, l’effettiva metafora del raggiungimento di uno stato transitorio di coscienza e conoscenza superiori, ovvero la perfetta realizzazione della propria posizione e scopo ultimo dell’esistenza, quando si fa qualcosa e si riesce, sotto ogni oggettivo punto di vista, a farla bene. Uno stato dei fatti anche detto “trovarsi nella Zona”.
Ora, la Zona dovrebbe essere una cosa e soltanto quella: trascendere i confini della propria esistenza fisica per trasformarsi in qualcos’altro, grazie al più estremo senso di concentrazione. L’automobile che corre sulla strada. Il pennello che disegna forme geometriche sopra la tela. Il cuoco che versa la precisa quantità di spezie, aprendo momentaneamente la sua pentola dal significativo aroma. L’operaio che determina gli spazi appiattendo il cemento di un futuro centro commerciale, il parcheggio di quest’ultimo, oppure il suolo di vasto magazzino o ancora il semplice vialetto di villetta a schiera. In altri termini, si: qualsiasi mansione può riuscire ad elevarti, a patto di condurla a termine col giusto metodo ed inclinazione. Ma ve ne sono di semplicemente troppo faticose o fastidiose, perché l’energia di cui è possibile disporre in un dato momento possa dare spazio a un simile importante potenziale. Categoria entro cui rientra, senza il benché minimo dubbio, l’attività di frattazzare (1) con la staggia (2). Mai sentiti questi termini? Nel dubbio, spiegazione: sto parlando di chinarsi all’interno dello spazio oggetto del grigiore di una simile colata, per poi iniziare a massaggiarne attentamente la superficie fino all’ottenimento di uno spazio adeguatamente liscio (1) mediante l’impiego di un lungo listello di legno o metallo (2). Opera importante sin da quando fu inventato il calcestruzzo, ma anche orribilmente ponderosa per la schiena e le ginocchia, nonché ripetitiva e noiosa. Motivo per cui venne preso in prestito, come in molti altri campi simili, l’aiuto delle macchine e della tecnologia: dal che nasce quella macchina pesante, esteriormente simile a una lucidatrice per pavimenti (o un metal-detector ipertrofico) costituita da una lunga maniglia al termine della quale è situato un motore con pale rotanti, capaci di compiere l’opera di una mezza dozzina di automatiche cazzuole sferraglianti. Il direzionamento della quale comporta, in termini generali, l’accurato sollevamento o pressione a terra della sua parte posteriore, portandola a sterzare a destra quando le pale toccano durante l’arco superiore di quella circonferenza ed a sinistra nel caso opposto. Fu quindi solamente il passo ulteriore, in un pregresso momento dalla datazione nebulosa di profonda innovazione tecnologica, che a qualcuno venne in mente di disporne due affiancate, ponendo sopra il pratico sellino con le leve di controllo…
Il raggiungimento della zona è uno stato che coincide, molto spesso, col rilascio di adrenaline ed endorfine all’interno del sistema circolatorio umano. Dal che deriva molto spesso un senso d’assuefazione, non dissimile da quello di chi sperimenti un’esperienza che risulti essere del tutto nuova. Ed è anche questa la ragione per cui risulta molto facile immaginare il senso di rimpianto con cui, al termine del proprio turno di lavoro, un giovane operaio possa scendere da quel sellino, per ricevere le congratulazioni del suo supervisore cantieristico di riferimento. Purché siano, nei fatti, totalmente meritate: poiché la macchina frattazzatrice a due, o come la chiamano gli americani (che ne fanno un uso assai frequente) il ride-on power trowel, non è affatto semplice da pilotare. Soprattutto nella sua forma più essenziale, in cui il controllo omni-direzionale simile a quello di un hovercraft futuristico di combattimento su pianeti lacustrini deriva da una coppia di lunghe leve, connesse direttamente alla coppia di “ragni” (spider assembly) sotto cui vengono fatte roteare le pale. Ad una velocità variabile che l’operatore deve scegliere mediante pressione del pedale, lasciando un simile implemento pattinare agilmente sopra il calcestruzzo, come mai un essere vivente sarebbe potuto riuscire a fare. Il che comporta, in primo luogo, un’accurata cognizione dei movimenti possibili, ben sapendo che mentre la leva sinistra, assieme al suo ragno, può inclinarsi solamente avanti e indietro, quella destra è ben capace di farlo in tutte e quatto le direzioni. Il che permette, spostando entrambe di concerto, di muoversi rapidamente avanti e indietro, mentre ogni rotazione dovrà essere portata a termine attorno ad un letterale perno, situato esattamente al di sotto della propria spalla destra. La velocità, ed il corrispondente regime motoristico, costituisce inoltre una scelta primaria: questo perché andare troppo rapidi sul cemento eccessivamente morbido, talvolta, può comportare la formazione di problematici avvallamenti, schizzando inoltre il materiale in ogni direzione ed aumentando in modo esponenziale il lavoro per se stessi e i propri colleghi. Mentre muoversi con troppa flemma può portare, irrimediabilmente, all’indurimento della superficie, con conseguenze ancor più deleterie. Anche la scelta delle pale, o cazzuole rotanti che dir si voglia, può comportare non poche problemi, dato che ne esistono di più sottili o spesse (quando il cemento è sufficientemente fresco da portare a sprofondare) fino a vere e proprie piastre di forma circolare, usate nella prima fase per iniziare il processo di livellamento. Un lavoro, insomma, non poi così rilassante e divertente come potrebbe apparentemente sembrare.
Ed ecco perché al fine di ridurre lo stress d’utilizzo, molte delle aziende produttrici di una tale meraviglia della tecnica, tra cui la Wacker Neuson del video di apertura ma anche MQ Whiteman, Beton Trowel […] hanno iniziato ad includere nei propri modelli top di gamma un sofisticato sistema di sterzo idraulico per il sollevamento delle piastre rotative mediante l’impiego di una leggera e precisa coppia di joystick, oltre a computer di bordo per il controllo della velocità di crociera, l’impostazione di un massimale di giri al minuto ed altre diavolerie di assistenza iper-tecnologica, facendo crescere di conseguenza il prezzo del dispositivo. Che pur aggirandosi in media sull’equivalente di 7-8.000 euro, ovvero l’equivalente di due o tre frattazzatrici a spinta, può facilmente raggiungere i 25.000 nei modelli più grossi e performanti, talvolta forniti di doppia alimentazione gas e benzina, a seconda del fatto che sia necessario volta per volta utilizzarli all’aperto o al chiuso.
Benché vada anche detto, simili implementi possano permettere a un singolo operaio di svolgere il lavoro di un’intera squadra di operai dotati di tradizionali stagge a mano.
Così risulta fin troppo facile lasciarsi trascinare dall’entusiasmo, nell’osservare l’eccezionale esuberanza di questi “leggiadri” hovercraft dal peso di tre o quattro quintali, che come i cigni del titolare lago del mondo della musica, disegnano ardite traiettorie danzanti all’interno di un palcoscenico chiaramente definito. Ma immaginate ora di dover compiere una simile precisa serie di gesti ogni giorno lavorativo della vostra vita, per molte ore di seguito, senza mai concedersi un calo ancorché momentaneo dell’attenzione, pena il severo e giustificato rimprovero da parte dei propri colleghi e superiori! Un’opera continuativa, importante, e una posizione di profonda responsabilità, all’interno di quel macchinario complesso che può diventare il cantiere. Situazione, questa, che non soltanto favorisce l’esistenza metaforica di un terzo luogo all’interno del quale rifugiarsi, ma nei fatti arriva a richiederlo! Affinché si possa mantenere la concentrazione ed arrivare al fischio di fine giornata sapendo, nel più profondo del proprio essere, di aver portato a termine un Buon Lavoro.